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Lawrence D. 'Butch' Morris - Folding Space: Modette & Other Songs

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Teatro Rossini - Lugo - 30.5.2009

Folding Space è un progetto inedito che ha avuto il suo debutto assoluto al teatro Rossini di Lugo. Una commissione del festival Angelica (una delle realtà italiane più longeve e dinamiche nel panorama delle musiche di confine e di ricerca), è stato realizzato da Butch Morris in collaborazione con la Filarmonica Arturo Toscanini, la cantante Shelley Hirsch e un manipolo di improvvisatori newyorkesi.

A differenza della formula delle "conductions," per la quale Butch Morris è noto, questo progetto ha messo in campo un corpus di musica scritta; nella fattispecie, una collezione di canzoni composte e arrangiate per l'organico dallo stesso Morris, su testi suoi e di altri autori.

Un progetto nuovo per i musicisti coinvolti e dagli intenti ambiziosi: far incontrare il mondo della tradizione musicale consolidata (e con una struttura formale molto definita, com'è per la canzone) con quello dell'improvvisazione più libera; cercare un sottile e quilibrio e una difficile sintesi fra queste due forme d'espressione. Una sintesi che, come dice la nota di presentazione del progetto, forse non va cercata "dentro queste scuole di espressione ma all'interno di ognuno di noi".

La domanda è ovviamente d'obbligo: l'obiettivo è stato raggiunto? La risposta è: senz'altro sì, dopo un inizio un po' incerto e tentennante e a prezzo di qualche momento interlocutorio.

All'inizio il dialogo fra i due mondi è sembrato difficile: l'accostamento risultava forzato, le cose sembravano girare solo quando ci si immergeva pienamente dentro l'uno o l'altro dei linguaggi.

Dopo un incipit puramente improvvisativo ad opera degli ospiti americani esperti in materia, che però è suonato poco ispirato, paradossalmente la musica è decollata proprio quando ci si è spostati sul versante "classico". Per quanto la prima canzone proposta sfoderasse una sonorità orchestrale e dei moduli espressivi che sembravano provenire direttamente da una colonna sonora hollywoodiana dei tempi d'oro, grondante di pathos, in realtà, nascoste dietro l'enfasi e la pomposità di quella melodia e di quell'impasto sonoro, si potevano percepire in trasparenza la forza e l'assertività delle frasi musicali da cui partivano certi monumenti free, in particolare quelli coltraniani. A confronto di ciò, erano invece i momenti "liberi" a risultare più "canonici".

Poi però tutto ha trovato la sua strada e si è arrivati all'agognata fusione; la chiave di volta è stata proprio il talento di Morris come organizzatore e regista di masse sonore in movimento. I mondi sonori e formali separati si sono infine sciolti in un impasto omogeneo che ha iniziato a scorrere come l'unica corrente di un fiume, o forse in modo più esatto come le diverse onde di un unico mare.

Butch Morris è un'artista del saper fare di un gruppo d'individualità disparate un collettivo dotato di una sua voce unitaria, e del saper dosare le dinamiche e gli impasti sonori, i pieni e i vuoti, i piano e i forte. Così è stato anche in quest'occasione, in un gioco di figura/sfondo dove, da un sottofondo collettivo improvvisato secondo i canoni della conduction, brulicante di suoni, frasi e ritmi ripetuti ostinatamente (come un coro di cicale), emergevano di volta in volta uno o più solisti, un tema, una voce, oppure si aprivano pieni orchestrali maestosi, come la corrente del fiume che sfocia in mare aperto.

La dimensione della canzone e della musica scritta ha inoltre messo in risalto il carattere emozionale e melodico della poetica di Morris, che nelle Conductions è più nascosto e obliquo, ma comunque sempre presente, dal momento che caratteristica propria della sua musica è una vena di pathos e struggente poeticità e quasi di "cantabilità," anche quando alla superficie sembra lontana dal canto e dalla melodia.

Nella scrittura di queste canzoni c'è - come detto - l'eco delle grandi colonne sonore americane, ma soprattutto dell'espressionismo di Weill e Eisler. L'intero organico, ad eccezione dei primi momenti, è sembrato del tutto affiatato e coeso nel seguire e dar forma alla visione del direttore. L'orchestra Toscanini ha saputo catturare lo spirito della poetica di Morris, facendosi pienamente strumento della sua concezione e fornendogli una gamma timbrica e un'ampiezza dinamica potentissima, e ha reso un'interpretazione molto sentita e convincente.

I solisti ospiti hanno dato un contributo personale, arricchendo col proprio timbro i colori dell'insieme, ma con un grande senso della misura che li faceva restare all'interno di un quadro collettivo, senza pretese di debordare in protagonismi individuali. Degni di nota in particolare Eri Yamamoto al piano e Mary Halvorson alla chitarra (quest'ultima, per quanto minimale e impressionista, è stata importante nella determinazione del colore d'insieme). Da ricordare inoltre il lavoro di J.A. Deane, partner abituale di Morris, che coi suoi campionamenti dal vivo funge da una sorta di potenziamento digitale dell'idea musicale del leader.

Shelley Hirsch ha dato un'interpretazione potente dei testi e delle melodie, con le sue risapute doti vocali e un piglio molto teatrale, in linea con le atmosfere musicali, facendo ricordare più di una volta Dagmar Krause. Un po' più sterili sono invece sembrati certi sperimentalismi vocali nelle improvvisazioni.

Se sfida era, dunque, si può dire che è stata pienamente vinta.

Foto di Claudio Casanova

Ulteriori immagini di questo concerto sono disponibili nella galleria immagini.


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