Home » Articoli » Interview » Lanfranco Malaguti: la matematica dell'improvvisazione

Lanfranco Malaguti: la matematica dell'improvvisazione

By

Sign in to view read count
Il rigore della ricerca, spesso condotta in forma solitaria o con piccoli gruppi, è uno dei tratti distintivi del chitarrista romano residente da molti anni in un piccolo centro del Trevigiano.

Una collocazione "appartata" che da un lato tiene il musicista piuttosto lontano dai riflettori (quest'intervista è la seconda pubblicata in una rivista specializzata dal 1990), ma che gli consente di mantenere piena integrità artistica.

Di recente Malaguti ho prodotto Visionary, un significativo lavoro per la Splasc(h) Records con il suo nuovo quartetto.

All About Jazz: Iniziamo a parlare del tuo ultimo disco che s'intitola Visionary. Ci puoi spiegare come nasce e qual è il suo nucleo fondante?

Lanfranco Malaguti: Direi che è iniziato da un cambiamento di paradigma, almeno per quanto riguarda il mio modo di concepire la musica.

Mi sono sempre posto la domanda se si potesse improvvisare nota per nota una linea melodica, rispettando gli accordi di un jazz dalle forme "tradizionali" (quindi non free) ed evitando nel contempo di ricorrere a clichès prestabiliti. Da alcuni anni lavoro su questa strada: recuperare il senso della melodia e svincolarmi da schemi prestabiliti, salvando il fatto di lavorare sugli accordi.

Ho così costruito la dimensione armonica secondo cicli molto rapidi di accordi in modo che contenessero tutte le 12 note. In termini statistici diventa quindi molto probabile che le note della melodia incontrino le note giuste dell'accordo, dando quindi una sensazione di coincidenza tra accordo in senso verticale e melodia.

AAJ: La logica sarebbe quindi di non essere frenato nella tua libertà melodica dagli accordi - e qui siamo sullo stesso ambito del free - senza però mettersi in antitesi con l'armonia.

L.M.: Esatto. Immagina la linea melodica come una spirale dotata di una certa frequenza che deve passare attraverso una maglia formata da dei nuclei, che poi sono questi pacchetti di accordi. È esattamente la situazione opposta a quella che può esserci nel rapporto tra neutrini e materia: la probabilità che un neutrino interagisca con la materia è estremamente bassa. In questo caso chi si incontra con grande probabilità sono le note e gli accordi.

AAJ: Come si sono inseriti i tuoi nuovi partner in questa logica?

L.M.: Inizialmente erano affascinati ma anche dubbiosi sulle loro capacità - sottovalutandosi - di saper gestire questa logica. Prima di scegliere i ragazzi ho ascoltato decine di concerti ed ho scelto quelli che secondo me avevano più orecchio, più capacità di costruzione melodica e soprattutto più intuito, maggior prontezza di riflessi.

AAJ: Quindi il tuo rapporto con la composizione è molto cambiato...

L.M.: A tavolino non posso più comporre. Io improvviso pensando a fare un tema. Devo essere ispirato, devo partire seguendo il flusso d'idee di una melodia e basta.

AAJ: Quanto ha influito la tua formazione di matematico negli sviluppi della tua musica?

L.M.: Ha influito molto, soprattutto nell'ambito della costruzione degli accordi perché il mio attuale lavoro è sorretto da una visione squisitamente statistica, con tanto di curve gaussiane... in più sto cercando di individuare i rapporti tra musica, "scienza del caos" e la matematica di Benoit Mandelbrot.

Ho costruito un percorso che mi potesse dare un livello di godimento superiore a quello che era ormai troppo legato alle forme d'espressione boppistica.

AAJ: Questa tua nuova estetica ti ha svincolato anche dall'influenza del cool jazz di Lennie Tristano?

L.M.: Tristano mi è servito tanto da stancarmi di continuare su quella strada. Il problema dei coolsters è stato quello di essere molto concentrati sull'armonia, sui cambi repentini di accordi, col risultato che venivano sacrificati gli aspetti timbrici e la dinamiche. Io mi sono completamente staccato da questo e, visto che non devo più pensare alle armonie, ho più spazi per esprimermi in termini melodici.

Al punto in cui ero arrivato o trovavo un nuovo modo di esprimermi o mettevo la chitarra al chiodo.

AAJ: In questa tua nuova estetica ha svolto un qualche stimolo, o indirizzo, Derek Bailey?

L.M.: Lo conosco veramente poco. Ho sentito alcune cose sue ma non sono entrato nell'anima di quella che è la sua concezione. E' stato un musicista geniale per quanto riguardava la sfera timbrica. Per me appartiene alla schiera di quegli artisti che hanno operato sui colori, sugli assemblaggi dei colori.

Ora io non faccio più ricerche su quella dimensione musicale come in passato, quando vivevo quelle suggestioni. Assieme a Umberto Fiorentino sono stato uno dei primi a usare il synth, con scarsissimi risultati io e con ottimi risultati lui. Il discorso poi l'ho fermato e sono stato attratto dalle strutture interne della musica, dal lavoro sulle note in senso orizzontale e verticale, e dalle scomposizioni ritmiche.

AAJ: Anche in Visionary troviamo molte scomposizioni ritmiche...

L.M.: Si. Ad esempio si lavora su 4/4 mentre la batteria è in 3/4 e viceversa ed altre scomposizioni di vario tipo. Questa libertà nasce dal non pensare più in termini di armonia, come facevo quando m'esprimevo all'interno del cool. Nella mia musica attuale dando uno spazio del 30% al ritmo, un altro 30% alle dinamiche, quello che rimane è pensato in termini di melodia cantabile, di voler esporre una storia. Una storia continuamente puntellata su questo supporto armonico che è a monte. Posso muovermi con una libertà non indifferente.

AAJ: Parliamo un po' della tua storia personale. Che punti di riferimento hai avuto nella tua fase formativa?

L.M.: Ricordo innanzi tutto sassofonisti come Charlie Parker, Sonny Rollins, John Coltrane e, all'interno del Cool Jazz, Warne Marsh, un genio che ha avuto meno riconoscimenti di quelli che meritava. Passando alla chitarra devo fare la distinzione tra il chitarrismo che mi piace ascoltare e quello che mi piace emulare. Nel primo gruppo includo prima di tutto Wes Montgomery ma anche George Benson, Pat Metheny, John Scofield, Bill Frisell.

Tra quelli che ho emulato, ma sempre come concezione base senza ripetere i loro pattern ci sono stati all'inizio Charlie Christian e Tal Farlow. Entrambi mi hanno davvero sconvolto e li ho ascoltati moltissimo.

AAJ: Non hai citato Jim Hall...

L.M.: Di lui mi ha affascinato il trattamento delle pause. Un aspetto che però avevo già cercato di assimilare da Miles Davis. La pausa in termini estetici ha un'importanza grandissima: a chi ascolta offre il piacere di un gioco di contrasti negli sviluppi melodici, al musicista che improvvisa consente di pensare a cosa fare dopo.

AAJ: Quali sono i dischi che consideri più rappresentativi della tua produzione artistica?

L.M.: Il disco iniziale con Pietropaoli e Sferra, Sound Investigations. Lavoravamo sull'interplay tra chitarra e basso e ci ispiravamo al trio storico di Bill Evans, con la differenza che anche Sferra si muoveva completamente libero e cantava assieme agli altri strumenti. In questo Fabrizio è davvero eccezionale: ha vinto anche lo Zecchino d'Oro quand'era bambino... Ricordo poi Something con la stessa formazione sul repertorio dei Beatles. Ed ancora Aforismi dove allo stato embrionale c'è la teoria che ho esposto in Visionary, anche se era basato su schemi precostruiti e la melodia non si muoveva ancora in modo libero.

A gola spiegata, è stato realizzato in completa solitudine mi rappresenta bene. Se dovessi suonare in concerto da solo farei quelle cose. Ed infine l'ultimo lavoro, che è un completo cambiamento di paradigma nella mia musica: Visionary è aperto dall'inizio alla fine e le sequenze armoniche non sono circolari, è tutta una linea aperta che va avanti fino alla conclusione.

AAJ: Tra l'anno 2000 e il 2005 hai avuto una lunga pausa nella produzione discografica, c'è stata una ragione particolare?

L.M.: Non avevo particolari motivazioni ed ero molto concentrato sullo studio teorico, in particolare sulla matematica dei frattali che ha avuto ripercussioni sulla mia musica.

AAJ: Il fatto di vivere in una città di provincia e non abitare più a Roma, ha rappresentato un aspetto negativo?

L.M.: È difficile dirlo. Ha avuto anche aspetti positivi, nel senso che mi ha consentito di operare in modo più concentrato. In una grande città sei per forza di cose spinto a suonare nei locali ed hai meno tempo per la tua ricerca. Se fossi rimasto a Roma forse sarei diventato un turnista... o forse no, chi lo può dire?

AAJ: Come sei approdato a suonare jazz?

L.M.: È stato piuttosto tardi verso i 20-21 anni. All'inizio suonavo in gruppi rock sullo stile Led Zeppelin oppure Emerson Lake & Palmer. Poi ho iniziato a fare standard ed una sera al Folkstudio ho visto Carlo Pes suonare la chitarra e ho veramente pensato di smettere... è scioccante vederti arrivare un uomo con tanto di panza tipo direttore di banca, prende la chitarra e annientarti...

AAJ: Ma per fortuna non hai smesso...

L.M.: No, dopo tre settimane ho ripreso in mano lo strumento e mi sono messo a studiare di brutto cercando di migliorare. Pian piano ho fatto un salto di qualità e le cose andavano bene finchè non ho visto un altro concerto, con Irio De Paula, Giorgio Rosciglione, Mandrake e altri. Ancora la chitarra al chiodo e stavolta per un mese perchè ero letteralmente annientato.

Sono stati grandi stimoli, anche traumatici, ma comunque utili alla crescita... di tutti concerti che si davano a Roma in quegli anni non ne ho perso uno: Bill Evans, Mingus, Max Roach, Dexter Gordon e via discorrendo.

Comments

Tags


For the Love of Jazz
Get the Jazz Near You newsletter All About Jazz has been a pillar of jazz since 1995, championing it as an art form and, more importantly, supporting the musicians who create it. Our enduring commitment has made "AAJ" one of the most culturally important websites of its kind, read by hundreds of thousands of fans, musicians and industry figures every month.

You Can Help
To expand our coverage even further and develop new means to foster jazz discovery and connectivity we need your help. You can become a sustaining member for a modest $20 and in return, we'll immediately hide those pesky ads plus provide access to future articles for a full year. This winning combination will vastly improve your AAJ experience and allow us to vigorously build on the pioneering work we first started in 1995. So enjoy an ad-free AAJ experience and help us remain a positive beacon for jazz by making a donation today.

More

Jazz article: A Conversation with Brad Mehldau
Jazz article: Meet Drummer Danny Gottlieb
Jazz article: Kim Parker: Reminiscing in Jazz

Popular

Get more of a good thing!

Our weekly newsletter highlights our top stories, our special offers, and upcoming jazz events near you.