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Jazz em Agosto 2019

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Jazz em agosto
Lisbona
1-4.8.2019

Resistenza e narrazioni.

Questo in sintesi il filo conduttore dell'edizione 2019 di Jazz em Agosto, in corso di svolgimento come sempre presso la fondazione Gulbenkian a Lisbona. Un'edizione "militante," dunque, sebbene non così originale come in altre occasioni, vista la ripresa di spettacoli già presentati in altri festival lo scorso anno.

Una riflessione ad alta voce e a suoni spiegati su ciò che comporta la negazione dei diritti fondamentali, sempre più compressi in un occidente che ha smarrito la sua vocazione cosmopolita e che ritrova paradossalmente il fascino perverso della crudeltà. Qualcuno potrà osservare che la sinistra in genere riesce ormai solamente a protestare ma non a proporre un modello credibile di aggregazione per chi sta ai margini. Ma se questo è molto vero per il mondo strettamente politico, è compito invece primario per le arti creative ritrovare l'autorevolezza dello spirito critico, troppo spesso oscurato da un generico accomodamento postmoderno.

Spirito critico che non è mai venuto meno nell'opera di Marc Ribot, da sempre tra i musicisti più consapevoli dell'ottundimento culturale in cui siamo immersi e pronto a reagire talvolta anche pagando di persona per le sue posizioni schierate. Il suo lavoro di recupero delle "protest songs" americane degli ultimi decenni ha trovato notevole riscontro critico nel disco Songs of Resistance 1942-2018, ma emerge con molta più urgenza sul palcoscenico, acquistando un'intensità e un furore che in studio faticano a venir fuori. A Lisbona, Ribot ha offerto un set di grande spessore. Dapprima disturbato da problemi tecnici, con un amplificatore saltato durante il primo pezzo, ha via via dato sfogo ad un'anima riottosa, mai pacificata, sia nelle convulse esecuzioni di stampo rock e latin, sia nelle sghembe ballate per chitarra e voce, che riportano Ribot all'essenza del folk e del blues. Il gruppo ha raggiunto una compattezza molto maggiore rispetto ai concerti di esordio, basti ascoltare l'irresistibile versione di "The Big Fool" oppure l'essenziale pezzo di teatro-musica realizzato in "I Resist I Refuse," in cui il chitarrista diventa maestro di spoken word in un crescendo sorprendente.

I nuovi innesti solistici hanno giovato al sound complessivo: confermato Jay Rodriguez ai fiati, spicca il gioco percussivo di Reinaldo de Jesus (Antibalas), e brilla la ritmica formata da Brad Jones al basso e da un impeccabile Ches Smith alla batteria.

Una prospettiva africana-americana sul tema della resistenza culturale è venuta da "Heroes Are Gang Leaders," collettivo di poesia e musica fondato qualche anno fa da James Brandon Lewis (sassofoni) e Thomas Sayers Ellis (voce recitante). L'idea è nata di getto subito dopo la scompara di Amiri Baraka, non solo per rendergli un doversoso tributo, ma per elaborarne una possibile eredità spirituale e politica. Un ensemble di dodici elementi, in cui funge da perno musicale il trio di Lewis, con tre voci recitanti, una cantante tradizionale, piano, chitarra, tromba e viola.

Dopo le "Amiri Baraka Sessions," il repertorio ora verte in nuove composizioni dove il grande intellettuale scomparso diventa il nume tutelare, il punto di riferimento stilistico e maestro di vita, ma dove la creatività personale deve giocare le sue carte e trovare i suoi registri espressivi.

È un set rutilante e monocromo, con diverse storie raccontate a gran velocità, impossibili da decifrare per chi non possiede un inglese (anzi, un americano..) di prim'ordine. Orgoglio nero serissimo ma anche ironico e sdrammatizzante, tecniche di doppi significati e riferimenti all'attualità, musiche cariche di riff, tra jazz di sintesi e funk storicizzato, Heroes Are Gang Leaders hanno divertito e fatto riflettere, pur con un set non privo di sbavature e lungaggini. James Brandon Lewis è bravo a non prendersi la scena e a lavorare per il gruppo, belle cose sentiremo dalla giovane pianista e cantante Jenna Camille.

Non capita spesso di incontrare nei festival europei il quartetto Burning Ghosts, esponente della scena più estrema della California, documentato anche da Zorn in un CD Tzadik. Jazz em Agosto lo ha inserito proprio il sabato sera all'Anfiteatro Ar Livre e il gruppo ha ripagato l'attenzione con un concerto vibrante, assai acuto nei decibel ma anche di notevole sostanza musicale.

L'idea è quella di far interagire composizioni tecnicissime, di un virtuosismo esecutivo assoluto, con un controcanto di chitarra elettrica heavy-rock talora spiazzante e iper-cinetico. L'inizio è debitore sia di Braxton che di Zorn, con architetture tematiche zigzaganti, accelerazioni e rallentamenti costruiti ad arte, esplosioni e dissolvenze incrociate. Poi c'è un'oasi lirico-meditativa con un tributo a Charlie Haden, infine l'alternarsi di pezzi granitici e trascinanti, non tutti memorabili. Debordanti le parti solistiche, da quelle del leader trombettista Daniel Rosenboom a quelle del chitarrista Jake Vossler; muscolare la ritmica di Aaron Mclendon (batteria) e Richard Giddens (contrabbasso).

Scelta la sede del Grande Auditorium invece per Mandorla Awakening, l'opera della flautista e compositrice Nicole Mitchell, che ha riproposto l'ottetto di scena lo scorso anno a Saalfelden, con risultati molto più focalizzati e convincenti. Il fatto di avere a disposizione prove accurate e la serata tutta per sé, un pubblico numerosissimo e un'atmosfera di grande attesa, ha ispirato Mitchell per una prova maiuscola, salutata alla fine da un tripudio di applausi con tutti gli spettatori in piedi.

Le musiche di questa favola fantascientifica-distopica ma piena di speranza di redenzione si reggono su una frammentazione di episodi, su pannelli sonori che si intersecano mutando costantemente carattere. Ci sono sequenze drammatiche, astratte, mistiche, e poi invece trame danzanti e melodicamente accattivanti; spazi per un rock psichedelico allucinato e descrizioni quasi bucoliche, con flauti, shakuhachi, strumenti a corde e a percussioni orientali; infine un'esplosione soul con la sciamanica voce di Avery R. Young, che ha sciolto la tensione d'insieme con una performance di grande impatto emotivo. Hanno funzionato il montaggio delle parti e la brillantezza dei solisti, con interventi splendidi del cello di Tomeka Reid, del violino di Mazz Swift, di shamisen e taiko di Tatsu Aoki, nonché del flauto di Nicole Mitchell.

I pomeriggi nell'auditorium minore, ascoltati un magnifico duetto di improvvisazione tra Ingrid Laubrock ai sassofoni e Tom Rainey alla batteria, un intenso assolo di elettronica di Maja S.K. Ratkje, e un quartetto composto da Ricardo Toscano, Rodrigo Pinheiro, Miguel Mira e Gabriel Ferrandini.

La seconda parte di Jazz em Agosto, alla quale non abbiamo potuto assistere, era in programma dall'8 al 11 e ospitava altrettanto notevoli concerti, da Mary Halvorson ad Ambrose Akinmusire, da Joey Baron a Tomas Fujiwara, da Zeena Parkins a Théo Ceccaldi.

Foto: Petra Cvelbar (per gentile concessione di Jazz em Agosto)

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