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Irene Grandi e Stefano Bollani
ByIrene Grandi e Stefano Bollani: un'omonima uscita discografica, che include cover di vario genere più qualche inedito, e una serie di date promozionali in giro per l'Italia. È questo forse il tipo di operazione che allontana Bollani dal gradimento di chi pensa al jazz come materia elitaria, perimetrata a un determinato suono. È la riuscita di questo genere di operazioni che fa pensare a molti che Stefano Bollani sia uno dei migliori jazzisti in circolazione. Questi ultimi, ma probabilmente anche qualcuno che la pensa in maniera diversa, hanno riempito la Sala Santa Cecilia del Parco della Musica di Roma, che dopo aver concesso il meritato spazio al Festival del Cinema ha riaperto il palco all 36^ edizione del Roma Jazz Festival.
I due prima di essere Bollani e Grandi sono Stefano e Irene, amici che hanno intrapreso insieme l'avventura nella musica più di venti anni fa nella band La Forma, un lasso di tempo che li ha visti percorrere sentieri diversi, con qualche incontro occasionale. Oggi dividono lo stesso palco e sembrano una di quelle coppie rodate da una carriera consumata insieme. C'è feeling, si avverte un'empatia palpabile e c'è molta voglia di divertirsi, sia con i siparietti scherzosi di Bollani che ricorda che "nel jazz quello che suona è più importante di quello che canta," ma anche nell'attraversare un repertorio trasversale che conosce diversi momenti chiaroscurali, intensi, quasi intimi. Scaletta costruita con sagacia, che pesca spesso nel pop di qualità, qualcosa dalla musica brasiliana, poco e niente dal jazz in senso stretto. I riflettori sono per la voce della Grandi, mutevole, preziosa e corredata da alcuni effetti apparsi un po' superflui, mentre Bollani - in alcune situazioni anche al piano elettrico - riesce a muoversi in retroguardia con un eclettismo che gli consente di rendere personale anche un brano come "Viva la pappa col pomodoro," qui virato da una sorta di inquietudine che non ti aspetti.
È il saper plasmare i brani e legarli con grande sensibilità l'elemento che più di altri ha reso il concerto un'occasione veramente speciale: "Prima di partire per un lungo viaggio" è cantata in punta di voce, poi è lasciata a un solo di Bollani che ne smembra la melodia, la ricostruisce e trova lo spiraglio per far nascere "No Surprises" dei Radiohead. Sono brividi. Emozioni che affiorano anche grazie al pezzo di Niccolò Fabi "Costruire," e subito dopo è lo stesso cantautore romano a spuntare sul palco a sorpresa per duettare con la Grandi in una versione di "Oriente" di una spontaneità clamorosa. Tra le cose migliori va sottolineata "Come non mi hai visto mai," un brano scritto da Cristina Donà che grazie alla voce di Irene Grandi aggiunge ulteriori motivi di interesse a una performance che raccoglie applausi e si conclude con un doppio bis, dove troviamo la conclusiva "Se tu non torni" di Miguel Bosè, così poco jazzy, è vero, ma che continua a rimbalzarci in mente anche sulla strada verso casa, semplicemente perché forte di una bella melodia - nella sua accezione più alta - e di un testo cantabile.
È questo genere di cose a farci credere che i preconcetti sono sbagliati a prescindere e che gli artisti hanno valore o meno a prescindere dal repertorio che li vede impeganti e dalla collocazione dei loro dischi sugli scaffali.
Foto di Roberto Paviglianiti
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