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Intervista a Enrico Terragnoli

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Se vi prendete la briga di scorrere il catalogo de El Gallo Rojo scoprirete che il suo nome compare in gran parte delle registrazioni pubblicate anche se (ahinoi) i dischi a suo nome sono soltanto due... Il suo stile è immediatamente riconoscibile perché non assomiglia a nessuno in particolare, così come assai particolare è il suo rapporto con l'elettronica (scoprite cos'è il podophono e capirete il perché). Ma ha da poco scoperto il banjo ed è stato amore a prima vista. Questo e molto altro ci racconta il chitarrista veronese Enrico Terragnoli in questa intervista.

All About Jazz: Come è nata la tua passione per la musica ?

Enrico Terragnoli: Come capita spesso mi è stata infusa dalla famiglia: mio padre suonava la chitarra e mi ha trasmesso la passione per lo strumento, mia madre cantava e con lei tutti i miei parenti... Ho frequentato fin da piccolo il palcoscenico. Subito dopo aver imparato i primi accordi ho iniziato a suonare in un trio da ballo con mio zio e mio cugino. A pensarci bene non parlerei esattamente di passione per la musica... la musica era ed è semplicemente parte della mia vita, come una sorella.(Che per inciso ho veramente, Elena, una bravissima flautista).

AAJ: Quando hai pensato seriamente di diventare musicista ?

E.T.: La prima volta che non ho pagato la cena dopo un concerto! A parte gli scherzi, non c'è stato un momento preciso. Anzi: probabilmente non ci ho mai pensato. Un succedersi di eventi, incontri e passioni mi hanno semplicemente condotto qui.

AAJ: Hai inciso e suonato con il meglio della scena creativa italiana e del downtown newyorchese ma solo due dischi a tuo nome. Una scelta precisa o...

E.T.: In realtà, se è pur vero che i progetti tecnicamente a mio nome sono solamente due, sono membro di parecchi gruppi a nome collettivo tra i quali, solo per citare quelli editi da Gallo Rojo: Mickey Finn, Rollerball, Houdini's Cage, The Humans e, recentissimo, The Leaping Fish. Amo molto la dimensione di gruppo per il feedback positivo che si crea in certi momenti. La dimensione "ludica," (che adoro, quando non la odio..) è un aspetto importantissimo del mio approccio musicale e in gruppo si è sempre un po' giocatori. Quando si è leader le responsabilità logistiche sfiancano... Soprattutto quando si lavora con gli amici, vedi Orchestra Vertical: vorresti per loro il meglio! Per 9 code invece è stato tutto molto semplice.

AAJ: Parliamo proprio di queste incisioni. La prima, L'anniversaire dell'Orchestra Vertical, risale al 2005 ed è piuttosto insolita. Chanson francese, mambo, klezmer e altro. Come è nata e come si è sviluppata l'idea?

E.T.: Devo dire che la genesi del progetto è dovuta ad una serie di persone che mi sono tutte care. Mia moglie, Claudia Bidoli mi ha ispirato l'idea dell'uso del francese per i testi che poi lei stessa ha scritto e cantato. Zeno De Rossi nei lunghi viaggi in macchina mi ha "bombardato" di musica klezmer ed è stato fondamentale per la riuscita del progetto: mi ha portato in casa, letteralmente, molti dei musicisti presenti nel lavoro! (Come saprai il disco è stato registrato esclusivamente in sovraincisione e nelle varie case dei musicisti coinvolti). Giorgio Signoretti, un chitarrista che ammiro oltremodo, mi ha fatto conoscere un disco di Ry Cooder Mambo sinuendo che ho consumato. Ecco, i tre elementi che hai citato sono comparsi così. Devo però aggiungere che il tutto è stato reso possibile da un'entità imprescindibile che proprio in quei giorni prendeva forma: il collettivo Gallo Rojo.

AAJ: L'ultima, 9 code, appena uscita, è un duo assai sperimentale completamente improvvisato con il batterista Franco Dal Monego. Su quali criteri avete basato la registrazione di questo disco?

E.T.: Non abbiamo stabilito quasi nulla. Dopo qualche prova ci siamo resi conto della piena compatibilità reciproca e abbiamo deciso di registrare. Franco è un eccezionale batterista ed ha un incredibile controllo delle sonorità del suo strumento. "Dialogare" con lui è stata una bellissima esperienza artistica. Io, personalmente, ho voluto sondare le possibilità espressive che scaturiscono "allontanandosi" dalla chitarra, passeggiandovi intorno, andando a soffiare in un flauto o in un'armonica lì vicini. Il mio strumento convive da tempo con modalità esecutive che vanno a scavare tra i suoi lati oscuri, i rumori, i difetti: i suoni "esterni" alla pura corda vibrante. Ho voluto proseguire in questa direzione...

AAJ: Un altro lavoro che non è a tuo nome ma nel quale scrivi otto dei dieci brani è Memories of a Barber di Houdini's Cage. ...che ha un alone americano. È risultata determinante la presenza di Greg Cohen in questo senso?

E.T.: Naturalmente... Anzi, ripensandoci, devo dire che le mie composizioni sono state ispirate più da lui che da Houdini!

AAJ: Come nascono le tue composizioni? Quali sono le tue fonti di ispirazione?

E.T.: Non ho un metodo preciso... A volte mi immagino un commento sonoro ad una situazione, un paesaggio, una persona. Oppure può capitare che l'ispirazione sia tutta musicale: un intervallo, una figurazione ritmica, una melodia che ho intra-sentito, un timbro... Ultimamente mi piacciono le cose facili.

AAJ: Il tuo modo di suonare la chitarra è decisamente anomalo nel panorama attuale. Ci sono forti richiami al blues e al rock ma altrettanto forti tensioni verso la sperimentazione e la ricerca sul suono. Come è venuto a formarsi questo stile chitarristico? Quale elemento ti appassiona maggiormente nell'approccio allo strumento?

E.T.: Amo la chitarra elettrica per la facilità con la quale si possono evocare, con una sola pennata, mondi estetici lontanissimi tra loro. Si possono suggerire, con pochissimi elementi, coordinate espressive estremamente precise. Questo però è anche una "gabbia dorata" in cui lo strumento viene sempre più spesso relegato. Se ne fa, cioè, un uso citazionistico, di facile presa, di pronta riconoscibilità. Anch'io talvolta lo faccio... e me ne scuso! Insomma, il mio approccio strumentale è dato per un estremo da una lunga pratica del jazz (soprattutto) e di altri generi "chitarristici" e per l'altro da una assidua ricerca personale su strumento e dintorni, vedi l'uso dell'elettronica.

AAJ: A proposito di ricerca e di elettronica usi il podophono, un marchingegno da te inventato. Ci puoi spiegare in cosa consiste?

E.T.: "Podophono" è il nome dato da Fabio Basile, il leader dei Full Metal Klezmer, al mini campionatore a tastiera che collego alla chitarra e che suono, spesso, con un piede... Si tratta del Casio SK1, glorioso quasi-giocattolo degli anni ottanta. Non ho "inventato" lo strumento, però ammetto che ne faccio un uso decisamente personale.

AAJ: Come vedi l'uso sempre più massiccio e spesso modaiolo dell'elettronica?

E.T.: La chitarra elettrica, per il fatto che quasi non si sente se non amplificata, è lo strumento perfetto per essere "manipolato" elettronicamente. Da un po' di tempo si assiste ad un ritorno in grande stile del suono "classico": chitarra e amplificatore. Sull'altro versante hanno fatto il loro ingresso, come processori di segnale, i computer portatili e i tablets... Sinceramente, lascerei piena libertà!

AAJ: Quali pensi possano essere gli scenari possibili per il ruolo della chitarra nella musica improvvisata ?

E.T.: Considero la chitarra alla stregua degli altri strumenti. Sono i musicisti che dovrebbero aprire scenari.

AAJ: Hai composto la musica per numerosi spettacoli della compagnia di danza Ersilia di Laura Corradi. Come è nata questa collaborazione e quali sono gli aspetti che ti intrigano di più di questa esperienza ?

E.T.: Da molti anni collaboro con Laura, recentemente insieme a Fabio Basile. Per me si tratta di creare delle musiche su delle sequenze di movimenti già stabilite, accompagnate da varie indicazioni, anche extramusicali, fornite dalla coreografa. L'aspetto interessante è che dovendo la musica adattarsi al movimento, sono costretto ad adottare soluzioni melodiche e metriche spesso anomale, non scontate. Molto impegno - e sudore! - ma una fantastica esperienza professionale.

AAJ: Progetti attuali e futuri?

E.T.: L'ultima cosa che ho registrato, un disco con Paolo Botti e Zeno De Rossi: il trio The Leaping Fish. In questo gruppo suono quasi sempre il banjo. Strumento fantastico: il futuro!

Foto di Claudio Casanova.


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