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Intervista a Carlo Costa

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La mancanza di preconcetti e di idee precostituite sono necessarie per avvicinarsi a qualsiasi forma d'arte che esce dagli schemi conosciuti.
Carlo Costa è un batterista che ha scelto di trasferirsi a New York per respirare e nutrirsi degli stimoli che la scena musicale della grande mela offre continuamente. Ha da poco data alle stampe Saturnismo, disco realizzato con il trio Minerva, una realtà attraverso la quale si accinge a esplorare terrritori musicali inediti e lidi incontaminati di espressività. Carlo Costa ama curiosare, e le risposte che ci ha dato spiegano molto del suo modo di fare musica.

All About Jazz Italia: Raccontaci come è andato il primo incontro con la batteria e con il jazz.

Carlo Costa: Quando avevo dieci anni mia madre mi ha proposto di scegliere uno strumento e di prendere delle lezioni in una scuola di musica. Io ho scelto la batteria perché mi piaceva il rock, in particolare i Guns 'N' Roses. Dopo aver studiato la batteria come passatempo per qualche anno, ho iniziato a prendere la musica sul serio e mi sono avvicinato al jazz. L'amore per il jazz me lo ha trasmesso mio padre, che è un grande fan di jazz dalla fine degli anni '50. Fin da bambino ricordo di aver ascoltato dischi di Art Blakey and the Jazz Messengers, The Modern Jazz Quartet, Miles Davis, Coltrane, Monk, ecc... A Roma ho studiato al St. Louis Music Center e poi a 18 anni mi sono trasferito a Boston per frequentare la Berklee. Lì ho trovato una comunità molto internazionale e diversificata, e sono stato esposto a molta musica che non avevo mai ascoltato prima: la scena Downtown di New York, musica Classica contemporanea, musiche folcloristiche di varia provenienza. Dopo la Berklee mi sono trasferito a New York per frequentare un master in jazz al City College. Negli anni ho avuto l'opportunità di studiare con Jamie Haddad, Ian Froman, Susie Ibarra, Adam Cruz, Joe Lovano, Ellery Eskelin e John Patitucci.

AAJ: Quando hai capito di essere diventato musicista a tutti gli effetti?

C.C.: Non so se posso chiamarmi un musicista a tutti gli effetti! Ho moltissimo ancora da imparare sulla musica, e sono piuttosto sicuro che non arriverà mai il momento in cui mi sentirò completamente affermato. Spero di non smettere mai di migliorare, di studiare la musica e di perfezionare il mio strumento, la composizione e l'improvvisazione. Poco tempo fa il chitarrista Todd Neufeld, un mio caro amico, mi ha fatto ascoltare una registrazione che ha inciso recentemente con lo storico pianista giapponese Masabumi Kikuchi. Sono rimasto sorpreso di come a 72 anni Kikuchi stia ancora cambiando il suo stile, stia ancora evolvendo attraverso una intensa e profonda ricerca. Mi auguro di riuscire a fare altrettanto.

AAJ: Quali sono i motivi per lasciare Roma per andare a vivere e suonare a New York?

C.C.: Il motivo principale per cui ho deciso di abitare a New York è la vasta ed affiatata comunità di musicisti che ho trovato qui. La comunità musicale di New York infatti è molto varia e ricca, ed è di vitale importanza per me. Qui moltissimi musicisti si conoscono, si rispettano e collaborano anche se hanno visioni o aspirazioni musicali molto diverse, e molti sono curiosi di ascoltare o suonare con nuovi musicisti. Questo tipo di ambiente è molto stimolante per un giovane musicista. Ormai, dopo aver vissuto dieci anni negli USA, non posso dire di conoscere bene Roma per quanto riguarda la musica, ma mi sembra cha a Roma questo tipo di comunità non ci sia. Mi sembra che a Roma la scena musicale sia frammentata, quindi forse manca un forte senso di comunità. Un problema che sicuramente influisce è il fatto che a Roma ci sia pochissima musica dal vivo nei locali.

AAJ: Il tuo nuovo lavoro in trio - con JP Schlegelmilch al piano e Pascal Niggenkemper al basso - dal titolo Saturnismo esula da forme e concetti precostituiti. Come nasce la vostra improvvisazione?

C.C.: La nostra musica nasce da un comune interesse artistico. Nel trio Minerva cerchiamo di contribuire in maniera paritaria. L'idea è quella di un "collettivo" in cui nessuno strumento prevalga sugli altri. Anche se a volte uno degli strumenti è in primo piano, il contributo degli "accompagnatori" è sempre creativo e non limitato ai ruoli tradizionali. L'idea di base della nostra improvvisazione è quella di lasciare aperte tutte le porte, niente è giusto o sbagliato e tutto è possibile. Ognuno sa che tutti gli input saranno accolti dagli altri e utilizzato come spunto per esplorare nuovi territori.

AAJ: Qual è il significato del titolo?

C.C.: "Saturnismo" è il nome della prima composizione che ho scritto per Minerva, ed è anche la prima traccia sul disco. Nell'antica Roma si usava conservare il vino in botti di piombo le quali nell'ossidarsi conferivano al vino un sapore dolciastro molto apprezzato. Secondo alcuni storici la pazzia che ha afflitto alcuni imperatori, come Caligola e Tiberio, era dovuta a un'intossicazione causata dal piombo presente nel vino. Saturnismo è il nome che è stato dato nell'antica Roma a questa strana follia che affliggeva alcuni imperatori e parte della classe dirigente romana.

AAJ: La vostra musica percorre linee di condotta lontane dalle consuetudini. Quanta voglia di esplorazione avete e quanta ambizione c'è nello scegliere una cifra stilistica così particolare?

C.C.: Credo che la nostra curiosità creativa sia l'elemento fondamentale del trio. I parametri di riferimento sono continuamente messi in discussione e cambiati, sia nelle improvvisazioni che nelle composizioni. In questo senso l'esplorazione ci guida nella nostra progressione attraverso una serie di fallimenti e successi. Questo tipo di processo è faticoso, necessita molte energie e garantisce poche certezze, ma allo stesso tempo rende la musica sempre fresca e ci spinge a una ricerca continua.

AAJ: Chi è l'ascoltatore ideale di Saturnismo?

C.C.: Chiunque abbia la curiosità e la pazienza di ascoltare qualcosa che non rientra nei canoni usuali. Inoltre la mancanza di preconcetti e di idee precostituite sono necessarie per avvicinarsi a qualsiasi forma d'arte che esce dagli schemi conosciuti.

AAJ: Quali sono gli aspetti sui quali vuoi concentrarti per progredire ulteriormente e i punti di forza del tuo modo di fare musica?

C.C.: Vorrei migliorare come improvvisatore, compositore e come strumentista. In pratica tutto! In particolare, vorrei che il mio modo di suonare fosse sempre più naturale, sicuro ed emotivamente coinvolgente. Ultimamente mi sto concertando sull'improvvisazione e in futuro vorrei intraprendere un progetto in solo. Credo che realizzare un progetto in solo sia molto importante per qualsiasi improvvisatore. Forse i miei maggiori punti di forza sono la voglia di ricerca e la curiosità.

AAJ: Se accendo il tuo iPod, cosa trovo in play?

C.C.: Troveresti molte musiche diverse: dall'Opera alla musica tradizionale africana, da band indie rock di Brooklyn a musica classica contemporanea, ecc. Tutto ciò che è ben fatto mi attira e mi interessa. Ultimamente in particolare sto ascoltando Mural di Jim Denley, Kim Myhr ed Ingar Zach, Finally Out of My Hands e Congs for Brums di Ches Smith, una registrazione di The Viola of My Life (I-IV) di Morton Feldman e vari dischi di Thelonious Monk.

AAJ: Nella tua vita, oltre che per la musica, quali altri interessi o passioni coltivi?

C.C.: In generale mi interessano l'arte visiva, la letteratura ed i film d'essai. Io e mia moglie andiamo spesso a visitare i musei di New York, in particolare il MoMA, che ha una vasta collezione di quadri di espressionismo astratto, un movimento artistico che mi interessa molto - in particolare sono un fan di De Kooning, Motherwell, e Rothko. Un'altra cosa che ci piace fare molto è scoprire quartieri e locali di New York, un città che è in perenne cambiamento.


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