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Intervista a Augusto Pirodda

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Nasce in una terra meravigliosa come la Sardegna, ricca di bellezze naturali così come di talentuosi musicisti, ma appena si presenta l'occasione fugge all'estero, precisamente in Olanda. Più o meno all'età di diciassette anni gli viene chiesto di formare una jazz band, lui accetta con entusiasmo ma domanda: "Cos'è il jazz?". In oltre vent'anni di carriera incide solo tre dischi a proprio nome ma il primo è un duo di pianoforti, il secondo è un piano solo e nel terzo è accompagnato da Gary Peacock e Paul Motian. Si chiama Augusto Pirodda, suona il pianoforte, e pensiamo ci sia più di un buon motivo per porgli qualche domanda.

All About Jazz: Quando e come nasce la passione per la musica in generale e per il pianoforte in particolare ?

Augusto Pirodda: Da quando sono nato sentivo mio padre suonare il pianoforte.

E' da lui che ho imparato le prime cose. Suonava musica pop italiana e americana degli anni sessanta. Inoltre ogni tanto ascoltava musica classica ed era una cosa che mi ipnotizzava e mi faceva stare fermo ad ascoltare. Avevo circa tre anni, ma le prime lezioni di piano le ho prese a sei anni

AAJ: Provieni da una terra - la Sardegna - che oltre ad una natura spettacolare produce straordinari musicisti nell'ambito della musica jazz e improvvisata. Quali sono secondo te le ragioni di questo fenomeno?

A.P.: Onestamente non saprei dire. Credo che si trovino musicisti straordinari dappertutto, ed anche la Sardegna, come giustamente dici, ha dato natali a parecchi artisti di notevole talento.

AAJ: Rimanendo in tema di radici sarde vanti una proficua collaborazione con il gruppo vocale Balentes, che ha dato origine a due CD...

A.P.: Si, abbiamo lavorato insieme tanti anni. Inizialmente mi occupavo fondamentalmente di arrangiare alcuni brani, oltre che suonare nei concerti, e dopo un po' ho anche cominciato a scrivere, per lo più a quattro mani, con Rossella Faa, fondatrice e tra le prime cantanti del trio vocale. In realtà non ho mai avuto una grande esperienza nel campo della musica etnica, e le cose che ho scritto erano una specie di via di mezzo tra il pop, l'etnico, il tutto con un linguaggio che certe volte era un po' diciamo... jazzoso... se mi passi il termine. Alcune cose carine, altre meno.

AAJ: Per un certo periodo della tua carriera hai assiduamente operato nell'ambito della musica leggera (Grazia Di Michele, Scialpi, etc. ). Come si inserisce nel tuo percorso artistico e quale contributo ha fornito alla tua crescita personale?

A.P.: In Sardegna non si aveva molta scelta. Se volevi lavorare dovevi fare mille cose e soprattutto pop. A dirti la verità da un punto di vista artistico e di crescita personale da queste esperienze non ho ricavato niente. E' stato divertente farlo perché stavo insieme ad un gruppo di amici coi quali mi trovavo bene, ma ho anche guardato negli occhi una realtà musicale brutta, uno dei motivi che mi ha spinto a lasciare la Sardegna.

Una realtà, quella delle feste di piazza, nelle mani di persone (impresari) che si arricchiscono sulle spalle dei musicisti, che non vedono riconosciuto in modo adeguato il lavoro che fanno, un po'come se ti stessero facendo un favore a farti lavorare. Abbastanza triste e sconfortante, devo dire.

AAJ: Lontano dalla tua terra, e precisamente in Olanda, ti rechi per studiare pianoforte al Koninklijk Conservatorium. Desiderio di ampliare i propri orizzonti, o...

A.P.: Era il 1998. Avevo bisogno di andare via. Non riuscivo a trovare nessuno stimolo nel mondo musicale che mi circondava, e sfortunatamente non ero abbastanza bravo ad auto-stimolarmi, ed in quel momento mi si e' presentata l'occasione di trasferirmi in Olanda per studiare. Avevo un caro amico che viveva e studiava all'Aja, Alessandro Diliberto, ottimo pianista, ed era la scelta più semplice sotto diversi punti di vista, artistico, economico. Non era particolarmente importante l'Olanda, volevo scappare. Onestamente avevo molta paura. E'stata indubbiamente una delle scelte più indovinate che abbia mai fatto.

AAJ: In Olanda hai conosciuto l'attrice/ballerina Neel de Jong con la quale ti sei esibito al prestigioso Fringe Festival di Edimburgo. Un'esperienza assai stimolante...

A.P.: Questo e' successo parecchi anni dopo, nel 2006, quando sono ritornato in Olanda dopo il diploma. L'incontro con Neel de Jong e' stato una delle tappe più importanti nel mio sviluppo artistico. Non avevo mai visto una così grande dedizione nei confronti dell'arte, un'onesta,' una serietà, una costante crescita che alla fine con l'arte non aveva più niente a che fare. L'arte era solo un mezzo. Anche grazie a Neel, la musica e' diventata un mezzo per migliorare la mia persona. Solo un'altra persona negli anni precedenti mi aveva mostrato una strada simile, ma non ero ancora pronto a capire. Manolo Cabras, contrabbassista, mio carissimo amico con il quale suono da più di vent'anni, e che fa parte del mio trio e del mio quartetto.

AAJ: Veniamo alla produzione discografica a tuo nome. Solo tre dischi ma decisamente fuori dall'ordinario. Presentarsi al debutto con un duo per pianoforti sembra un'idea quasi folle...

A.P.: Eh, eh, non ci abbiamo pensato molto. La storia con Michal Vanoucek e' una storia di amicizia. Ci siamo conosciuti al Koninklijk Conservatorium e durante il mio ultimo anno di studio, 2001-2002, casualmente abbiamo cominciato a suonare insieme in un'aula dove c'erano due pianoforti. Amore a prima vista. Quel progetto rappresenta il primo vero momento in cui mi sono sentito libero nella musica. Non mi era mai successo prima. Una sensazione meravigliosa. Durante l'anno mi contattò Paolo Fresu per partecipare al festival "Nuoro Jazz 2002" ed io non ho avuto alcun dubbio. Volevo portare il mio duo. Il concerto e' stato registrato e la Splasc(H) ha accettato di produrlo. Bello. Il mio primo disco a mio nome, con un progetto per me importantissimo.

AAJ: Nonostante la presenza di standards Live in Nuoro presenta un approccio originale lontano dai cliché del genere con l'improvvisazione che la fa da padrone in un gioco (controcorrente) di sottrazione più che di enfasi descrittiva...

A.P.: Ci accomunava l'amore per l'avventura. Ci piaceva molto trattare il materiale compositivo nel modo più aperto possibile, che fossero brani nostri o standard non aveva importanza. Erano pezzi. E la cosa bella secondo me e' che non ne abbiamo mai parlato. Abbiamo suonato. Tanto. In quell'anno abbiamo riempito più di trenta minidisk di musica. Registravamo praticamente tutte le settimane.

AAJ: Il secondo CD è ancora una corsa ad ostacoli perché ti presenti solo al pianoforte. Altra sfida da far tremare i polsi...

A.P.: Anche questo e' stato un po' un caso. Non avrei mai pensato di fare un disco in piano solo, fino a che una mia amica cantante, Emilia Vancini, con la quale facevo ogni tanto dei concerti e che mi aveva chiesto di preparare degli arrangiamenti per il suo disco, mi disse che secondo lei avrei dovuto farlo e che lo avrebbe prodotto lei. Non mi era mai successo che qualcuno mi chiedesse una cosa del genere. Ho accettato ed e' stata la prima volta che mi sono trovato a chiedermi: "Perché suono il pianoforte?". Una domandona!! Cosa volevo mettere in un disco in piano solo? Non sapevo neanche come scoprirlo. Volevo essere io, al cento per cento. No compromessi. Ho cominciato a registrarmi mentre improvvisavo ed e' stata una svolta. Ho imparato moltissimo dalla preparazione di Moving. In quel periodo avevo appena conosciuto Neel de Jong e lavorare con lei mi e' stato di grande aiuto per cercare dentro di me ciò che volevo dire.

AAJ: Moving presenta una cifra intimista introspettiva che si apre ad improvvise deflagrazioni che coinvolgono lo strumento nella sua interezza...

A.P.: Ero io, in quel momento. Cercavo la libertà. Ero triste, arrabbiato, depresso, impaurito, ma anche felice, un po' scemo, ingenuo. Credo si senta tutto nel disco. Era l'inizio di un processo ancora in atto, che, comincio a credere, non avrà mai fine.

AAJ: No Comment , la tua ultima fatica discografica ti vede impegnato con Paul Motian e Gary Peacock, due leggende viventi. Come è avvenuto il contatto e come si è sviluppata la seduta di registrazione?

A.P.: Era un sogno. Voglio dire, alzi la mano il jazzista che non vorrebbe un giorno trovarsi in uno studio con Gary Peacock e Paul Motian a registrare la propria musica. Una delle tante volte che li ascoltavo - Tethered Moon (trio meraviglioso con Masabumi Kikuchi al pianoforte) - all'improvviso ho pensato :"Ma e' veramente impossibile che una volta nella mia vita non mi possa succedere di suonare con loro? Vediamo!". No. Non era impossibile. Li ho contattati, si sono subito mostrati disponibili, all'improvviso ho trovato i soldi necessari, e mi sono detto: "Se non lo faccio lo rimpiangerò per sempre". Con molto timore sono andato a Brooklyn e me li sono trovati in studio. Che bello. Non ci potevo credere. Ero a New York e stavo per registrare con Gary Peacock e Paul Motian. Incredibile!! Me lo avessero detto qualche anno prima non ci avrei mai creduto. Dopo un anno durante il quale ho mandato il disco a varie etichette - in Italia alcune labels anche importanti non lo hanno neanche voluto ascoltare - mi ha risposto Ulli Blobel, fondatore dell'etichetta Berlinese "Jazz Werkstatt". Era entusiasta del disco e voleva produrlo lui. Abbiamo trovato un accordo molto rapidamente e a maggio 2011 avevo finalmente il disco finito nelle mie mani. Hi, hi... non riuscivo a smettere di ridere....

AAJ: C'è stato un episodio particolare che ti ha colpito lavorando con Motian e Peacock?

A.P.: E' stato molto divertente sentirli parlare fra loro, quando ricordavano i tempi in cui insieme suonavano con Bill Evans, sai, di quelle storie che diventano leggenda fra i musicisti jazz. E devo dire che neanche per un momento mi hanno fatto sentire a disagio davanti a loro. Sono stati grandi. Hanno affrontato la musica in modo umile, serio e professionale, da grandi artisti quali sono. E hanno suonato! Hanno veramente suonato! Io volevo loro, la loro musica, nel mio disco, e mi hanno accontentato.

AAJ: Cosa bolle in pentola nell'immediato futuro di Augusto Pirodda?

A.P.: Vorrei fare uscire un disco che ho registrato l'anno scorso con il mio quartetto e vorrei fare un altro disco in solo. Presto o tardi succederanno entrambe le cose. Nel frattempo continuerò a studiare e a scoprire chi sono, usando il pianoforte.


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