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Insalata d'ance dal duo al quartetto: Gebhard Ullmann e dintorni

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La partenza di questa nostra odierna circumnavigazione, che di primo acchito potrà anche apparire stravagante ma le cui motivazioni confidiamo appariranno poi piuttosto chiare, ha un nome e un cognome: Gebhard Ullmann, notevole sassofonista e clarinettista tedesco di cui ci occupiamo sempre volentieri. Nella fattispecie, lo troviamo coinvolto in tre recenti album (in un caso come sideman, negli altri due come coleader) entro i quali andiamo a spulciare procedendo a ritroso, cioè a scendere dall'organico più nutrito al più magro.

Scott DuBois
Winter Light
Act Music (2015)
Valutazione: * * * ½

Notata -e quindi sottolineata -la stringatezza dei titoli che accomuna i lavori di cui ci occupiamo, tutti di una sola parola tranne il primo, che ne ha due, e comunque nessuno con più di undici caratteri (forse non si tratta di un mero rilievo statistico: potremmo ipotizzare ragioni più profonde), eccoci dunque a parlare anzitutto del nuovo album del quartetto capitanato dal trentottenne chitarrista newyorchese Scott DuBois, senz'altro il più strutturato del lotto, quello in cui si coglie una mano che guida e determina esplicitamente gli itinerari battuti. Una componente strettamente compositiva e un'estetica ben definita, insomma.

Molto ruota attorno alla chitarra del leader, ma non per questo il ruolo di Ullmann (e degli altri due, del resto) ne risulta mortificato. Si alternano momenti di felice tensione complessiva e altri più morbidi e pensosi, qualche lieve prolissità tutto sommato episodica, e un'estetica di gruppo che emerge piuttosto nitidamente, facendo apprezzare il lavoro nella sua globalità.

Almut Kühne, Gebhard Ullmann, Achim Kaufmann
Marbrakeys
Leo Records (2016)
Valutazione: * * * ½

Con la sola coppia di ance ullmanniane accanto a voce e pianoforte, il salto di lato è palpabilissimo nel primo di due album Leo che -nel rispetto dell'estetica più tipica dell'etichetta russo-londinese -vedono il polistrumentista tedesco calarsi nella più classica delle tenzoni senza rete. Le geometrie, soprattutto timbriche, sono assai curate, con un senso della forma che non sempre ritroviamo in contesti analoghi. Il clima è più schiettamente contemporaneo che jazzistico (specie proprio nell'operare della voce), su temperature di preferenza sospese e cogitabonde.

Può magari nuocere una certa (del resto pressoché fisiologica) ripetitività delle situazioni proposte (in favore di una fruizione mai opprimente gioca la durata dei dieci brani complessivi, svariante fra i tre gli otto minuti), ma nel complesso il lavoro possiede una sua totale dignità, derivante anzitutto -si direbbe -da quella capacità di ascolto reciproco da cui non si dovrebbe mai derogare quando si abbracciano esperienze di questo tipo.

Gebhard Ullmann, Achim Kaufmann
Geode
Leo Records (2016)
Valutazione: * * *

Di fatto gemello dell'album precedente (e non a caso inciso il giorno prima, 1° contro 2 luglio del 2013, sempre agli RBB Studios di Berlino), Geode vede la fuoruscita della voce, e quindi un conseguente puro e semplice duetto ancia/pianoforte. Le geometrie che ne risultano mutano di riflesso, determinando a conti fatti un appeal lievemente più blando, perché non sempre i due dirimpettai riescono a oltrepassare un dialogo sempre apprezzabile ma talora un po' generico.

L'iniziale "Interanimation," "Fault-lines" e "Storm Inside ," tutti di ragguardevole tiro, fra i brani con Ullmann al tenore, e invece "Roadside Verges," il nervoso "Zircon Shuffle" e il conclusivo "Cobweb Interiors," più assorto, concentrato, fra quelli al clarinetto basso, appaiono in questo senso gli episodi più felici, mentre fra i due brani solitari si fa preferire il tenoristico "Jasper Ax" (un po' scolastico, di contro, il pianistico "Eulenblind").

Uwe Oberg, Silke Eberhard
Turns
Leo Records (2016)
Valutazione: * * * ½

Un altro duo ancia/pianoforte, peraltro di ben diverso orientamento, sta al centro di Turns, terzo e ultimo titolo proveniente da casa Leo. Vi trovano posto dodici temi (due condensati in un unico episodio) equamente divisi fra originali e rivisitazioni di pagine di Carla Bley, Jimmy Giuffre e Annette Peacock (due a testa), elemento che già di per sé denota una precisa scelta di campo, un'estetica che, a differenza dell'album precedente, persegue un dialogo fortemente strutturato, intenzionale, per poetica, geometrie e temperature.

I due musicisti tedeschi sfoggiano un aplomb quasi classico, avvicinandosi a testi riletti con grande rispetto, quasi con devozione, senza per questo mancare di esprimere una loro cifra stilistica, con estremo rigore e coerenza, ciò che attraversa in diagonale le pagine di repertorio come quelle firmate da Uwe Oberg e Silke Eberhard (che dove necessario, al clarinetto, sfoggia un quasi affettuoso approccio à la Giuffre, mentre al sax alto attinge talora a pur eleganti spigolosità che rimandano al Lee Konitz più mischiato con l'avanguardia). Disco di ascolto piacevole quanto ricco di stimoli e illuminante.

Urs Leimgruber, Alex Huber
Lightnings
Wide Ear Records (2015)
Valutazione: * * * ½

Dopo un trittico di album interamente made in Deutschland, passiamo il confine svizzero per incontrare un altro duo, stavolta con un percussionista accanto a un sassofonista. Pur praticando essi pure l'improvvisazione senza rete, Urs Leimgruber (che privilegia il soprano al tenore) e Alex Huber possiedono un fortissimo senso della forma. Il sassofonista, soprattutto, evidenzia un'attenzione capillare, persino certosina, nei confronti del suono (inteso come emissione ma anche rapporto con la diteggiatura), sempre perfettamente controllato anche quando (cioè spessissimo, con squittii, fischi, note false e intemperanze varie) batte rotte assolutamente lontane dai canoni.

Ne vien fuori un lavoro di sicuro interesse, anticonsolatorio (e quindi rivolto agli ascoltatori più attenti ed esigenti), concettualmente e formalmente rigorosissimo, quasi impietoso, sviluppato attraverso quattro lunghi episodi in cui si esprime un campionario dell'antigrazioso (talora del minimale) decisamente onnicomprensivo, pur tenendosi di regola lontani da temperature troppo surriscaldate.

George Haslam, Mario Rua
Maresia
Slam Productions (2015)
Valutazione: * * *

In qualche modo antitetico, benché a sua volta entro i confini della free improvisation, è un altro duo ancia/batteria, in questo caso anglo-portoghese. Tanto quanto si parlava di un Leimgruber capillare e controllato, informalmente elegante, così George Haslam appare tecnicamente ben più brado, ruspante, a-scolarizzato, verrebbe da definirlo ascoltando il timbro slabbrato, decisamente naïf (anche sul piano dell'intonazione, parametro evidentemente non applicabile allo specifico), in particolare del suo tarogato, strumento già di per sé alquanto belante, quasi che si trattasse di una sorta di Peter Brötzmann un po' meno vitaminico.

Formalmente non troppo curati anche i percorsi che i due interlocutori, loro pure attraverso quattro soli ampi brani, disegnano lungo i 55' del disco, peraltro col non trascurabile merito di eludere (specie grazie al drumming generalmente entro le righe di Mario Rua) strade fin troppo facilmente riconducibili all'accoppiata ancia/batteria (modello-Coltrane, per capirci). Un disco che emana un benefico senso di libertà, unicamente da consumare a piccole dosi.

Elenco dei brani:
Winter Light:
First Light Tundra; Early Morning Forest; Late Morning Snow; Noon White Mountain; Afternoon Ice Fog; Evening Blizzard; Night Tundra.

Marbrakeys:
Marbrakeys; Hark; Fainting Lilies; Gebs Path; Two Out of Three; Humble Heart; Hazy Maze; The Heron; Established Failures; Marbrakeys.

Geode:
Interanimation; Lightly Enticed; Roadside Verges; Of Linnets and Ivory; Fault-lines; Eulenblind; Fleckgeist; Zircon Shuffle; Bone, Gristle and Quartz; Jasper Ax; Storm Inside; Cobweb Interiors.

Turns:
Ping Pong Pogo; King Korn; Emphasis; Enzym & Eros (Var.2); Both; Syndrome—Narrow Window; Batterie; Scootin' About; Roomer's Loof; Sketch No. 5; Mr. Joy.

Lightnings:
Swift; Shaped; Resistant; Struck.

Maresia:
Cabo Espichel (for Benoit); Alfama; Arrábida; Fleetwood.

Musicisti:
Winter Light:
Gebhard Ullmann: sax tenore, clarinetto basso; Scott DuBois: chitarra; Thomas Morgan: contrabbasso; Kresten Osgood: batteria.

Marbrakeys:
Almut Kühne: voce; Ullmann: sax tenore, clarinetto basso; Achim Kaufmann: pianoforte.

Geode:
Ulmann e Kaufmann come sopra; Kühne via.

Turns:
Silke Eberhard: sax alto, clarinetto; Uwe Oberg: pianoforte.

Lightnings:
Urs Leimgruber: sax soprano e tenore; Alex Huber: batteria, percussioni.

Maresia:
George Haslam: clarinetto, tarogato; Mario Rua: batteria.

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