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Innamorarsi di Björk: intervista a Max De Aloe

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Credo molto nell'idea di fermarsi per ascoltare la musica.
Musicista, compositore, didatta, direttore artistico del Gallarate Jazz Festival, da sempre attratto dal rapporto tra musica e società Max De Aloe - da diversi anni considerato il miglior armonicista italiano - è completamente immerso nella materia musicale, con la quale interagisce senza preconcetti, spaziando in ambiti diversi per genere e forma. Lo abbiamo contattato al termine di una sua lezione, a pochi giorni dal debutto sul palco del nuovo progetto Björk on the Moon - l'album con il quale rende omaggio alla musica della cantante islandese -, per cercare di indagare i motivi di questo lavoro e di tutto quello che gira intorno alla sua interessante figura artistica.

All About Jazz: Perché Bjork ha così tanto appeal per i musicisti dell'area jazzistica?

Max De Aloe: Perché scrive in una maniera non convenzionale e perché la sua musica non è esplicitata. Ci sono molte cose che si possono andare a scovare, ha un approccio compositivo e interpretativo molto interessante. Lei stessa, come la musica che fa, non è mai scontata; è un personaggio misterioso e da scoprire. Suono uno strumento melodico per eccellenza e questo forse si può relazionare con la sua vocalità.

AAJ: C'è della genialità nelle sue partiture?

M.D.A.: In alcune sì, per esempio in Selma Songs abbiamo un esempio di un disco capolavoro, come del resto in Vespertine. È un'artista che ama il rischio, ama fare cose sempre nuove, ed è lì il suo grande fascino.

AAJ: Per i brani originali che ci sono nella scaletta di Björk on the Moon, l'approccio compositivo è partito dalla sua musica o sei stato tu a spostarti verso di lei?

M.D.A.: In "Askja" c'è molto l'idea compositiva di Björk, però - in generale - non c'è stata la mia volontà di fare degli omaggi che fossero vicini al suo modo di scrivere. Non so quanto ci sia di Björk in questi brani, e non ho avuto neanche la pretesa di ottenere una cosa simile.

AAJ: C'è un filo conduttore tra i pezzi scelti per il CD?

M.D.A.: Sicuramente l'aspetto della varietà melodica all'interno di uno spessore armonico. Avevo bisogno di brani che avessero una certa consistenza armonica e melodica per farli rendere per un gruppo di jazz. Ho scelto dei brani che avessero in tal senso della sostanza.

AAJ: Siete prossimi al debutto dal vivo. Quale potrebbe essere la difficoltà di proporre un progetto del genere?

M.D.A.: Non credo che avremo difficoltà. Suoniamo molto dal vivo ed è una situazione che amiamo. Non ci saranno problemi in un ambiente teatrale, dove il pubblico è predisposto per un ascolto attento. Ci potrebbero essere con un pubblico non predisposto a un'attenzione totale, come per esempio in un club. È un progetto che necessita di un ascolto quasi cameristico. Noi siamo insieme da molti anni, come un gruppo rock. Abbiamo una visione comune e un suono nostro. Sono molto interessato all'identità del mio gruppo (Roberto Olzer: pianoforte; Marco Mistrangelo: contrabbasso; Nicola Stranieri: batteria, ndr).

AAJ: Con l'aggiunta del violoncello barocco di Marlise Goidanich, sotto che aspetto ha guadagnato il tuo quartetto?

M.D.A.: Nell'aspetto lirico. Nella musica di Björk, del resto, c'è l'uso degli archi. Avevavmo bisogno di una voce che parlasse in relazione con l'armonica. Il violoncello nel disco funziona molto come voce secondaria, o anche primaria a seconda delle situaizoni.

AAJ: L'album è uscito anche in vinile. È stata una tua scelta?

M.D.A.: Sì. C'è in vinile 180 grammi e anche in download a 24bit 88Khz. Credo molto nella qualità dell'ascolto. Al di là della qualità del musicista ci deve essere qualità anche nell'ascolto. Oggi la musica è massacrata da un ascolto al computer o nelle cuffie dell'iPod, che va bene dal punto di vista della fruzione veloce, ma non va più bene quando diventa l'unico tipo di ascolto. Credo molto nell'idea di fermarsi per ascoltare la musica. Insieme alla casa discografica (Abeat, ndr) abbiamo pensato a chi desidera l'ascolto in vinile e anche a quelli che hanno bisogno del digitale. Sono molto attento ai dettagli in fase di registrazione, in un periodo dove sembra contare più la quantità di file che hai nel computer che alla qualità degli stessi.

AAJ: Nell'album precedente Bradipo avevi preso in considerazione la musica dei Pink Floyd, realizzando una piccola suite. Ci sarà uno sviluppo futuro?

M.D.A.: Dal vivo c'erano state delle ulteriori aggiunte, e la suite aveva occupato la metà del concerto. È stato un esperimento interessante e sicuramente l'aspetto dell'avvicinarsi ad altri generi musicali è una cosa che mi ha sempre affascinato. Faccio parte di una genarzione di jazzisti che inevitabilmente hanno subito le culture del pop e del rock. Una cosa bella di questo periodo musicale è proprio l'abilitazione di ognuno a unire cose diverse tra di loro. Il progetto Bradipo esiste ancora, quindi non escludo ulteriori sviluppi.

AAJ: Sei ideatore e direttore artistico del Gallarate Jazz Festival. In questo periodo di crisi e di conseguenti tagli economici, qual è la contromossa che deve operare un organizzatore?

M.D.A.: È la stessa che deve operare un muisicista: avere delle idee. La crisi da una parte dà molti problemi, dall'altra ci dà modo di usare delle strategie differenti, che sono quelle di progetti low cost, lavorare sui giovani e cose alternative. Questo è un aspetto interessante. Nel momento in cui non funziona quasi più nulla hai poco da perdere, quindi conviene rischiare; sembra un controsenso, ma non lo è in realtà.

AAJ: Quindi che idea hai riguardo ai REM nel programma di Umbria Jazz dello scorso anno?

M.D.A.: Esistono festival che hanno nel nome la parola "jazz," ma poi propongono tutt'altro. Sono d'accordo sul fatto che il jazz si apra a musiche differenti, ma è evidente che l'operazione fatta da Umbria Jazz sia solo diretta a ottenere una larga fetta di pubblico. Non è un esprimento che permette di mettere in contatto gli appassionati di generi diversi. È solo un discorso di cartollone, che mi interessa poco. Umbria Jazz non è uno dei festival che frequento.

AAJ: In Italia, negli ultimi anni, il jazz sembra aver conquistato molti appassionati.

M.D.A.: Esiste la spettacolarizzazione del jazz. Se ne sente parlare molto. Ma alla fine si parla sempre dei soliti artisti, dei soliti festival e dei soliti due locali. Sembra una cosa che va di moda. Alla fine c'è l'idea di molto jazz in Italia, ma in realtà sono sempre le stesse cose. Non ci sono spazi per i giovani. Forse venti anni fa, per un esordiente, era più semplice poter emergere.

AAJ: Tra le diverse occupazioni fai parte del progetto BaroccArmonica, quartetto che vede l'interpretazione di arie d'opera seicentesche in una commistione di generi tra il jazz e la musica barocca. Di cosa si tratta?

M.D.A.: Sono stato chiamato a partecipare dal clavicembalista Massimiliano Toni. È un'occasione per imparare delle cose molto interessanti, c'è da imparare molto da questo repertorio. È un'occasione per apprendere le linee che mettono in comune la musica barocca e il jazz. C'è l'improvvisazione, la prassi del basso continuo e altri aspetti molto affascinanti.

AAJ: Inoltre, interagisci anche in ambiti artistici diversi, come poesia teatro e arti figurative.

M.D.A.: Mi piace lavorare con artisti di altro tipo. Sono un curioso di natura. Il bello di questo mestiere è quello di imparare delle cose, relazionarti con gli altri, metterti a nudo, verificare i tuoi limiti e fare esperienze. Mi piace scrivere per le immagini, cimentarmi in diversi ambiti. Vivo l'idea del jazz come una chiave di accesso a mondi diversi.

AAJ: Dividi l'attività di musicista con quella didattica.

M.D.A.: Ho a Gallarate una mia scuola da diciassette anni (Centro Espressione Musicale, ndr). Amo la didattica per l'armonica cromatica, che è una didattica quasi inesistente. Cerco di dare un senso didattico a uno strumento che è visto quasi come un giocattolo. Non esistono metodi in tal senso. In questo periodo vado molto fiero del fatto che la Sher Music a breve stamperà un metodo che ho ideato. Mi piace l'idea della divulgazione dell'armonica, che ci siano più persone a suonarla. Non ci tengo al ruolo di uno dei pochi armonicisti che ci sono. Non voglio tenermi le cose per me.

AAJ: Sei da diversi anni considerato il migliore armonicista italiano. Tieni molto a questo titolo?

M.D.A.: Non ho mai dato molto senso alle classifiche. La musica non la puoi mettere in una classifica. Ho avuto soddisfazioni maggiori da altre esperienze e non da un referendum. Questo non per essere snob verso certi aspetti, che comunque danno visibilità. In relatà ci sono molti bravi armonicisti, questo ci tengo a dirlo. Nel mio metodo c'è una discografia consigliata anche di altri musicisti. Non mi sento né l'unico, tanto meno il più bravo.

Foto di P.Gianquinteri (la prima), Michele Boffilo (la terza) e Roberto Cifarelli (le ultime tre).


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