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I Nuovi Protagonisti dell'Orchestrazione - 1: Darcy James Argue - Ryan Truesdell - Orrin Evans

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Dopo la morte di Gil Evans e Thad Jones nella seconda metà degli anni ottanta e la progressiva uscita di scena di George Russell, il ruolo del compositore/orchestratore nel jazz ha sofferto di un gap generazionale. Meno marcato di quanto è apparso pubblicamente ma comunque consistente. Anche se negli anni novanta già operavano figure del calibro di Vince Mendoza e professionisti di valore come Mark Masters, Mike Kaplan, Dave Slonaker o John Clayton la figura che ha catalizzato l'attenzione di quel decennio è stata quella di Maria Schneider che ancora oggi gode della stima generale (al primo posto nelle categorie arrangiatore e big band all'ultimo critics poll di Down Beat). Negli ultimi anni, però, la scena orchestrale del jazz è in fermento e ha registrato molte novità.

Nell'edizione 2010 del citato referendum, l'allora 35enne Darcy James Argue era votato migliore rising star nelle categorie Arrangiatore, Compositore e Big Band. Al primo posto tra gli artisti affermati continuava a dominare la Schneider ma, prestando maggiore attenzione alle scelte dei critici internazionali, emergevano altri nomi nuovi. Dietro Argue, in tutte le categorie citate, veniva scelto John Hollenbeck mentre appena sotto spiccavano Jason Lindner, Satoko Fujii, Rob Mazurek e Ted Nash.
Già da qualche anno questi nomi iniziavano a figurare tra i migliori orchestratori emergenti, differenziando quanto avveniva ancora all'inizio del millennio, quando la presenza ai vertici di Maria Schneider era condivisa con i grandi del passato: Carla Bley, Bill Holman, Bob Belden, Bob Mintzer, Gerald Wilson, Toshiko Akiyoshi, Chico O'Farrill, Don Sebesky.

Il critics poll di Down Beat è un buon indicatore delle tendenze in atto: evidenzia che i nuovi orchestratori -nonostante le ovvie difficoltà-riescono a esibirsi e a pubblicare le loro opere. Ricordiamo ancora Ryan Truesdell, Orrin Evans, Christine Jensen, Joshua Shneider, Steven Bernstein, Guillermo Klein, Kyle Saulnier.
Iniziamo a costruire una nostra piccola mappa del mondo dell'orchestrazione jazz partendo dai nomi emergenti: Darcy James Argue e l'Infernal Machine, Ryan Truesdell e il Gil Evans Project, Orrin Evans e la Captain Black Big Band.

DARCY JAMES ARGUE

Condivide con la Schneider, Truesdell e Hollenbeck gli studi con Bob Brookmeyer al New England Conservatory di Boston. Gil Evans è stato un forte modello per questi giovani arrangiatori ma sul versante della pratica didattica l'influenza Brookmeyer s'è rivelata centrale. La scrittura del grande trombonista partner di Gerry Mulligan e Jimmy Giuffre aveva delle affinità con Evans (fu anch'egli nella big band di Claude Thornhill) e continuò orchestrando per Thad Jones e Mel Lewis.
Nato a Vancouver il 23 maggio 1975, dopo la laurea alla McGill University Argue ha trovato la sua strada frequentando un master's program nella citata istituzione di Boston. "Non avrei mai immaginato di diventare un bandleader -ha detto anni dopo-La responsabilità è di Bob Brookmeyer. Io avevo un ragionevole impiego come pianista e compositore in piccoli gruppi di Montreal quando mi ha invitato a studiare con lui. Così sono decaduto come pianista e ora sono un compositore a tempo pieno, nel bene o nel male."

La cosa è meno casuale di quanto appare: il trombonista era rimasto colpito da alcune sue partiture e lo prese sotto la sua guida. "Erano lezioni molto intense -ha detto poi Argue a Fred Kaplan (v. AAJ oct 1, 2013)-Analisi armoniche dettagliate accordo per accordo e altre su larga scala riguardanti la continuità narrativa e la scrittura. Brookmeyer insisteva che ogni elemento scritto deve contribuire all'effetto timbrico complessivo. E che il ritmo deve avere una risonanza emotiva."
Altre influenze il giovane canadese la ha avute dai grandi compositori classici del Novecento ma anche dagli ascolti giovanili di Charlie Parker, dell'orchestra Thad Jones/Mel Lewis o dei dischi rock della sua epoca (Guns 'N' Roses, Living Colour, Radiohead ecc...).

Concluso nel 2002 il master's program con Brookmeyer, Argue resta a Boston ancora un anno dando occasionali concerti con gli allievi del NEC ma si reca ogni martedì a New York per frequentare un workshop al Broadcast Music International. Quando nel 2003 si trasferisce definitivamente nella Big Apple l'intento di formare un'orchestra è già chiaro. Vive trascrivendo partiture per le orchestre di Broadway e scopre che alla Musicians' Union è possibile affittare una sala prove per 10 dollari l'ora. Inizia così a contattare giovani musicisti: "Sono un compositore. Sono qui da poco e non mi conosci. Vorresti venire alla Union e suonare? La musica è difficile e non posso pagarti." Molti rispondono. Nasce così un'orchestra che prova per un anno intero e debutta il 29 maggio 2005 al club CBGB nel Lower East Side e poi in altri locali come il Bowery Poetry Club e la Jazz Gallery. Si chiama Secret Society (un nome legato al fumetto di Alan Moore, The League of Extraordinary Gentlemen) e i suoi concerti suscitano interesse.

Infernal Machine

Tre anni dopo, il 9 luglio 2008, la compositrice Sarah Kirkland Snider, co-direttore della New Amsterdam Records ascolta la band suonare in un locale del Greenwich Village, resta fortemente colpita e offre ad Argue un contratto d'incisione. Il 12 maggio 2009 esce Infernal Machine che svela a tutti il valore del leader e dell'orchestra, comprendente solisti come Ingrid Jensen alla tromba, Mark Small, Erica von Kleist e Sam Sadigursky ai sassofoni, James Hirschfeld, Ryan Keberle, Mike Fahie ai tromboni e Sebastian Noelle alla chitarra.
Erano anni che il disco di un esordiente non otteneva riconoscimenti positivi tanto generalizzati dalla critica (anche The Jazz Journalists Association l'ha acclamato con parole entusiastiche), suscitando l'attenzione di prestigiose istituzioni come Meet the Composer, BMI, The American Music Center e The Canadian Council.
Il titolo del disco riprende quello di un'opera (Infernal Devices, 1987) dello scrittore di fantascienza Kevin Wayne Jeter, lo stesso che ha coniato il termine steampunk usato da Argue per definire la sua musica. In analogia a quel filone letterario che descrive una tecnologia anacronistica entro un'ambientazione ottocentesca, Argue accosta contemporaneità e passato dell'orchestrazione, in una sintesi visionaria che coniuga concezioni minimaliste, influenze di Gil Evans, Maria Schneider, Don Ellis, l'eredità degli autori colti europei entro un variopinto universo di riferimenti etnici, post rock e quant'altro. La musica si snoda con esemplare coerenza narrativa, in percorsi comunque sorprendenti dove il suo gusto aristocratico per gli impasti sonori e l'uso di climi iterativi s'incontra/scontra con soluzioni timbricamente accentuate e una marcata tensione ritmica. La relazione collettivo/solista mira a esaltare spesso una singola voce, entro brani della durata media di dieci minuti. Uno dei temi più suggestivi è "Phobos," posto in apertura -clicca qui per ascoltarlo

Brooklyn Babylon

Nel novembre 2011 l'orchestra di Argue presenta alla Brooklyn Academy of Music il nuovo progetto Brooklyn Babylon, una suite di 53 minuti legata alle opere dell'artista figurativo Danijel Zezelj -clicca qui per ascoltarlo
Il disco viene registrato dal 19 al 21 giugno 2012 nei leggendari Avatar Studios di New York e pubblicato nel 2013 dalla New Amsterdam Records. Nel concepire la suite Argue ha detto d'essersi ispirato a "Petrushka" di Igor Stravinskij e "Jeux" di Claude Debussy e, come queste, è un grande affresco sonoro, legato ovviamente al suo tempo.
La struttura della suite si sviluppa attraverso un prologo, otto capitoli separati da sette brevi interludi e un epilogo. E' un'opera ambiziosa, multistratificata, ricchissima di suggestioni che segue un percorso narrativo immaginando di descrivere la costruzione di un'alta torre nella formicolante Brooklyn del futuro. La sola parte musicale incisa su CD non appare menomata dell'assenza di aspetti multimediali.

Vista la ricchezza di elementi in gioco quello che poteva diventare un inutile pastiche, diventa nella scrittura di Darcy James Argue un percorso logico che non perde la direzione, dove ogni capitolo è consequenziale al precedente. È impossibile qui darne una raffigurazione anche sommaria e rimandiamo alle specifiche recensioni. Spazia da momenti bandistici (Sousa) ad altri sinfonici, da fragorosi collettivi alla Don Ellis a quadri impressionisti, da riferimenti alle avanguardie jazzistiche degli anni settanta al rock sperimentale attivo nell'odierna New York. Il tutto condito da citazioni di motivi popolari balcanici, valzer, marce e legami con la musica colta statunitense (Leonard Bernstein, Charles Ives e Samuel Barber).
Il passato e il presente si specchiano uno nell'altro, Ottocento, Novecento e Nuovo Millennio convivono in una rappresentazione immaginifica e di largo respiro, in piena dimensione steampunk.

RYAN TRUESDELL

Prima della pubblicazione di Centennial -Newly Discovered Works of Gil Evans (ArtistShare, 2012), Ryan Truesdell era relativamente sconosciuto al di là di una piccola cerchia di addetti ai lavori. Aveva collaborato per anni con Maria Schneider e co-prodotto gli album Concert in the Garden e Sky Blue; poi col suo insegnante Bob Brookmeyer (producendo l'album Bob Brookmeyer with the NDR Big Band); ed ancora con Todd Coolman, componendo un brano per il CD Perfect Strangers.
In veste di orchestratore aveva operato con l'U.S. Air Force Band of the Pacific diretta da Ingrid Jensen; con il pianista Frank Kimbrough e l'University of Minnesota Jazz Ensemble e condotto la New York Youth Symphony's Jazz Band Classic in una sua composizione.

Il disco del suo debutto da leader, nelle celebrazioni del centenario della nascita di Gil Evans, ha rappresentato un evento. In anni di paziente ricerca (anche nell'archivio reso disponibile dalla famiglia), Truesdell ha scoperto molte partiture inedite dell'arrangiatore canadese e ha varato un ambizioso progetto di pubblicazione. Tutto ciò ha comportato la formazione di un'orchestra e un accurato lavoro di rielaborazione ed esecuzione, per rendere la musica il più possibile fedele all'estetica del suo autore.
L'accoglienza della stampa è stata superlativa: Centennial ha suscitato l'interesse delle principali pubblicazioni di jazz e ha ottenuto il Jazz Journalist Association Award e il sesto posto al Critics Poll di Down Beat 2013, nelle categorie miglior album. L'ultimo referendum della critica gli ha conferito il primo posto nelle categorie rising star arranger e big band.

34 anni, nato a Madison (Wisconsin) in una famiglia aperta alla musica, Ryan Truesdell inizia a suonare nell'adolescenza l'oboe e il sassofono, scoprendo progressivamente il jazz e sentendosi attratto dalla dimensione orchestrale. Art Pepper Plus Eleven arrangiato da Marty Paich è stato uno dei primi lavori a colpirlo ma la vera svolta è venuta negli anni delle scuola superiori con l'ascolto di Porgy and Bess di Miles Davis / Gil Evans.
"Le prime note di "The Buzzard Song" -ha ricordato Ryan nella lunga intervista a Victor L. Schermer su questa testata-erano qualcosa che non avevo mai ascoltato prima. Non potevo crederci! Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. Chi, e che tipo di strumenti producevano quei suoni. Era totalmente strabiliante. Il giorno dopo sono uscito a comprare gli altri dischi che Miles aveva realizzato con quell'uomo chiamato Gil Evans. È nata così, negli anni delle scuole superiori, una connessione."

Qualche tempo dopo, conclusi gli studi all'University of Minnesota con un diploma in teoria musicale e arrangiamento, Ryan s'iscrive al New England Conservatory per studiare composizione con Bob Brookmeyer. Nel frattempo conosce Maria Schneider, che lo invita a collaborare al suo lavoro in veste di copista.

Il progetto su Gil Evans si struttura gradualmente in base al suo interesse per la musica dell'arrangiatore scomparso. Truesdell parla con chi gli è stato vicino come la Schneider ed ex musicisti come Howard Johnson e Gil Goldstein e con il figlio Miles Evans. Questi gli fornisce alcune copie della partiture paterne e tra loro inizia quindi una collaborazione per raccogliere in modo organico il lavoro di Evans, ricercando anche le partiture in possesso di altri musicisti o di librerie (come gli arrangiamenti scritti per l'orchestra di Claude Thornill). Ryan si rende conto di avere a disposizione oltre 50 orchestrazioni inedite di Gil Evans e, incoraggiato da Maria Schneider, nasce l'idea di renderle vive con esecuzioni orchestrali.
Il debutto avviene in un concerto nell'inverno del 2011 con l'orchestra dell'Eastman School of Music.

Centennial

L'album è stato analizzato in numerosi articoli presenti sul web e ci limiteremo quindi all'essenziale. Inciso con un'orchestra di 32 elementi (a ci si aggiunge una differente cantante in tre brani) offre in primo luogo un'incisione di alta qualità effettuata in studio, opportunità che le orchestre di Gil Evans ebbero di rado. Una di queste è legata all'album The Individualism of Gil Evans (Verve, 1964) di cui Truesdell è un grande estimatore. Quell'ammaliante disegno impressionista combinava armonie dissonanti, impasti raffinati e un fondale in lenta espansione dalle coloriture gravi. Alcune partiture di Centennial sono legate a quel disco e offrono le massime suggestioni dell'album.
La prima viene da "Punjab," il brano d'apertura che Evans aveva progettato ma non finì di comporre. La partitura non conteneva indicazioni sul tempo d'esecuzione e pochi cenni sul lavoro ritmico. Truesdell ha avuto l'opportunità di ascoltare i nastri delle prove presso gli archivi dell'Universal rendendosi conto delle intenzioni di Gil. Ha scelto quindi di aggiungere una preminente parte ritmica con la tabla di Dan Weiss ottenendo un risultato magnifico, in coerente relazione con le parti orchestrali di sapore orientale.
Per quanto "Barbara Song" e la medley "Waltz/Variation on the Misery/So Long" il discorso è diverso. Gil Evans aggiornava continuamente le sue orchestrazioni e fece la stessa cosa per un concerto del 1971 al festival jazz di Berlino, raggruppando una vera dream band di 24 elementi (quasi il doppio rispetto alle formazioni che incisero The Individualism) con ospiti come Steve Lacy e Karl Berger.
"Con questi due arrangiamenti per ampio organico -ha detto Truesdell-Gil ha fortemente ampliato, rispetto a quanto conoscevamo dalla precedenti incisioni e sviluppato ulteriormente questi brani in termini di forma, armonia e ritmo. (...) Ho sentito che questi brani fossero essenziali in questa nuova riscoperta del mondo di Gil." Nei due brani l'originalità timbrica di Gil è riproposta in forma avvincente in relazione ai solisti: il vibrafonista Joe Locke, i sassofonistiSteve Wilson e Donny McCaslin e il trombonista Marshall Gilkes.
Gli altri brani del disco ripropongono inedite partiture evansiane scritte negli anni quaranta/cinquanta sia per l'orchestra di Claude Thornill che per dimenticate incisioni, come quella con la cantante Lucy Reed (riproposta nella deliziosa versione di "Smoking My Sad Cigarette" con la voce di Kate McGarry -clicca qui per ascoltarlo.

Altra gemma è la partitura di "Maids of Cadiz," scritta per Thornill sette anni prima di apparire in Miles Ahead, che evidenzia quanto il genio di Evans fosse già maturo in quegli anni. L'attività di Ryan Truesdell svela doti di sofisticato orchestratore ed è sorretta da un sincero entusiasmo per l'opera di Gil. Ha avuto modo di esplicarsi in vari concerti dal vivo anche fuori New York, come Umbria Jazz, presentando nuove partiture come "Time of the Barracudas/Spoonful" -clicca qui per ascoltarlo.
Tra le ultime esibizioni del Gil Evans Project ricordiamo le recenti al Village Vanguard e al Jazz Standard di New York nel giorno della nascita dell' arrangiatore, il 13 maggio. Per i primi mesi del 2015 è attesa l'uscita del nuovo disco Gil Evans Project: Live at the Jazz Standard che sarà pubblicato dalla Blue Note/ArtistShare.



ORRIN EVANS CAPTAIN BLACK BIG BAND

Quattro anni fa, quasi in parallelo ai progetti di Argue e Truesdell, prende vita una nuova formazione orchestrale attorno alla figura del trentacinquenne Orrin Evans. Il pianista e compositore afroamericano dichiara modestamente di esserne solo il catalizzatore ma ha evidenziato statura di leader e avanzate doti d'orchestratore nel primo album dell'orchestra, Captain Black Big Band (Posi-Tone, 2011) e nel successivo Mother's Touch (Posi-Tone, 2014). Grazie a questi lavori la formazione è stata votata prima big band emergente nel referendum 2013 della critica di Down Beat e quarta nella sezione principale del critics poll 2014.
Nato a Trenton (New Jersey) e cresciuto a Philadelphia, Orrin Evans ha frequentato la Rutgers University, perfezionando la sua preparazione con Kenny Barron e JoAnne Brackeen. Trasferitosi a New York nel 1996 è stato subito scritturato da Bobby Watson ed ha poi collaborato con artisti e formazioni di primo piano: da Ralph Peterson alla Mingus Big Band, da Wallace Roney a Pharoah Sanders, Branford Marsalis e altri. Parallelamente a queste collaborazioni ha iniziato a guidare piccole formazioni, stabilendo un lungo rapporto con l'etichetta Criss Cross.

Il varo dell'orchestra avviene nel 2010, grazie a una scrittura al Chris' Jazz Café di Philadelphia che s'è riproposta all'Iridium e soprattutto alla Jazz Gallery di New York. L'orchestra ingloba fino a 38 componenti di differenti generazioni anche se il numero medio dell'organico è di circa la metà. Tra i solisti principali si sono alternati: alle trombe Jack Walrath e Fabio Morgera, ai tromboni Frank Lacy, ai sassofoni Tia Fuller, Rob Landham, Jaleel Shaw e Wayne Escoffery. Il lavoro di scrittura è condiviso col clarinettista Todd Marcus e il sassofonista Todd Bashore e si fonda sull'estetica orchestrale mainstream, radicata in Oliver Nelson, Thad Jones/Mel Lewis senza dimenticare la tradizione d'anteguerra. Non mancano però spinte verso il free come in "Jena 6" scritto da Evans e orchestrato da Marcus -clicca qui per ascoltarlo
Il nome della formazione è ripreso da una marca di tabacco che fumava il padre di Orrin Evans ed è un tributo a lui, già docente di studi afroamericani al Trenton State College e di inglese all'università di Princeton.

Captain Black Big Band

Il primo disco dell'orchestra, registrato dal vivo in tre differenti occasioni, presenta sette brani di diversa fattura: dal convulso "Art of War" scritto da Ralph Peterson al sontuoso e disteso "Easy Now," dallo swingante "Big Jimmy" all'avventuroso "Jena 6" già citato. Il repertorio della big band è più ampio e include, ad esempio, il mingusiano "Nostalgia in Times Square", la ballad "Stardust" che evidenzia un intenso assolo di Fabio Morgera -clicca qui per ascoltarlo -oppure il variopinto "In My Soul." Una delle esibizioni più intense, reperibili sul web, è "Lift Every Voice" del 16 gennaio 2012 allo Smalls, col cantante Miles Griffith -clicca qui per ascoltarlo

Mother's Touch

Inciso in studio il nuovo disco dà la piena misura del livello raggiunto dalla formazione nell'eseguire arrangiamenti variopinti e ricchi di tensione. Pur restando entro le coordinate della tradizione orchestra mainstream la band sa coniugare momenti swinganti e turbolenti -degni del miglior Oliver Nelson come "Explain It To Me"-con altri di gusto impressionista alla Gil Evans ("Dita"). Un organismo versatile dalla magniloquente tavolozza timbrica, che non teme d'esprimere aperture più avanzate ed esalta le tensioni del rapporto solisti/collettivo in appassionanti climax. Forte di solisti come il trombonista Conrad Herwig, il sassofonista Marcus Strickland o il trombettista Duane Eubanks, da questa prospettiva i momenti migliori vengono espressi in "Explain It to Me," "Tickle," "Prayer for Columbine" e nello shorteriano "Water Babies."

Foto
Todd Chalfant.

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