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I mondi sonori di Gaspare de Vito

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Non esiste il jazz, esiste una commistione di culture e vie che si incrociano... musica e basta!
Nato a Napoli nel 1978, Gaspare de Vito è una figura tutto sommato anomala nel panorama dei giovani improvvisatori di casa nostra. Musicista curioso e certamente attratto dalle possibilità che stanno dietro i margini dei suoni, ha percorso coraggiosamente il proprio apprendistato seguendo modelli non facili, trovando poi nel contatto con musicisti di altre culture e linguaggi la possibilità di un proficuo confronto espressivo.

In questa chiacchierata si racconta ai lettori di AllAboutJazz.

All About Jazz: Quali sono stati i tuoi inizi?

Gaspare de Vito: Ho iniziato a suonare il sassofono a otto anni, nella scuola della banda comunale, che abbandonai dopo poco. Dai 12 anni ai 14 anni passavo ogni pomeriggio nel negozio di dischi sotto casa dove la proprietaria mi faceva ascoltare ogni tipo di musica dal blues delle origini alla musica tradizionale africana e la word music, hip hop, rock.

Rimasi folgorato da Doo Bop di Miles Davis e dagli Arrested Development, tanto che cercai di fare le stesse cose con la band hip hop di cui facevo parte e pian piano, in un percorso cronologicamente inverso, passando prima per il funk e poi l'acid jazz, approdai al jazz.

AAJ: Quali furono i primi eroi di questo nuovo “approdo”?

Gaspare de Vito: Rimasi folgorato nuovamente, questa volta da John Coltrane: il primo disco suo che trovai era A Love Supreme, non ci capivo assolutamente nulla, ma lo ascoltavo continuamente e ancora oggi ogni volta che lo ascolto mi accorgo di qualche particolare che la volta prima mi era sfuggito. Grazie a questo disco iniziai a studiare seriamente jazz, prevalentemente da autodidatta. In quegli anni mi è capitato di suonare con musicisti blues come Arthur Miles, Micheal Allen, Maisha Grant, James Thompson ed altri poiché a Imola c'erano molti musicisti blues e loro venivano spesso ospitati in band locali.

AAJ: Nel tuo percorso educativo un ruolo importante svolgono i Seminari di Siena Jazz dove, in tempi non sospetti, ci siamo conosciuti...

Gaspare de Vito: Nel 1998 partecipai ai Seminari di Siena Jazz e ebbi l'occasione di studiare con Eugenio Colombo, Gianluigi Trovesi, Bruno Tommaso ed in particolare Giancarlo Schiaffini col quale l’anno successivo, insieme ad un giovanissimo futuro critico musicale, suonai nei gruppi di musica d' insieme.

Approdai ad una concezione più aperta di musica proprio in quell'occasione, mi trovavo molto a mio agio su quella scrittura che non badava tanto alle note ma ai colori e sensazioni da suonare, tanto che Schiaffini mi fece vincere una borsa di studio per frequentare i corsi l'anno successivo.

Sempre il trombonista romano mi invitò a far parte di un progetto dell'Associazione Musicisti Jazz dove cinque "veterani" avrebbero duettato con cinque giovani accompagnati dall'orchestra. Il progetto non si realizzò ma da li nacque la prima collaborazione con Schiaffini che fece da ospite in un mio trio con Mirko Sabatini e Roberto Batoli.

Era la prima volta che presentavo un progetto interamente composto da me, l'occasione era molto importante poiché era un festival interamente dedicato all'Instabile Orchestra e noi eravamo uno dei concerti satellite.

La scrittura era molto simile a quella adottata da Schiaffini, a cavallo fra la musica contemporanea e l'improvvisazione, con innesti di scrittura tradizionale e la cosa funzionava! Ma ero troppo giovane per sapere cosa volesse dire portare avanti un progetto per cui la cosa morì li.

AAJ: In quel momento però ci fu una parentesi nella tua carriera di musicista.

Gaspare de Vito: Avevo 23 anni e decisi di smettere di suonare per fare un altro lavoro, il grafico. Poi nel 2005 mi sono trasferito a Barcellona dove ho conosciuto musicisti mozambicani, brasiliani, cubani, argentini fra cui Fernando Tchika e Childo Tomas (bassista di Omar Sosa). È stata l’occasione per ricominciare a suonare in pubblico e la cosa mi ha molto coinvolto, tanto che suonavo ogni sera con loro questa musica che si chiama marrabenta. Tornato in Italia a metà 2006 ho lasciato il mio lavoro di grafico e ho ripreso l'attività di musicista a tempo pieno. Ho ricominciato quindi a frequentare gli ambienti musicali bolognesi e sono nate diverse collaborazioni, una delle quali mi ha fatto scoprire più da vicino le ritmiche afrocubane e yoruba ed ho ricominciato a suonare con il cantante e chitarrista brasiliano Zeduardo Martins con il quale ora collaboro stabilmente. Poi è venuto l'incontro con Francesco Cusa e Paolo Sorge e tutti gli altri Improvisatori, sono entrato a far parte del collettivo Improvvisatore Involontario. Con loro ho registrato un disco che dovrebbe uscire fra poco, una conduction che sonorizzava dei video dell'artista visiva Raffaella Piccolo, con molti musicisti, un'esperienza divertente.

AAJ: Tornando al tuo rapporto con musicisti di altre culture musicali, cosa ti hanno dato quegli incontri e in che modo sei riuscito o cerchi di sintetizzare quegli elementi lessicali all’interno del tuo linguaggio?

Gaspare de Vito: Per ciò che ho conosciuto io, ogni cultura ha il proprio modo di vivere la musica, ognuno ha storie da raccontare e cerca di trasmettere quello che ha nel proprio bagaglio. Il mozambicano, appena mette mano ad uno strumento comincia a sorridere, con i brasiliani, prima di iniziare un concerto ci si scambia un "buen viaje", con gli argentini ci si manda a quel paese o si parla di donne, ma con ognuno di essi c'è la felicità quando si suona, il voler trasmettere senzazioni positive e il godere dello strumento a mio avviso più democratico al mondo, il linguaggio musicale. Quando stai sul palco ognuno attende democraticamente il proprio turno e gli altri supportano quello che sta dicendo. Cerco di tenere sempre bene in mente il loro approccio alla musica e non credo ai generi musicali, per me la musica deve rispecchiare il melting pot di questo momento storico e culturale, non esiste il jazz, esiste una commistione di culture e vie che si incrociano, musica e basta. Lo stesso "jazz" nasce ed è una commistione. Il mio modo di sintetizzare gli elementi musicali è l'apertura mentale, il tornare bambino, avido di conoscenza e curiosità, niente esclude niente, ogni input influenza la mia musica e la mia scrittura.

AAJ: Raccontaci qualcosa del tuo disco in solo 5 Songs and 1 Story.

Gaspare de Vito: Il solo è un'idea che mi frullava in testa da tempo, da quando ascoltai Evan Parker in concerto a Bologna e così feci un esperimento andando a registrare i suoni del mare: ne venne fuori un "concerto per sax e natura" con il quale nel 2001 vinsi il concorso Iceberg a Bologna. La ricerca sonora è continuata negli anni, anche quando non suonavo più a tempo pieno. Ho passato molto del mio tempo a sperimentare rumori e suoni non convenzionali sul sassofono, multiphonics ed altri giochetti, soprattutto far apparire sotto forma volutamente ingarbugliata quello che ho dentro. Così nel 2007 ho registrato il primo disco in solo 5 Songs and 1 Story che vuole essere un po' il punto della situazione sulla mia ricerca sonora. E' molto ispirato da For Alto di Anthony Braxton. Vuol essere sicuramente un piccolissimo omaggio al suo immenso lavoro.

AAJ: Attualmente su che strade ti stai muovendo?

Gaspare de Vito: In questo momento sto scrivendo molto ed in particolare per un trio con voce, sax e basso (oppure tuba), musica sulla quale lavorerà successivamente Silvia Schiavoni scrivendo i testi: non sappiamo ancora se e in cosa sfocerà, magari cercheremo di coinvolgere lo stesso Giancarlo Schiaffini che ci ha presentati. Ma intanto scrivo che è la cosa che mi viene più naturale.

Poi sto lavorando molto all’amalgama del mio progetto "Passing Notes" con Antonio Coatti al trombone e conchiglie, Robero Bartoli al contrabbasso e Danilo Mineo alle percussioni: se tutto va bene andremo in studio per giugno, per registrare un disco di brani totalmente composti ed arrangiati da me, con un organico ed un suono molto scarno.

AAJ: Cosa sta ascoltando Gaspare de Vito in questo periodo?

Gaspare de Vito: Con la questione degli mp3, ho due hard disk pieni di musica che salta fuori più o meno casualmente; ma diciamo che un po' meno casualmente mi sto soffermando in particolare sul disco di Ali Farka Toure con Ry Cooder, Falange Canibal di Lenine, Ayer y Hoy di Emiliano Salvador, Reverence di Richard Bona, Châvez Ravine e in questo momento la Sonata per Flauto e Pianoforte di Hindemith interpretata da Jean-Pierre Rampal.

AAJ: Hai parlato del tuo appoggio a Improvvisatore Involontario: quali sono secondo te le priorità che stanno emergendo da questa rinnovata presa di coscienza da parte dei giovani collettivi?

Gaspare de Vito: Educazione, comunicazione e spazio. L'educazione musicale è scomparsa dalle scuole di un italia, in perenne crisi economica ferma su se stessa, arroccata sui miti di Pavarotti e Renzo Arbore che porta la musica napoletana nel mondo, senza il piacere della scoperta. Sono però ottimista, credo che l'educazione ai giovanissimi sia un passo importate e necessario, bisogna creare il pubblico del futuro e non aspettarsi che piova dal cielo. Tramandare la conoscenza è di grande importanza perché sintomo di vita e di movimento.

Gli spazi, sono un annoso problema, che avremo fino a che non capiremo che i tempi degli idealismi sono conclusi. Non si può prescindere dall’ importanza della comunicazione e questo non andrebbe a danneggiare per forza la qualità della musica. Ornette Coleman lo ha fatto e la sua musica è perfetta. Credo che collettivi come Improvvisatore Involontario, El Gallo Rojo o altri singoli si stiano muovendo sempre meglio offrendo musica di altissima qualità. Lo spazio che hanno i nuovi talenti dovrebbe crescere esponenzialmente e le decisioni artistiche di alcuni festival e gli stessi risultati del Top Jazz sono incoraggianti.

Foto di Claudio Casanova


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