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Helen Merrill: 60 anni di dolci canzoni

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Ho sempre saputo che sarei diventata una cantante, sin da piccola. Pensavo anche che cantare mi avrebbe aperto le porte del mondo, e così è stato.
Intervista di João Moreira dos Santos

Helen Merrill, una delle più originali cantanti di sempre, iniziò a cantare professionalmente sessant'anni fa con la Reggie Childs Orchestra. Questo fu solo l'inizio della lunga e intensa carriera di questa talentuosa figlia di immigrati croati, che entrerà nella storia del jazz con le sue incisioni in compagnia di Clifford Brown e di Gil Evans negli anni cinquanta. Una carriera che la porterà a dividere il palcoscenico con giganti del calibro di Charlie Parker, Miles Davis, Bud Powell, a cantare con Earl Hines, e a vivere in diversi paesi, dall'Italia al Giappone. Se vi sembra abbastanza per volerne sapere di più su questa grande signora della canzone, continuate a leggere.......

All About Jazz: Guardando indietro a questi sessant'anni pieni di canzoni, dischi (più di quaranta), collaborazioni importanti e concerti in tutto in mondo, puoi fare un bilancio della tua carriera?

Helen Merrill: Secondo il mio modo di vedere le cose ogni giorno è l'inizio di qualcosa di nuovo, per cui il bilancio della mia carriera è sempre pieno di possibilità, sia positive che negative. Non sono brava a gestire la mia carriera, e questo mi colloca in una sorta di limbo.

AAJ: Dopo tutti questi anni è rimasto un paese dove non sei mai stata e in cui ti piacerebbe cantare?

H.M.: Sin da piccola ho sognato la Cina. Da bambina ho letto molti libri su quel paese. Ho anche registrato una canzone in cinese, ma penso che la mia pronuncia non sia il massimo.

AAJ: Torniamo un pò indietro nel tempo. Hai iniziato la tua carriera cantando al Club 845, nel Bronx, quando facevi ancora le scuole superiori. Quando hai capito per la prima volta che volevi diventare una cantante, e quanto ha contato quel club nella tua carriera?

H.M.: Ho sempre saputo che sarei diventata una cantante, sin da piccola. Pensavo anche che cantare mi avrebbe aperto le porte del mondo, e così è stato. Il Club 845, dove suonavano Bud Powell, Kenny Clarke e molti altri famosi solisti, è stato importante perchè ha messo alla prova il mio talento.

AAJ: Era la fine dell'era delle Big Band, ma tu cantavi con la Reggie Childs Orchestra nel periodo 1946-47. Quell'esperienza ti ha insegnato qualcosa che poi hai utilizzato successivamente in contesti ridotti?

H.M.: Tutto quello che aveva a che fare con la musica mi dava emozioni. Lì ho imparato a cantare con un'orchestra, e non è stato difficile. Ho dovuto pregare mio padre di lasciarmi andare in tour con la band, cosa a cui acconsentì solo dopo molte suppliche.

AAJ: Come e quando Jelena Ana Milcetic divenne Helen Merrill? C'è qualche motivo particolare dietro la scelta del tuo nome d'arte?

H.M.: Adesso ritengo che il nome Helen Merrill sia stato un errore, ma al tempo tutti cambiavano il loro nome ed è quello che ho fatto anch'io. Una mia amica aveva un ragazzo con quel nome che allora mi sembrava adatto, molto americano.

AAJ: Che cantanti ascoltavi quando hai iniziato? Avevi un idolo a cui ti rifacevi?

H.M.: Non ho mai avuto un idolo fra i cantanti. Ascoltavo molto i musicisti e i miei idoli erano i sassofonisti Ben Webster, Lester Young, Johnny Hodges. Erano persone che conoscevano le parole delle canzoni e ne interpretavano la musica con in mente il significato, aggiungendo la loro speciale sensibilità. Anche mia madre ha avuto una parte importante, per l'eredità musicale del luogo in cui è nata, l'isola di KRK in Croazia, un posto molto spirituale. A partire da tutto questo ho lasciato che la mia esperienza mi guidasse nell'interpretazione della musica. Penso che l'arte non debba emulare, sennò saremmo solo alla ricerca di cloni. Impariamo invece uno dall'altro e da lì partiamo per la nostra strada.

AAJ: A volte sei stata descritta come un mix fra l'intensità di June Christy e l'estensione di Sarah Vaughan. Sei d'accordo con questi paragoni?

H.M.: Sarah, la mia preferita, era bravissima. La sua voce era uno strumento musicale e la sua eredità è stata enorme. Sono lusingata che tu mi paragoni ad altre meravigliose cantanti, ma io sono sempre stata me stessa.

AAJ: Il tuo primissimo album, Helen Merrill (Emarcy, 1954), poteva contare sulla presenza di un ospite come Clifford Brown e di un arrangiatore e produttore di tutto rispetto: Quincy Jones. Che ricordi hai di quel disco? I brani furono registrati con tutti i musicisti assieme o con delle sovraincisioni?

H.M.: Il disco con Clifford fu molto spontaneo: niente prove nè incontri preliminari. Clifford era timido, così come lo ero io. Stavamo nella stessa sala, con Quincy che scriveva gli arrangiamenti e faceva sentire tutti come in famiglia. Fu lui a farmi incontrare Clifford. Aveva questa straordinaria capacità di abbinare le persone, e penso che Clifford abbia espresso tutta la sua sensibilità nel nostro disco.

AAJ: Dopo Helen Merrill hai registrato Dream of You (Emarcy, 1956) con Gil Evans. Chi lo coinvolse, è stata una tua decisione?

H.M.: E' stata una mia decisione, e il produttore Bob Shad era terrorizzato perchè Gil era famoso per usare lo studio di registrazione a lungo. Io insistetti e Gil non dimenticò mai la mia lealtà. Era un patrimonio vivente e lo amavamo tutti. Lui e Miles avevano un rapporto stretto, penso che Miles vedesse in lui una figura paterna. Dissi a Miles del mio disco e lui mi disse solamente: "Penso che chiamerò Gil per registrare ancora assieme..."

AAJ: Benchè il disco con Clifford Brown sia stato molto importante, qualcuno ha detto che c'era "una ostentazione del tuo talento vocale". Trent'anni dopo avete lavorato assieme di nuovo in Collaboration (Emarcy, 1987), considerato uno dei tuoi dischi migliori. Come è stata questa esperienza rispetto alla prima?

H.M.: Kyoshi Koyama è stato il mio produttore in questo album con Gil, e Gil accettò l'incarico. Gil era un compositore meticoloso e molto lento. In quel periodo non stava troppo bene e così decidemmo di rifare alcune cose e aggiungere "Summertime".

AAJ: Parlando di collaborazioni, nel 1989 hai registrato Just Friends (Emarcy, 1989), un meraviglioso album con il sassofonista Stan Getz, dove le vostre voci si accordano perfettamene, essendo entrambe pacate e morbide. Come capitò l'occasione di lavorare assieme?

H.M.: Io e Stan eravamo vecchi amici, avevamo lavorato assieme in Scandinavia per molto tempo.

AAJ: Perchè ti sei trasferita in Europa, in Italia per l'esattezza, alla fine degli anni cinquanta? Avevi difficoltà a trovare ingaggi negli Stati Uniti?

H.M.: Era sempre un problema per un artista jazz trovare lavoro negli USA, ma il motivo fu quasi banale: stavo scappando da una brutta storia d'amore. Andai in Inghilterra con il critico Leonard Feather per cantare alla BBC con Dudley Moore (oltre che attore comico, ottimo pianista), da lì mi spostai in Belgio e al Comblain La-Tour Festival. Incontrai il pianista Romano Mussolini che mi invitò in Italia a cantare con lui e i suoi vari gruppi. Ebbi un discreto successo con festival, televisione e perfino musiche per film. Poi fui invitata dall'Hot Club of Japan a cantare nel loro paese. Era il 1960.

AAJ: Che esperienza è stata?

H.M.: Fantastica, da sogno. Non sono andata a vivere in Giappone, ci sono andata a lavorare. Alla fine degli anni sessanta incontrai un gentleman che poi ho sposato. Era responsabile dell' UPI [United Press International, ndt] per tutta l'Asia. Sono stati tempi di entusiasmo e duro lavoro, ma in qualche modo sono stata costretta a interrompere la mia carriera.

AAJ: Hai avuto la fortuna di diventare molto famosa in Giappone. Te lo aspettavi?

H.M.: La fortuna c'entra ben poco. Ho lavorato duramente e per pochi soldi. Il mio approccio musicale mi ha reso popolare fra il pubblico e i musicisti in Italia, in Francia. Il Giappone è un paese di interessi e gusti diversi. C'è un fedele gruppo di appassionati di jazz che rimane fedele. La durata nel tempo della mia fama è dovuta in parte al mio sincero interesse verso quel paese e la sua cultura, e in parte è dovuta, come direbbe il pianista Roland Hanna, al fatto che "hai uno modo magico di toccare il cuore delle persone". Così, anche se canto in inglese non ha importanza. Lo stesso accade in Francia.

AAJ: Il Giappone è sempre stato un mercato importante per il jazz e i suoi musicisti. Avendoci vissuto, come spieghi questo fenomeno?

H.M.: I Giapponesi hanno molti interessi e si dedicano con passione ai loro hobby. Quando arrivai in Giappone ebbi l'occasione di incontrare alcuni dei più importanti musicisti di ambito jazz, classico e pop. Personalità come il compositore Toru Takemitsu o il direttore d'orchestra Seiji Ozawa avevano già una grande conoscenza della musica classica occidentale. I giovani jazzisti erano desiderosi di imparare ed io ho cercato di trasmettergli il mio bagaglio di conoscenze. Oggi i jazzisti giapponesi hanno raggiunto livelli ragguardevoli. Hanno anche un gusto molto raffinato nella scelta della musica e dei musicisti e continuano ad apprezzare la musica jazz.

AAJ: Perchè hai poi deciso di tornare negli Usa negli anni settanta?

H.M.: Come ho detto, la mia carriera in Giappone stava per terminare quando mi sono sposata. Vivere in Giappone sarebbe stato problematico, sono tornata negli USA per seguire mio marito.

AAJ: Tornata in patria hai registrato due album di successo con il pianista Dick Katz e musicisti come il trombettista Thad Jones, il sassofonista Gary Bartz, il chitarrista Jim Hall, il bassista Ron Carter e il batterista Elvin Jones: The Feeling is Mutual (Milestone, 1967) and A Shade of Difference (Landmark, 1968). Sono stati importanti per la tua carriera?

H.M.: I dischi che feci con Dick Katz restano ancora freschi e sono meravigliosi. Non lo dico per me stessa, ma il calibro dei musicisti che parteciparono a quelle session poteva produrre solo ottima musica. Dick era, e rimane, un interessante arrangiatore e la sua musica suona molto moderna. L'incisione era "live" e ha un suono molto buono.

AAJ: Nel 1976 hai registrato con il pianista John Lewis, quasi un album in duo. Poi, negli anni ottanta hai inciso in duo con il pianista Gordon Beck (1984) e poi con Ron Carter (1987). Come ti trovi a cantare in questa formula?

H.M.: Cantare in duo può dare molte soddisfazioni, ma ci deve essere sintonia e un interscambio interessante. Il disco che feci con Gordon ha avuto molto successo in Francia, dove abbiamo fatto molti concerti e vissuto momenti magici.

AAJ: Dobbiamo parlare di Brownie (Polygram, 1995), che oltre ad essere un gran disco è anche un tributo a Clifford Brown a quarant'anni di distanza dal vostro primo incontro in uno studio di registrazione. Tutto è partito da un concerto per i trentacinque anni dalla sua morte, ma poi ci sono voluti due anni per andare in studio e registrare il disco. Perchè?

H.M.: Un tributo discografico in cui ci sia qualcosa di molto personale non può mai essere come lo hai in mente. E questo è il caso di entrambi i CD omaggio a cui ho lavorato: percepisci subito l'enorme responsabilità di rappresentare queste persone speciali. Per via del grande rispetto che nutro verso Clifford e sua moglie Larue, ho impiegato molto tempo per finire il Brownie. Ho scritto il testo di "Your Eyes" per Larue e lei mi ha spedito una bella lettera in risposta alle mie parole. Negli altri pezzi ho provato ad interpretare la vita dei miei genitori, un lavoro difficile. Quando mia madre cantava, c'era sempre un messaggio sottinteso che costituiva un segreto tutto suo. Ho imparato che la fantasia dell'ascoltatore era importante quanto quella del narratore. Ci sono dei versi in "I'll Take You Home Again Kathleen" che ancora oggi mi commuovono: "The roses all have left your cheeks, I watched them fade away and die... your voice is sad when ever you speak and tears behind your loving eyes, Oh I will take you home Kathleen to where your heart will feel no pain" ecc... Era chiaro che mia madre cantava di se stessa. Gli mancava il suo paese natale e la sua famiglia laggiù.

AAJ: Fra le nuove generazioni di trombettisti, chi pensi possa perpetuare la voce di Clifford?

H.M.: Beh, nessuno che io conosca di persona. Tom Harrell è splendido quando suona al meglio, e ci sono dei trombettisti molto bravi.

AAJ: Di solito ascolti i tuoi dischi quando sei a casa?

H.M.: No, non li ascolto molto ma quando lo faccio è come sentire un'estranea e mi stupisco di quanto siano ben fatti alcuni di essi.

AAJ: Cosa ascolti adesso?

H.M.: Sto cercando nuovo materiale per il mio prossimo disco e sto ascoltando ogni tipo di musica in cerca di ispirazione. Per ora ho trovato un paio di canzoni che mi piacciono.

AAJ: Hai qualche cantante jazz preferita fra quelle della nuova generazione?

H.M.: Non c'è nessuna cantante in particolare ma a volte sento delle esecuzioni che mi toccano profondamente. Mi piaceva Shirley Horne prima che diventasse così popolare. La sua musica è splendida e mi manca molto. Della nuova generazione non ho sentito molto ma sto iniziando a farlo ora.

AAJ: Quale sarà l'eredità che lascerai al jazz?

H.M.: La mia eredità, beh... per tutta la vita ho provato a fare della musica interessante e ho avuto l'onore di lavorare con grandi musicisti, persone per le quali nutro grande stima, e che sono stati per me fonte di ispirazione. Diversamente da molti cantanti, io preferisco essere un elemento della musica piuttosto che una voce accompagnata dagli strumenti.

AAJ: Se potessi ricominciare tutto da capo, vorresti ancora diventare una cantante jazz?

H.M.: Vorrei essere una cantante jazz, certo, per il mio bisogno di interagire con i musicisti. Certo non è una vita facile e io non la consiglierei, ma si fanno delle amicizie durature e ci si diverte.

AAJ: Di tutti i musicisti con cui hai suonato o registrato, quale ti è rimasto particolarmente impresso?

H.M.: Ci sono così tanti musicisti che mi hanno colpito....Bill Evans, Gil Evans, Clifford Brown, il contrabbassista George Mraz, l'arrangiatore Torrie Zito, Elvin Jones, i compositori Masahiko Satoh, Masaaki Kikuchi, Ennio Morricone, Dick Katz, e poi ancora Thad Jones, Oscar Pettiford e molti altri ancora. Tutti loro hanno una profonda sensibilità e una originale espressività musicale. Quasi tutti i musicisti con cui ho lavorato sono favolosi.

AAJ: Cos'è il jazz per te e cosa può dare alla gente, soprattutto ai giovani?

H.M.: Il jazz permette di esprimere sentimenti universali, può essere profondamente triste o molto divertente. Quello che non tutti i musicisti possono avere è la capacità di comunicare questi sentimenti ai loro ascoltatori. I giovani hanno una forte necessità di esprimere i sentimenti e penso che il jazz, dal blues all'avanguardia, possa essere un ottimo modo per farlo.

AAJ: Come pensi che si evolverà questo nuovo secolo?

H.M.: Penso che la world music stia cambiando il jazz e quello che possiamo aspettarci è che altri meravigliosi suoni provenienti da tutto il mondo entrino nella nostra musica. Trovo anche che il jazz sia un'ottimo esempio di diplomazia: la libertà della nostra musica è universale e può attirare l'interesse dei giovani.

AAJ: Ti capita ancora di andare nei club o ai concerti jazz?

H.M.: Certo, vado nei club quando c'è qualcosa di interessante. Sono appena ritornata da un tour di concerti in Giappone con George Mraz, Ted Rosenthal [piano], Bryan Lynch [tromba] e Terry Clarke [batteria]. E' stato un bel tour e ci siamo divertiti molto.

AAJ: Parliamo della Grande Mela. Com'è vivere a New York dopo l'undici settembre?

H.M.: I newyorkesi sono persone con grande capacità di ripresa. Stiamo facendo il meglio e spero che il domani porti la pace alle generazioni future. La terribile visione di due giovani che si prendono per mano e si lanciano da un palazzo in fiamme rimarrà per sempre nella mia mente.

AAJ: Il profilo umano di Helen Merrill non è così conosciuto come quello artistico. Dall'alto della tua età ed esperienza, cosa vorresti dire al mondo?

H.M.: La mia vita è stata molto ricca di curiosità, amore e umanità. Sono sempre stata una viaggiatrice, prima di tutto nella mia immaginazione, e continuo ad esserlo. Il miglior modo per rimanere giovani è quello di continuare a lavorare, senza smettere di sognare.

Discografia selezionata

Helen Merrill, Lilac Wine (Sunnyside, 2004)

Helen Merrill, Jelena Ana Milcetic aka Helen Merrill (Polygram, 2000)

Helen Merrill, Brownie: Homage to Clifford Brown (Polygram, 1994)

Helen Merrill, Clear Out of This World (Antilles, 1991)

Helen Merrill, Alone Together (Emarcy, 1989)

Helen Merrill with Stan Getz, Just Friends (Emarcy, 1989)

Helen Merrill with Ron Carter, Duets (Emarcy, 1988)

Helen Merrill with Gil Evans, Collaboration (Emarcy, 1987)

Helen Merrill, Music Makers (Owl, 1986)

Helen Merrill, Casa Forte (Inner City, 1980)

Helen Merrill, Chasin' the Bird (Inner City, 1979)

Helen Merrill, Sposin' (Storyville, 1971)

Helen Merrill, A Shade of Difference (Landmark, 1968)

Helen Merrill, The Feeling is Mutual (Milestone, 1967)

Helen Merrill, You've Got a Date With the Blues (Verve, 1959)

Helen Merrill, Dream of You (Emarcy, 1956)

Helen Merrill, Helen Merrill With Clifford Brown (Emarcy, 1954)

Traduzione Stefano Sanna

Foto per gentile concessione di Helen Merrill


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