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Giorgio Li Calzi: il ritorno

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C'è troppa musica in giro: io ho gusti difficili, e sono molto severo anche con i miei lavori.
A sette anni dal precedente Tech-set, ecco finalmente Organum, il nuovo album di Giorgio Li Calzi, che per l'occasione inaugura anche una propria etichetta, Fonosintesi.

Nato nel 1965 a Torino, Li Calzi avvicina il pianoforte a otto anni e a dieci inizia a registrarsi con un piccolo Geloso multitraccia. Il suo primo gruppo, Esaurymentho, risale al '78, e si colloca in un'area prossima ai Kraftwerk. Dal 1984 al '90 va al cinema quasi ogni giorno, e come il suo "maestro" Truffaut dà un voto a tutti i film che vede. Lo segnano in particolare registi quali Jodorowsky, Arrabal, Topor, Svankmajer. Sempre nel 1990 approda finalmente alla tromba (fra il '92 e il '94, anno della sua opera prima, Giorgio Li Calzi, ha per maestro Enrico Rava) ed è premiato come miglior compositore europeo al primo concorso per giovani talenti del jazz di Rai-Radiouno (un decennio più tardi sarà il quotidiano "La Stampa" ad assegnargli il premio SuperBig destinato a un torinese particolarmente distintosi nelle arti e nello spettacolo).

Nei suoi gruppi militano via via musicisti italiani, africani, arabi, asiatici, brasiliani, invitati in prestigiose rassegne sia musicali che cinematografiche e teatrali. Non disdegna neppure l'universo-canzone (per due volte si aggiudica il Premio Ciampi con rielaborazioni di brani del "livornese maledetto"), su cui centra fra l'altro uno dei suoi lavori più felici, Santa Lucia, mentre i più o meno coevi La nuit américaine e Suk sono altrettanti atti d'amore rispettivamente per il cinema (come poi Imaginary Film-Music, del '99, e il DVD dedicato nel 2008 all'Aleksandr Nevskij di Eisenstein) e il teatro, ambito in cui la sua attività si fa col tempo sempre più corposa.

Musicista a tutto tondo (fra l'altro attivo per molti anni sul versante dei jingles pubblicitari), sempre più assiduo frequentatore dell'elettronica (si ascoltino in particolare Autoloop, del 2000, e il citato Tech-set), nell'intervista che segue Li Calzi ci illustra queste sue diverse "pelli" (peraltro riconducibili a una poetica di rara coerenza), ovviamente concentrandosi soprattutto su Organum, che avrà il suo vernissage ufficiale il prossimo 14 aprile al Teatro Astra di Torino.

All About Jazz: Partiamo con una genesi, una cronistoria, di questo tuo nuovo album, che segue di diversi anni il precedente Tech-set, anni in cui hai più volte ipotizzato di tornare sul mercato, a un certo punto addirittura con due lavori in pratica simultanei, da cui poi hai estratto quest'unico CD, che evidentemente li sintetizza.

Giorgio Li Calzi: Premesso che per ogni mio album che esce ne butto via altri due (c'è troppa musica in giro, io ho gusti difficili, e sono molto severo anche con i miei lavori), nel 2004 ho avuto una figlia, cosa ovviamente fantastica, ma che ha variato i miei ritmi, prima molto "artistici" e casuali, facendoli diventare molto "quotidiani". Ho scoperto il piacere di seguirla, per esempio, nello studio del violino e della musica, che porta avanti con successo (familiare) da alcuni anni. Mi pare importante per i figli avere una figura paterna più presente, rispetto al classico padre lavoratore che esce al mattino e torna la sera, magari a figlio addormentato.

Dopo il 2004, comunque, ho lavorato molto come one-man-band nella sonorizzazione elettronica in tempo reale di reading per attori e registi (mia moglie, Elena Canone, e poi Mario Brusa, Oliviero Corbetta, Michele Di Mauro, Massimo Giovara, Alessandro Haber) e scrittori (Andrea Bajani, Tiziano Scarpa). La cosa mi ha molto assorbito, posticipando i progetti discografici, ma permettendomi nel contempo di perfezionare il software che utilizzo dal vivo (Ableton Live) e di sviluppare un progetto musicale in solo per tromba e computer.

Per assonanza, un altro progetto live, nato nel 2007, è Dracula, lavoro multimediale con Corbetta ed Elena, lettori del diario di Jonathan Harker e Mina Murray. Elena ne ha anche curato l'aspetto drammaturgico, riconducendo la trama ai due personaggi principali del romanzo di Stoker. Le immagini che ho scelto personalmente da alcuni film russi, o comunque di taglio espressionistico e sperimentale (Paradjanov, Tarkovskij, Brackhage, Flaherty, ecc.), sono state in seguito girate ai VJ Kidddz, che hanno curato la parte visuale. È un lavoro di cui vado molto fiero, inquietante e ricco di fascino. Di taglio analogo è Il perturbante, o L'Uomo della Sabbia, realizzato l'anno scorso con Mario Brusa su testi di Hoffmann, Freud, Musatti, Hitchcock e Truffaut. Tratta il tema delle paure ancestrali dell'uomo.

Nel frattempo sono andato avanti con i progetti discografici, realizzando una sessione in studio con i musicisti con cui suono abitualmente, Roberto Cecchetto, chitarra, Alessandro Maiorino, contrabbasso, ed Enzo Zirilli, batteria, tutti grandissimi jazzisti, che però, nello specifico, volevo far suonare rock, in modo un po' grezzo, con pochi accordi, pochi virtuosismi. Si è aggiunto anche un secondo chitarrista, Matteo Salvadori, che è un vero rockettaro. Contemporaneamente stavo anche preparando alcune tracce con musicisti conosciuti via web, cosa già fatta anni fa con Lenine e l'ex Kraftwerk Wolfgang Flür. Alla fine, scartando un bel po' di roba, ho unito i due progetti, ed è venuto fuori Organum, un album con almeno due denominatori comuni: la mia tromba, che è jazz, perché nei pezzi improvviso sempre, e un'estetica rock, minimale, legata a un certo tipo di musica elettronica di ricerca, di stampo teutonico.

AAJ: Un percorso lungo e composito, dunque. Spendiamo due parole sugli ospiti "virtuali" del CD.

G.L.C.: Hayley Alker, cantante di Portsmouth, l'ho conosciuta su Myspace. Le ho inviato due pezzi via mail con un riferimento vocale. Lei ha capito esattamente cosa volessi, ha aggiunto i testi e la sua bellissima voce. La conoscerò di persona a breve, quando presenterò dal vivo il CD, con lei e col mio gruppo. Prodigi dei social network... In modo altrettanto virtuale ho lavorato con Thomas Leer, ex-enfant prodige della primissima new wave inglese, di cui avevo una cassetta addirittura del '79! Devo confessarti che, ogni volta, il momento in cui ricevo il pacchetto o la mail con il pezzo in cui è stato inciso il contributo musicale, è sempre molto emozionante. Sono rimasto ad esempio sbalordito quando ho ricevuto indietro il pezzo (stavolta prodotto) dal londinese Douglas Benford, grande sperimentatore musicale, difficilmente etichettabile: quello che era rimasto della mia tromba e di una traccia di tastiera era ormai un suono davvero trasfigurato. In pratica la mia tromba era stata rivoltata in più riprese e suonava come un nuovo e futuribile strumento a fiato, con frequenze inusuali e rumori aggiuntivi. D'altronde il pezzo che avevamo intenzione di produrre, "Homo Zentropicus," era dedicato a Lars von Trier: quando vedi un suo film non sai mai cosa ti aspetta.

Poi ci sono i Marconi Union, paladini di una certa ambient tipicamente inglese (hanno inciso anche per la All Saints Records, legata a Brian Eno), che hanno prodotto una traccia, "Blue Lights," il cui punto di partenza era "Kind of Blue". E c'è ancora un pezzo, "Madonna delle Lamiere," con i Retina.it, sicuramente il gruppo italiano (sono di Pompei) che preferisco fra quanti si occupano di elettronica minimale: hanno iniziato a registrare rumori di lamiere messi in una sequenza ritmica, e io ho poi completato la traccia.

Un ultimo ospite, stavolta inconsapevole (ma informato), è Scott Gibbons, grandissimo sperimentatore americano che lavora da anni per gli spettacoli di Romeo Castellucci e della sua compagnia, Societas Raffaello Sanzio. Gli ho "rubato" alcuni suoni, inseriti qua e là. Castellucci è per me il più grande artista contemporaneo. Non saprei se collocarlo nella regia teatrale, nel cinema o nella musica. Del resto tutto ciò è riduttivo, perché è davvero un genio assoluto. Gibbons è per lui un po' quello che fu Nino Rota per Fellini.

AAJ: Nella presentazione del CD, dici che l'organum - o diafonia - è uno dei primi tentativi di organizzare, mediante la scrittura, due voci, e in ciò cogli - esattamente, perché lo si nota con chiarezza ascoltando il disco - la sintesi della doppia anima che attraversa il lavoro. Ci sono due anime, dunque, una collettiva e una in qualche misura solitaria. Però mi pare ce ne siano altre due, che s'intrecciano con queste, determinate dalla presenza/assenza della voce. Cosa puoi dirmi in proposito.

G.L.C.: L'impulso artistico, per me, è sempre solitario. Poi è vero che il musicista (o il gruppo) che si confronta con la tua musica le dà valore aggiunto. Sono molto minuzioso nello scrivere le parti che sottopongo ai musicisti, che comunque li suoneranno sempre con caratteri per me inattesi ed emozionanti. La voce è il primo strumento musicale, tanto per dire una cosa retorica (ma vera), di cui non riesco a fare a meno. Del resto non è necessario che con una voce e un testo si debba per forza fare una canzone. Un esempio è dato dagli ultimi CD di David Sylvian, che resta uno dei miei musicisti di riferimento.

AAJ: Allora ti lancio una provocazione, che nasce sempre dall'ascolto di Organum: se vuoi, un limite dei brani vocali rispetto agli altri è proprio che sono un po' troppo "canzoni"... Tendono ad alleggerirsi, in altre parole.

G.L.C.: Temo che il termine "leggero" possa essere fuorviante: l'aggettivo che credo più appropriato per Organum è "drammatico," cioè teatrale, contaminato, inaspettato, tragico, ma soprattutto non "di intrattenimento". E' vero che tre pezzi risultano di fatto delle canzoni, ma non credo le si possa definire "leggere," perché contengono caratteristiche e arrangiamenti anomali. Prendiamo "Eyes Wide Open," con la voce di Hayley e il mio gruppo: intanto dura sette minuti, che non è la classica durata di una canzone; inoltre, appena un minuto dopo l'inizio, la ritmica si blocca e rimane solo la voce con il sintetizzatore per un altro minuto, cosa abbastanza inusuale in una canzone (a meno che non prendiamo "One More Time" dei Daft Punk, per me un capolavoro del pop). Poi l'assolo di tromba segue la melodia della voce, insieme alla voce stessa, per quasi tutto il pezzo (dove seguire non significa "sbrodolare," stile turnista jazz, cioè riempire di note casuali tutti i buchi del cantato). In questo mi sono ispirato a Shirley Horn (di cui possiedo tutti i CD), che in un solo su "Estate" espone semplicemente la melodia. Infine posso ancora dirti che ci sono due blocchi strumentali, rispettivamente di 30" (a metà) e 2'15" (in coda), in cui i cinque musicisti coinvolti si limitano a creare un flusso musicale in cui nessuno prevale, cosa poco usuale, sia nelle canzoni che nel jazz. Ci sono pochissimi accordi in tutto il disco che possano riportare l'ascoltatore al jazz vero e proprio. La forma, l'estetica, è un'altra.

AAJ: Per produrre questo CD, hai creato una tua etichetta, Fonosintesi. Com'è maturata l'idea?

G.L.C.: Te la dico molto banalmente: Roberto Cecchetto, con cui suono da quasi da vent'anni, oltre a essere un grande musicista ha spesso delle ottime intuizioni e suggerimenti (anche sull'uso dell'elettronica e delle sonorità, per esempio). Fatto sta che un po' di tempo fa mi ha detto: "visto che fai l'artigiano, fallo fino in fondo: stampati i dischi, così hai un maggior controllo del tutto". Siccome me l'ha detto più volte, alla fine ho finito per seguire il suo consiglio: ho trovato una distribuzione, e di lì il passo per creare Fonosintesi è stato breve. C'è da dire che io non ho una mente molto commerciale, ma spero di imparare. Riguardo al fatto che i CD non si vendano più - perché si scarica illegalmente, o perché si scarica l'mp3 anche legale - abbiamo realizzato un particolarissimo packaging basato sulle foto di Alessandro Albert, e poi, certo, le tracce sono vendute anche digitalmente dal sito www.fonosintesi.com e da itunes. Se poi nel frattempo arrivasse una bella legge in Italia contro il download illegale, sarebbe un bel regalo per noi musicisti: prova a pensare se nessun lavoratore, da domani, potesse più guadagnare i soldi derivanti dal suo lavoro solo perché i tempi sono cambiati! Comunque non posso pensare che non ci saranno più supporti su cui mettere la musica. Con questi presupposti, quindi, all'alba del 2011 sono partito con la label.

AAJ: Voltiamo pagina. Lasciando stare il solito Miles Davis (che peraltro Organum conferma come tuo sempiterno "faro"), ti faccio qualche nome di tuoi colleghi trombettisti che operano su terreni contigui al tuo, chiedendoti se e quanto li conosci, e in che misura, eventualmente, ti hanno influenzato: Palle Mikkelborg, John Hassell, Nils Petter Molvær, Arve Henriksen.

G.L.C.: Jon Hassell è citato da tutti i trombettisti jazz come uno dei loro massimi mentori, ma non ho mai sentito un trombettista che riesca a capirne l'essenza del suono, legata alla sua filosofia musicale. Certo, è uno dei miei principali riferimenti: la prima volta che l'ho sentito - in Remain in Light dei Talking Heads, album del 1980 - mi sono chiesto quale fosse lo strumento che stavo ascoltando. La seconda volta, ascoltando il suo Dream Theory in Malaya, mi domandavo "ma quando arriva la tromba?" (prova ad ascoltare il primo brano). Mikkelborg è bravissimo, ha un suono incredibile, ma lo conosco poco. Molvær suona benissimo, ma ha un suono troppo "costruito," e quindi non mi convince del tutto, anche perché copia troppo Hassell. Stilisticamente, poi, la sua è un'elettronica da cinquantenne, da "trombettista con effetti". Heriksen l'ho solo sentito su youtube. Mi sembra anche lui bravissimo, ma pur sempre su una strada già tracciata da Hassell.

Tra i miei trombettisti preferiti, invece, svetta sempre Enrico Rava, un grandissimo, anche se ultimamente fa dischi secondo me un po' troppo classici. La sua elaborazione, così come fraseggio e suono, sono davvero unici. E poi possiede una caratteristica che è solo dei grandi, come Parker, Coltrane e Miles: i suoi soli sono l'estensione dei suoi temi. Amo molto anche Chet Baker (l'ho sentito un sacco di volte a Torino), Freddie Hubbard (a chi non piace? suonava da Dio, anche se i suoi dischi erano grezzi). Un album che ho ascoltato tantissimo (pur se vent'anni fa) è poi Castalia di Mark Isham. E vorrei infine citare Piergiorgio Miotto, uno dei miei migliori amici (lo conosco da venticinque anni). Oltre a essere un grande trombettista, ha progettato e costruito lo studio in cui ho registrato con il gruppo. Mi aiuta a risolvere ogni problematica relativa a software e hardware (oltre che alla musica e alla tromba in generale): uno dei musicisti e delle menti più dotate che abbia mai conosciuto.

Quali altri ascolti possono aver influenzato Organum? Daniel Lanois, Telefon Tel Aviv (solo i primi due CD), Radian, Alva Noto, Fennesz, David Sylvian, Sigur Ros (solo un CD: ( ) - è il titolo - del 2002), Blonde Redhead... E potrei proseguire.

AAJ: Chiudiamo uscendo un po' dal seminato, con qualche altro nome, anche piuttosto lontano dai citati, che però so che ami, e su cui hai anche lavorato: Morricone, Ciampi, Brel (aggiungine, se vuoi).

G.L.C.: Il Morricone che m'interessava era quello che per la prima volta eliminava gli archi dai western, a favore di chitarra elettrica, scacciapensieri, frusta e coro dei "cattivi". Un insieme di elementi rumoristici che arrivavano dal Morricone arrangiatore di musica leggera. Questa grossa apertura elaborativa è probabilmente scaturita grazie al mix con un terzo elemento della sua formazione: la musica contemporanea, gli studi con Petrassi e la militanza in Nuova Consonanza.

Brel, quando l'ho scoperto, l'ho ascoltato tutto, come anche Ciampi. I loro pezzi che preferisco sono proprio quelli che ho inserito in Autoloop: "Il lavoro," con cui, insieme a Johnson Righeira, ho vinto il Premio Ciampi nel '99, e "La Fanette," con la voce di Mamady Koyatè. Ovviamente la prima cosa che mi colpisce, in una canzone, è la musica; il testo viene subito dopo. Del "Lavoro," mi piaceva la figura di questo anti-eroe, un po' cialtrone ma molto romantico, che tornava sconfitto dalla sua donna, ancora una volta senza aver trovato lavoro, dichiarandole il suo amore in modo davvero poetico. Molto bukowskiano, come d'altronde gli amici del Premio Ciampi mi dicevano fosse realmente Piero. Se parliamo di canzone d'autore, comunque, il mio preferito è Paolo Conte.

AAJ: Singolare: fra tutti è probabilmente il meno "tecnologico"...

G.L.C.: Ovviamente non ascolto solo musica tecnologica, altrimenti tralascerei il jazz e la classica, i quartetti di Haydn e Paul Desmond, Pergolesi e Shirley Horn, Vitorino e Magic Malik... Conte elabora in modo originalissimo: è un freak, non è costruito. E ha fatto scuola. Gli altri sono degli epigoni, non possiedono la sua unicità. Un po' come Rava per il jazz: li vedrei benissimo insieme.

Ma se vogliamo uscire ulteriormente dal seminato, posso dirti che amo molto la musica centro-asiatica, le corali georgiane, la musica tradizionale bulgara, quella celtica... Vorrei imparare a suonare il violino, la chitarra, il duduk...

AAJ: Hai ancora "tanta strada nei tuoi sandali," quindi, per dirla proprio con Paolo Conte...!

Foto di Maurizio Pisani (la prima), Alberto Bazzurro (la seconda), Alessandro Albert (la quinta) e Antonio Baiano (la sesta).

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