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Gianluigi Trovesi: dal solo alle orchestre

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Non era più giovanissimo Gianluigi Trovesi quando alla fine degli anni Settanta venne alla ribalta nel sestetto di Giorgio Gaslini, che nei concerti lo presentava come "l'improvvisatore che viene dalle montagne." Il sassofonista e clarinettista infatti è nato e cresciuto a Nembro, nella Valle Seriana, dove ha mosso i suoi primi passi musicali all'interno della banda locale. Si mise in particolare evidenza quando nel 1978 si esibì in solo nel mitico Europa Jazz, festival organizzato a Imola appunto da Gaslini, proponendo fra l'altro "Baghèt," la sua rivisitazione di un brano rinascimentale di origine popolare.

Poco dopo Baghèt fu il titolo anche del suo esordio discografico per I Dischi della Quercia. Di qui prese l'avvio una serie di collaborazioni prestigiose, oltre che con altri musicisti italiani, anche con improvvisatori stranieri. Da allora ad oggi, pur nella molteplicità degli approcci e dei progetti affrontati, la sua impronta compositiva, improvvisativa e leaderistica è sempre stata estremamente coerente e riconoscibile. Nel rievocare solo alcuni momenti della sua lunga carriera, si è cercato di individuare i punti fermi del suo credo musicale.

All About Jazz: Al Teatro Sociale di Bergamo, all'interno del Jazz Festival 2019, si è recentemente celebrato ufficialmente il tuo settantacinquesimo compleanno. Si è trattato di una festa insieme ai tuoi fan, di un doveroso omaggio e di una parziale ricapitolazione del tuo mondo musicale. Ben lungi però dal dare all'evento il significato di una conclusione di carriera...
Gianluigi Trovesi: Mi auguro proprio che non si tratti di una conclusione di carriera e farò il possibile perché ciò non avvenga!

AAJ: Quali sono allora i lavori discografici di prossima pubblicazione?

GT: In questo periodo è in uscita il disco ECM con Gianni Coscia, intorno al romanzo "La misteriosa fiamma della regina Loana" di Umberto Eco [per leggerne la recensione clicca qui]. Sempre con ECM, nei primi mesi del prossimo anno uscirà un singolare progetto, ideato con il direttore d'orchestra bolognese Stefano Montanari e realizzato con un gruppo barocco, intorno a musiche rinascimentali e barocche.

AAJ: Le varie fonti (il jazz, la musica antica, le varie culture etniche, il patrimonio operistico...) nella tua musica si sono sempre amalgamate intimamente in un linguaggio di sintesi molto personale...

GT: Concordo con la tua descrizione: il mio "credo musicale" si basa innanzitutto sulla tradizione jazzistica, che costituisce l'"ingrediente base" a cui, di volta in volta, aggiungo sapori tratti sia dalla musica popolare mediterranea, sia dal repertorio musicale europeo, dal medioevo ai giorni nostri.

AAJ: Prendiamo in esame alcuni aspetti della tua carriera. Dal 1991 ai primi anni Duemila hai suonato ovunque e inciso per etichette prestigiose (Soul Note, Enja, ECM) a capo di larghe formazioni: l'ottetto, il nonetto, la big band... A mio parere sono stati il periodo e le esperienze più esaltanti. Sei d'accordo? Come fu il rapporto con i produttori di quelle etichette?

GT: Sono d'accordo, ma aggiungerei anche il trio iniziale con Paolo Damiani, Gianni Cazzola (e poi con Ettore Fioravanti), nato alla fine degli anni Settanta. Con loro appunto incisi Baghèt. Quanto al rapporto con i produttori, è sempre stato—ed è tutt'ora—molto buono: sono sempre state le etichette a contattarmi direttamente e, al termine del lavoro, c'è sempre stata soddisfazione reciproca.

AAJ: Con le orchestre inoltre, come ospite o come leader, hai avuto numerose altre esperienze. Ci puoi parlare delle collaborazioni più recenti, soprattutto con formazioni del Nord Europa?

GT: Le due partecipazioni più recenti sono state quella con la Big Band della Radio di Francoforte nell'autunno 2018 e quella con la norvegese Bergen Big Band, nel marzo 2019. Il prossimo appuntamento sarà a Innsbruck, dove il 26 luglio sarò ospite della Innsbruck Big Band, con cui eseguirò un mio progetto. Al di fuori dell'ambito prettamente jazzistico, ho avuto la fortuna di collaborare anche con orchestre sinfoniche, come l'Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano e quella della Radio della Svizzera Italiana, che mi hanno commissionato nuovi progetti, quali, ad esempio, "Berg Heim," un viaggio musicale intorno al capolavoro La montagna incantata di Thomas Mann.

AAJ: All'estremo opposto si colloca la tua lunga collaborazione, intima e raffinatissima, quasi sussurrata e un po' nostalgica, con Gianni Coscia. Ce la puoi sintetizzare?

GT: La collaborazione con Gianni è nata casualmente, una trentina di anni fa, da una scrittura al Festival di Tortona, su richiesta del direttore artistico Alberto Bazzurro. Lo sposalizio dei due timbri ci ha subito affascinato e in questi anni abbiamo lavorato per farne emergere, con colori tenui, la poesia.

AAJ: Nella tua carriera hai suonato anche in molti trii. Quali per te le esperienze più significative in trio?

GT: Oltre al primo trio con Damiani e Cazzola (o Fioravanti), a cui ho già accennato, un altro trio per me significativo, per le musiche che abbiamo proposto, è quello con Riccardo Tesi e Patrick Vaillant, nato negli anni Novanta.

AAJ: Appunto con loro, a cui si aggiungeva Andrea Piccioni alle percussioni, ti ho ascoltato recentemente a Castel San Pietro Terme. Personalmente non ho trovato l'operazione nostalgica né revivalistica, ma piuttosto una rimeditazione distaccata, consapevole, equilibrata della propria identità. Cos'è per te oggi l'etnia immaginaria?

GT: Oggi come allora considero l' "etnia immaginaria" come una chiave per aprire porte che permettono di affacciarsi su panorami musicali appartenenti ad altre culture, con lo sguardo rivolto non tanto all'aspetto filologico, quanto piuttosto alla poesia in esse contenuta. Un singolo frammento armonico, melodico, ritmico o timbrico della musica originale può diventare la "pietra angolare" della poetica dell'etnia immaginaria.

AAJ: Mi risulta che tu abbia avuto frequenti occasioni di lavoro in Germania. Ai tuoi esordi, negli anni Settanta, collaborasti con Peter Kowald, Manfred Schoof, Connie Bauer e altri. Come capitasti in Germania e che ricordo hai di quei gruppi?

GT: La prima possibilità di conoscere e frequentare musicisti della Germania mi fu offerta dal famoso Joachim E. Berendt, che nel 1979 mi invitò al "Clarinet Summit" di Baden Baden. Questo progetto sfociò poi nel disco You Better Fly Away, prodotto da MPS Records. Da quel momento in poi fui invitato frequentemente in Germania, sia per eseguire progetti miei, sia per collaborare con musicisti e gruppi tedeschi. Il ricordo che conservo è bellissimo e sono molto contento di poter ancora lavorare con musicisti del calibro di Schoof e Gunter Sommer.

AAJ: La Germania è rimasta un approdo privilegiato anche nell'ultimo ventennio; credo che tu abbia lavorato più lì che in Italia. Hai solo suonato o anche insegnato? La clarinettista Annette Maye si può considerare tua allieva?

GT: In Germania non ho mai insegnato, ho sempre e solo suonato. La bravissima Annette Maye non è mai stata mia allieva diretta, ma credo che conosca meglio di me i miei lavori, dal momento che ha scritto la sua tesi di laurea sulle mie composizioni...

AAJ: Vorrei chiudere ricordando Il cortile della musica, un documentario su DVD forse dimenticato, che invece racchiude bene il tuo mondo e le tue convinzioni. Ci puoi ricordare la sua genesi (l'idea, la regia, le riprese, il montaggio...)? È ancora reperibile?

GT: Il documentario nasce da un'idea di Renato Magni ed è stato realizzato da Sergio Visinoni di Lab 80 film. Per circa un anno e mezzo sono stato "pedinato," partendo dal cortile della casa dove sono nato, che dà il titolo al film, per arrivare ai jazz club, ai teatri dell'opera, alle prove delle bande di paese, che nell'area bergamasca sono circa 130. Il film è montato per capitoli che rappresentano altrettanti momenti musicali o incontri. Il cortile della musica è ancora in distribuzione ed è disponibile in DVD.

Foto: Gianluigi Trovesi.

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