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Gabriele Mirabassi: dal Canto d'ebano al Brasile

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A Vignola, nella stupenda Piazza dei Contrari, il pomeriggio del 23 giugno, abbiamo incontrato Gabriele Mirabassi che, con la consueta disponibilità, ci ha parlato del suo nuovo disco, dell'immutato amore per la musica brasiliana e della sua collaborazione col chitarrista Guinga.

All About Jazz: Stasera presenti i brani del tuo nuovo disco Canto d'ebano, che uscirà a ottobre per l'Egea. Come mai questo nome?

Gabriele Mirabassi: È un omaggio al clarinetto, al suo legno d'ebano ed agli artigiani italiani che l'hanno costruito. Tempo fa sono stato a visitare la ditta artigiana che ha realizzato lo strumento che ho in mano ed entrando nel cortile mi ha colpito la vista degli enormi tronchi di legno africano stesi a invecchiare. Ho subito pensato che un tempo erano vivi, facevano parte di una foresta ed ora giacevano accatastati uno sull'altro, morti. Abilmente trattato dalle mani degli artigiani piemontesi, quel legno trova però nuova vita riesce a vibrare ed esprimere la sua essenza. Torna a vivere.

AAJ: L'organico con cui suoni stasera è lo stesso che ha realizzato il disco?

G.B.: No, della formazione originale stasera c'è solo Salvatore Maiore. Per motivi di forza maggiore il chitarrista Peo Alfonsi è stato sostituito da Roberto Taufic e il batterista Alfred Kramer da Francesco D'Auria, con cui collaboro da tempo.

AAJ: Hai da poco terminato il tour con Guinga. Ci puoi raccontare com'è nata questa straordinaria collaborazione?

G.B.: È nata perché io mi sono perdutamente innamorato della sua musica che ho conosciuto attraverso i dischi. Poco dopo ho scoperto che lui suonava con uno dei miei clarinettisti preferiti in assoluto, il brasiliano Paolo Sergio Santos. Neanche a farlo apposta qualche mese dopo Guinga venne a suonare per la prima volta in Italia assieme a Santos, portato da un mio amico. Allora ho fatto carte false per andare a sentire un loro concerto e lì ho scoperto che anche Paolo Sergio mi conosceva, per il disco che avevo realizzato con Sergio Assad. Il disco gli era piaciuto e, incredibile a dirsi, l'aveva fatto ascoltare anche a Guinga...

AAJ: Un colpo di fulmine reciproco, quindi...

G.B.: Esattamente. Da lì è nato questo rapporto che ormai è diventato profondo, quasi familiare... nel senso che con tutta le famiglia andiamo avanti e indietro tra Rio De Janeiro e Perugia, e ci vogliamo un gran bene.

AAJ: Guinga continua a fare il dentista?

G.B.: No, ha smesso da pochi mesi. È andato in pensione.

AAJ: Quest'attività lavorativa mantenuta per tanti anni al di fuori dalla musica è un indice che in Brasile è poco noto?

G.B.: Tra i musicisti c'è un rispetto unanime, enorme, per la sua figura di compositore però il grande pubblico non lo ha mai raggiunto, anche per sua scelta. Alcuni brani di Guinga sono stati registrati da Elis Regina, da Chico Buarque De Hollanda eccetera e tutti i musicisti brasiliani ne parlano come dell'autore più interessante che c'è oggi nella musica popolare brasiliana. La sua scelta di continuare a fare il dentista lo ha però preservato dall'accettare certi compromessi...

AAJ: Uscirà un altro vostro lavoro in duo, dopo l'esordio di Graffiando vento?

G.B.: Per il momento no, anche se abbiamo registrato materiale per almeno tre album. Il mercato è quello che è. Tra pochissimo però l'Egea pubblicherà un disco del suo gruppo che io, tra virgolette, ho prodotto e voluto fortemente. Questo perchè i dischi di Guinga sono totalmente differenti da quello che lui esprime dal vivo. Io che conoscevo benissimo i suoi dischi quando l'ho sentito in concerto con quel quartetto sono rimasto di stucco, mi è caduta letteralmente la mascella in terra...

AAJ: Qual è l'organico del quartetto?

G.B.: Sono due chitarre, clarinetto e tromba. Una chitarra è suonata da Guinga mentre l'altra da Lula Galvao un altro genio, un grandissimo improvvisatore. Il clarinettista è Paolo Sergio Santos. Questo gruppo suona da 25 anni e non è mai stato registrato...

AAJ: Come mai?

G.B.: Secondo Guinga in Brasile non c'è mercato per una musica cameristica così rigorosa. Se non ci sono i cantanti la gente non acquista il disco...

AAJ: Per questo hai pensato di realizzarlo in Europa...

G.B.: Si, è un disco che andava fatto, volevo averlo nello scaffale.

AAJ: Sentendo le prove del concerto [per leggere la recensione del concerto clicca qui] è evidente che l'amore per la musica brasiliana resta un punto fermo. Ci vuoi raccontare com'è nata?

G.B.: Bisogna considerare che il jazz è solo una componente della mia formazione. Una componente molto importante, ma probabilmente anche dal punto di vista dell' approccio strumentale per me è stata fondamentale la musica colta. Il mio stile nasce come sviluppo di quella tecnica che ho appreso nella musica erudita.

AAJ: Certo, ma che c'entra la musica popolare sudamericana?

G.B.: Ecco, quella musica ha una caratteristica che io ho scoperto per caso e che adesso che la frequento è diventata la salvezza per il mio cervello... Io ho sempre tentato, inconsciamente, di riunire l'anima della passione afroamericana con la musica classica. Sia per la mia storia personale che per il legame con lo strumento. Non suono il sassofono, che ha svolto tutta la sua vita all'interno del jazz. Quando il clarinetto è entrato nel jazz aveva già fatto cose meravigliose, da Mozart a Brahms a Stravinskij. In Sudamerica fanno invece una musica che non ha frattura tra colto e popolare. Prendiamo ad esempio Chico Buarque. Per i nostri parametri lui è un cantautore ma in realtà è uno dei massimi poeti del Novecento e sul piano musicale esprime una straordinaria profondità tra armonia e melodia, più una sapienza di tipo ritmico che gli viene dal posto dove vive. Nella sua musica c'è un grado di complessità tale che chiamarla canzonetta è limitativo. C'è poi il mondo infinito della musica strumentale, che viene dal choro e che oggi esprime una dimensione molto viva. Questa musica ha lo stesso rigore, e spesso anche la complessità, della musica da camera senza però perdere in naturalezza e quindi in una funzione di tipo popolare. Ci ballano, si innamorano... come da noi con le canzonette. I brasiliani racchiudono la loro musica all'interno di una sigla, MPB, che sta per Musica Popular Brasileira e in questo contenitore mettono Caetano Veloso, Maria Bethania ma anche Pixinguinha e Villa Lobos... come se noi mettessimo nella stessa categoria Carosone, De André e Verdi.

AAJ: Come spieghi questo?

G.B.: Il Brasile è un paese assurdamente enorme, con migliaia di etnie diverse ed il problema dell'identità non è così automatico come da noi. Io e te semo de Perugia, no? Basta che facciamo un giro pel corso che l'identità di secoli ci sostiene, è una cosa automatica, non dobbiamo pensarci. Loro invece se lo chiedono continuamente e la musica diventa il luogo dove i brasiliani diventano una nazione. Di questo i musicisti sono consapevoli e rigorosi, sapendo di trattare con una materia che non è uno scherzo. Per questo la loro musica è così grande.

Foto di Claudio Casanova


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