Wynton Marsalis: From the Plantation to the Penitentiary

Un'opera indubbiamente piacevole e ben congegnata, ma senz'anima. È il frutto di un 'accurata opera di catalogazione di alcuni ritmi e melodie guida dell'estetica afroamericana del '900: charleston, swing, la ballad, per quel che riguarda il mondo del jazz; ed ancora il funky, soca, cumbia e perfino lo stile vocale e strumentale del magnifico sound Motown degli anni '60.

Ma al di là dell'estrema piacevolezza di una musica eseguita con regale perizia dal leader e dal suo bel combo, non si intravede nel disco alcun bagliore di tensione emotiva, che possa rimandare il bel groove a una progettualità ben precisa e delineata.

A modesto parere di chi scrive, non è scattata nel gruppo la scintilla che abbia fatto trasformare il virtuosismo ed il saggio di brillante solismo in uno scenario sonoro di inattese vedute. È insomma il classico disco mainstream che conduce l'ascoltatore verso rassicuranti territori del dejà vù, senza farlo sobbalzare con colpi d'ala e trovate memorabili.

Non è una musica che stupisce per la vis creativa che la sottende; ma la si apprezza grazie alla duttilità stilistica e la perizia dei giovani compagni di viaggio del leader, tutti eccellenti musicisti. È insomma un'opera di medio livello, che per molti discreti artisti rappresenterebbe un punto di arrivo; ma da jazzisti del calibro di Marsalis ci si attendono progetti di più ampio respiro e che si possano distinguere sul piano delle idee e delle ragioni del cuore.

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