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Franco D'Andrea alla Sala Vanni di Firenze
It's Monk Time -Musica dei Popoli
Sala Vanni
Firenze
6.12.2017
Dopo il concerto di Uri Caine del mese scorso, la seconda parte di "It's Monk Time!" -minirassegna di piano solo dedicata a Thelonious Monk per il centenario della nascita, organizzata dalla FLOG all'interno della storica rassegna Musica dei Popoli -ha visto di scena un altro pianista di grandissimo spessore, Franco D'Andrea. Stavolta il concerto si è svolto in Sala Vanni, un po' il "tempio" del jazz cittadino, di fronte a un pubblico tra il quale spiccava la presenza di molti pianisti fiorentini, che considerano D'Andrea un vero e proprio Maestro.
Lo studio della musica monkiana è per D'Andrea una pratica costante ormai da alcuni decenni: oltre a presentarne brani nei programmi delle sue diverse formazioni, il pianista ha riservato a Monk interi lavori e già una quindicina d'anni fa, in occasione del ventennale della morte, aveva svolto a Prato un seminario e un concerto in piano solo interamente dedicati al pianista e compositore di Rocky Mount. L'appuntamento fiorentino era quindi un'occasione per seguire lo sviluppo della sua ricerca e, dopo la performance di Caine, per confrontare due grandi maestri del pianoforte alle prese con il medesimo e stimolante materiale.
Come gli è caratteristico anche in altri contesti, D'Andrea ha sviluppato nel corso del concerto una serie di suite entro le quali si intrecciavano più brani di Monk (in genere tre), intervallati da esplorazioni armoniche e improvvisazioni che li univano l'uno all'altro -da "Misterioso" a "Straight No Cheaser," da "Evidence" a "'Round Midnight" -evidenziando la coerenza e la continuità del patrimonio monkiano. In particolare, D'Andrea ha lavorato sulle strutture e le linee melodiche caratteristicamente sinuose del materiale tematico di Monk, senza tuttavia avvicinare l'aspetto timbrico -anch'esso rilevantissimo, specie nelle esecuzioni in piano solo -rispetto al quale è rimasto interamente sul proprio terreno: un flusso musicale continuo e rigoroso, dal tocco assai meno percussivo, più "educato" e sfumato, alla fin fine più coerente al tipo di ricerca globale svolta dal pianista.
Venendo a un confronto con il concerto di Caine, le differenze erano marcatissime: il pianista di Philadelphia è apparso più istrionico, molto più appariscente alla tastiera e con un'inventiva esplosiva, assai scenografica, in tal modo pagando però il prezzo di risultare un po' esteriore al materiale monkiano; a quest'ultimo D'Andrea è invece rimasto ampiamente fedele, esplorandone a fondo alcuni aspetti con grande rigore e senza alcuna concessione al puro "spettacolo," neppure nelle numerose parti in cui andava in gioco la sua propria attività creativa, e tuttavia così "tradendo" di Monk proprio quell'elemento di teatralità, di vistosa sorpresa che comunque innervava la sua musica.
Due approcci, dunque, assai diversi ed entrambi fatalmente caratterizzati dall'accentazione di alcuni aspetti della musica di Monk, a svantaggio di altri. A merito di D'Andrea va assegnato il fatto di essere riuscito a trasmettere tangibilmente quanto il suo lavoro fosse frutto di una personale meditazione lunga e rigorosa, tal che il pubblico ha seguito con grande attenzione e ha apprezzato molto il concerto, a dispetto della (o forse grazie alla) totale assenza di ammiccamenti nei suoi confronti.
Foto: Ivan Margheri
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