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Francesco Massaro
Terzo album di questo meraviglioso gruppo (Xavier Charles, Ivar Grydeland, Christian Wallumrød ed Ingar Zach) che produce una musica diafana, eterea ma allo stesso tempo ruvida e materica. Un universo sonoro del tutto particolare nel quale la mimesi timbrica e la totale assenza di sviluppo narrativo assumono funzione gravitazionale. Dopo i due precedenti ECM (Dans les arbres e Canopée) dalle atmosfere decisamente cameristiche, quest'ultimo vira verso sonorità elettriche, fatto che rende il lavoro, sebbene in continuità stilistica con il passato, molto più ricco di asperità e con notevoli tratti di novità.
2. Peter Evans, Lifeblood (More Is More Records, 2016)
Peter Evans è sicuramente uno dei più interessanti improvvisatori in attività, e nel solo si esprime in tutta la sua grandezza, ma questo disco supera di gran lunga le migliori aspettative. Trovo sia un capolavoro del genere, un disco imprescindibile, per forza espressiva, tecnica esecutiva (un uso magistrale e a tratti stupefacente delle tecniche estese) e composizione (lunghi brani dallo sviluppo implacabile, e dalle architetture complesse, mai un calo di tensione, mai una sbavatura). Un disco perfetto.
3. Maria Faust, Sacrum Facere (Barefoot Records, 2014)
La clarinettista-saxofonista Estone compone un lavoro per ensemble di assoluta originalità e grande intensità poetica. La musica, che ha come nucleo fondante il folklore estone, sconfina presto in ambiti musicali meno definibili. Accompagnata da un gruppo internazionale di primissimo ordine (un organico abbastanza atipico di ottoni, clarinetti, pianoforte, kennel -una sorta di arpa estone -e percussioni, che comprende anche gli italiani Francesco Bigoni e Emanuele Maniscalco) dipana una serie di melodie arrangiate con maestria e grande originalità ed arricchite da pregnanti interventi solistici. Un lavoro che ascolto ininterrottamente da diversi mesi.
4. Michael Formanek Ensemble Kolossus, The Distance (ECM Records, 2016)
Con una squadra così è impossibile perdere. Una big band di stelle scintillanti della scena jazzistica di New York e dintorni (da Tim Berne a Ralph Alessi, da Mark Helias a Chris Speed, per citarne solo alcuni) chiamata a raccolta per eseguire una suite, denominata "Exoskeleton" (più il brano che da il titolo al CD), ricca ed imprevedibile, nella quale convergono le più varie espressioni del jazz contemporaneo, impreziosita da interventi solistici molto diversi tra loro. Una sorta di ribollente calderone infernale nel quale Formanek cuoce una musica terragna e densa. Peccato per la registrazione di non ottima qualità.
5. Fausto Romitelli, feat. Talea Ensemble, Anamorphosis (Tzadik Records, 2012)
La musica di Fausto Romitelli ha qualcosa di mistico, è terrena e celeste allo stesso tempo, parla del suono e della sua natura. Romitelli è stato capace di trascendere il messaggio dei suoi maestri rendendo viva e organica una musica (quella classificata come spettralismo) che correva il rischio di rimanere qualcosa di cerebrale, inglobando le istanze del rock in primis, ma non solo. Il Talea Ensemble, con sede a New York, ha realizzato una serie di prime incisioni assolute per Tzadik che stanno pian piano colmando un vuoto gravissimo. Le esecuzioni sono perfette e rendono giustizia ad una musica tanto complessa e tanto vera.
6. Wadada Leo Smith, Divine Love (ECM Records, 1978)
Forse uno dei capolavori del trombettista. È uno di quei dischi che torni ad ascoltare con regolarità. Il suono è eccezionale. Alla tromba del leader se ne aggiungono un altro paio (Lester Bowie e Kenny Wheeler), i legni di Dwight Andrews (straordinario sul flauto), le percussioni di Bobby Naughton, e il basso di Charlie Haden. Il gruppo suona una musica senza tempo, astratta (il sistema musicale di Smith prevede un bilanciamento assoluto tra suono e silenzio e un sistema di partiture che gestiscono l'improvvisazione). Bellezza sconcertante.
7. Rosario Di Rosa, Composition and Reactions (Deep Voice Records, 2017)
Ho ricevuto questo disco da poche settimane ed è subito diventato uno dei miei ascolti preferiti. Si tratta di un CD in piano solo con elettronica, in equilibrio tra scrittura, improvvisazione e -immagino-postproduzione. Un lavoro terribilmente concentrato, dal fascino ermafrodita (sia per il linguaggio sia per le tecniche), che a tratti mi ricorda i magnifici studi per pianoforte di Ligeti. Un disco che scava profondo...
8. Admir Shkurtaj, Kater i Rades. Il Naufragio (Anima mundi, 2015)
Questo CD contiene le musiche che l'autore, nato e formato in Albania, ma trapiantato in Italia da oltre venti anni, ha scritto per un'opera da camera su libretto di Alessandro Leogrande commissionata dalla Biennale di Venezia. La musica è violenta, densa, non tanto dal punto di vistaR della spinta sonora quanto da quello della qualità del suono, il gruppo è formato da una nutrita compagine di voci -tra le quali spicca quella di Stefano Luigi Mangia, sperimentatore estremo e stupefacente, capace di modulare la voce nelle forme più incredibili -di varia estrazione (classiche, contemporanee, popolari, compreso un coro albanese), fisarmonica ed oscillatori (lo stesso Shkurtaj), tromba ed elettronica (Giorgio Distante), clarinetti, percussioni (il Cupaphone, set di cupa cupa, tamburo a frizione della tradizione meridionale), violoncello e pianoforte. Scrittura rigorosissima, improvvisazione, jazz, tradizioni popolari. Si ascolta una musica viva, umana, viscerale, l'autore ha raccolto in essa tutte le proprie esperienze, non solo musicali. Un pugno allo stomaco.
9. Giacomo Papetti, Emanuele Maniscalco, Gabriele Rubino, Small Choises (Aut Records, 2013)
Da poco ho rimesso nel player questo bel disco che raccoglie una serie di brani nei quali la composizione e l'improvvisazione sono in strettissima correlazione. I riferimenti, nemmeno troppo velati, sono alla musica da camera della prima metà del secolo scorso (Messiaen, Bartok, ma anche Gershwin...) e il trio cesella tredici tracce raffinatissime. Il suono del trio (rispettivamente contrabbasso, pianoforte e clarinetti) è delicato e intenso, l'interplay serratissimo e gli interventi solistici di grande spessore.
10. Jean-Brice Godet, Lignes de Crêtes (Clean Feed Records, 2017)
Questo è l'ultimo arrivato, un disco interessantissimo a nome del clarinettista, collaboratore di Joelle Leandre, signora dell'impro europea, che guida un trio dal suono potente, caotico e rugoso... ancora da esplorare.
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