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Francesco Chiapperini e il Questionario di Proust

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All About Jazz: Il tratto principale della mia musica.
Francesco Chiapperini: Molte mie composizioni hanno un suono "scuro." Sono infatti spesso caratterizzate da una tensione sonora che provoca, nelle orecchie di chi le ascolta, una sensazione di sofferenza. Ed è proprio tale sensazione che associo alla musica che, quindi, assume per me la funzione di strumento di elevazione dell'individuo dalla condizione di sofferenza diffusa e generalizzata in cui il genere umano sono convinto che viva.

AAJ: La qualità che desidero nei musicisti che suonano con me.
F.C.: Lettura, capacità di immedesimarsi nell'idea musicale di quanto proposto ed iniziativa. Sopra queste caratteristiche, però, ritengo che credere in una progettualità di fondo, sentendosi parte di un tutto, e la capacità di prenderne consapevolezza, siano fondamentali.

AAJ: Come musicista, il momento in cui sono stato più felice.
F.C.: Settembre 2000: è stato il mio primo contratto musicale, firmato con l'Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano. Nei primi cinque giorni di concerti avrei suonato al Teatro alla Scala di Milano un balletto firmato da Alexander Glazunov ("Raymonda") in una produzione che vedeva coinvolti il direttore ed il corpo di ballo dell'Opera di Parigi.

AAJ: Come musicista, il mio principale difetto.
F.C.: Forse posso essere definito come una persona troppo "rigida": durante le prove e i concerti sono pochi i momenti in cui mi lascio andare, sono sempre molto concentrato e attento affinché tutto proceda per il meglio, dagli aspetti organizzativi a quelli musicali—in termini di qualità di esecuzione e impatto sul palco. E questo, ovviamente, va a discapito dei sorrisi...

AAJ: La mia più grande paura quando suono.
F.C.: Rompere con qualche errore, di qualsiasi portata e natura esso sia, dal più piccolo al più grande, la magia che viene creata sul palco durante un'improvvisazione.

AAJ: Sogno di suonare.
F.C.: Ad oggi non so ancora cosa o con chi sogno di suonare. Cerco di lavorare molto per portare avanti la mia idea musicale e le mie progettualità, che sono molteplici proprio perché ogni progetto a cui ho dato vita costituisce un tassello unico ed indipendente che, al contempo, non può vivere senza gli altri. È un circolo virtuoso di autoalimentazione reciproca.

AAJ: La mia fonte di ispirazione.
F.C.: In generale sento di appartenere, in termini di poetica musicale ed improvvisativa, alla "black" music che ho scoperto grazie a Daniele Cavallanti e Tiziano Tononi. Mi affascina quel mondo, quel tipo di voce solistica e di ritmica. Mi affascina la forza energetica con cui la musica free degli anni '60 è stata protagonista di un'affermazione costante, al di là di quelli che furono gli scetticismi iniziali dovuti ad un impatto sonoro che stravolgeva forme ed armonie. Sono anche convinto che proprio quel colore, quella forza musicale, sposino totalmente la mia concezione di musica.

AAJ: I miei musicisti preferiti.
F.C.: Uno su tutti, Eric Dolphy. Accanto a lui Roland Kirk, Albert Ayler, Charles Mingus, Don Cherry, John Surman (quello dei primi album però) e Massimo Urbani.

AAJ: I miei dischi da isola deserta.
F.C.: Preferisco in realtà un paesino sperduto sulle montagne. Comunque, porterei con me: Charles Mingus Sextet with Eric Dolphy Cornell 1964; George Russell Sextet Ezz—thetics; John McLaughlin and Zakir Hussain Remember Shakti; John Coltrane A Love Supreme; I Notturni di Fryderyk Chopin e La sinfonia del Nuovo Mondo di Antonín Dvorák.

AAJ: La canzone che fischio sotto la doccia.
F.C.: La maggior parte delle docce della settimana sono a fine allenamento (mi piace correre) ed è un momento in cui i pensieri di tutta la giornata scorrono fuori dalla mia mente che, quindi, si ritrova libera, senza alcuna canzone.

AAJ: I miei pittori preferiti.
F.C.: Non ne ho, ma posso dire che ho alcuni quadri a cui sono molto affezionato per il carico emotivo che mi ha investito quando li ho visti per la prima volta: "Il Cristo Morto" di Andrea Mantegna, "L'Impero delle Luci" di René Magritte, "Il Quarto Stato" di Giuseppe Pellizza da Volpedo, "La Danza" di Henri Matisse ed, infine, "La Charmeuse de Serpents" di Henri Rousseau.

AAJ: I miei film preferiti.
F.C.: Anche in questo caso non ne ho di preferiti, ma ultimamente ho rivisto "La Terra," film ad opera di Sergio Rubini. È una storia ambientata al Sud, in Puglia, la mia terra d'origine. Il film mi provoca emozioni soprattutto in relazione al paesaggio entro cui si svolge la vicenda (riesco persino ad immaginare gli odori e a sentire il caldo delle giornate in cui si racconta la storia). In più, vengono rappresentate alcune scene relative alle processioni pasquali che vedono le confraternite sfilare per le strade di paese: fondamentalmente è il materiale su cui ho costruito il mio ultimo progetto dell'Extemporary Vision Ensemble (The Big Earth—La Grande Terra).
Altri film che fanno parte di me, ognuno per differenti motivi, sono "The North Face," "Babel" e "2001 Odissea nello spazio." Ultimamente ricordo che mi sono piaciuti molto "Il Cigno Nero" e "Birdman."

AAJ: I miei scrittori preferiti.
F.C.: Sono innamorato di Josè Saramago e del suo modo di scrivere.

AAJ: La mia occupazione preferita.
F.C.: Correre. Ho una passione forte per la corsa, soprattutto per quella in montagna.

AAJ: Il dono di natura che vorrei avere.
F.C.: È legato alla capacità di lasciarsi andare, di buttarsi e di rischiare un po' di più. In tutte le situazioni mi trovo con il freno tirato, perché ho una natura molto razionale che mi inchioda a scegliere la strada meno rischiosa. A volte temo (o mi fanno notare) che un modo di vivere basato sulla razionalità faccia perdere occasioni.

AAJ: Nella musica, la cosa che detesto di più.
F.C.: Per quanto riguarda la musica che scrivo e che suono, detesto il ritardo negli appuntamenti fissati di prove e concerti, la superficialità nell'approccio delle partiture (soprattutto per quanto riguarda la lettura) ed il disordine/confusione durante le sessioni di prova.

AAJ: Gli errori musicali che mi ispirano maggiore indulgenza.
F.C.: Sono quelli commessi con il sorriso. Quando capitano mi lascio prendere dalle espressioni facciali che si stampano sui visi dei musicisti che colgo in flagranza di nota e allora tutto passa.

AAJ: Il pezzo che vorrei venisse suonato al mio funerale.
F.C.: Oddio non lo so ed in realtà non ho un bel rapporto con il concetto di morte. Però so che uno dei musicisti con cui collaboro ultimamente ha suonato ad un funerale il tema della marcia funebre pugliese "Palmieri," che fa parte del repertorio del progetto "The Big Earth—La Grande Terra."

AAJ: Lo stato attuale della mia attività musicale.
F.C.: Sto vivendo un periodo di riconoscimento artistico da parte di molte persone che incontro quando propongo la mia musica e i miei progetti. Sono assolutamente consapevole che i miei progetti non sono di facile ed immediato ascolto e, proprio per questo, sono molto felice quando ho un riscontro positivo dalle persone, Enti, Festival, Club che scommettono su quanto io propongo.
Ho in cantiere altri lavori che spero di poter proporre in termini di uscita discografica. Non li svelo tutti, ma il più imminente è un lavoro in trio ("InSight," che vede presenti nella formazione clarinetti, chitarra elettrica e pianoforte/piano elettrico). I restanti riguardano rispettivamente l'altra mia terra, quella di adozione, e cioè Bergamo ed in particolare le valli in cui ho trascorso la mia infanzia, ed il mio quartetto elettrico NoPair. Per quest'ultima formazione ho già scritto i brani per il secondo disco, nell'ottica di poter andare oltre i Jazz Club e, in generale, i locali dedicati al Jazz: lo reputo un progetto "border line" tra Jazz, Rock e musica "indipendente" e ha tutti i numeri per poter calcare altri tipi di palchi.

AAJ: Il mio motto.
F.C.: Non ne ho. Sicuramente la voglia di non fermarmi è il "leit motiv" della mia vita.

Foto
Danilo Codazzi

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