Disco assolutamente futile, persino fastidioso, nel suo incessante, inesorabile, impietoso rimuginare attorno a pochi patterns che vengono ripetuti per qualche decina di secondi (o più) ciascuno, per passare poi al successivo, e così via. Questo, lungo i quattro brani che compongono l'album (appena mezzoretta di musica, ma che fatica arrivare ciò nonostante alla fine!), senza soluzioni altre da un'autoreferenzialità totale e -come dicevamo -veramente fastidiosa, creativamente impalpabile da qualunque proiezione la si guardi.
Nulla o quasi di jazzistico, ovviamente (il che non è evidentemente un metro di giudizio, quanto una pura e semplice constatazione di appartenenza), per una musica ossessiva, tutta ritorta su se stessa, annichilita e annichilente, alienata e alienante. Di quella che fa venire terribili pruriti alle mani, e come tale da grattar via il più in fretta possibile.
Peter Hess: sax alto, flauto, clarinetto basso; Gordon Beeferman: pianoforte,
organo; Anders Nilsson: chitarra; James Ilgenfritz: contrabbasso; Adam Gold:
batteria.
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Ecumenico ma (abbastanza) esclusivo, non sopporta la musica – e l’arte in generale – di routine, rassicurante e dozzinale, preferendo, se proprio deve, il brutto all’inutile. Un ideale spaccato dei suoi amori musicali (che non si limitano al jazz; e più o