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Festival di Musica Contemporanea Italiana

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Area Sismica - Forlì - 27-30.4.2011

Incoraggiata dai frutti particolarmente gratificanti raccolti avventurandosi nei territori della musica contemporanea coi cicli di concerti di "Musica inaudita" - sia per l'alto livello musicale, sia per l'apprezzamento ricevuto dagli stessi interpreti del genere - l'Area Sismica ha voluto compiere un ulteriore importante passo ed ha allestito un intero festival dedicato al repertorio dei compositori italiani contemporanei.

Un passo importante perché con questo festival Area Sismica ha offerto una doppia opportunità: da un lato una possibilità di espressione e visibilità pubblica a compositori e repertori per i quali la mancanza di luoghi d'espressione e di confronto è un problema cronico; d'altro lato una possibilità data al territorio locale di venire a contatto con una proposta musicale dall'alto valore artistico e culturale, ma che purtroppo non è di casa nella realtà romagnola, in verità (per quanto riguarda soprattutto il comprensorio forlivese) poco aperta agli stimoli culturali più avanzati.

In questo senso, è stata molto importante la decisione di Area Sismica di coinvolgere nell'iniziativa anche il Liceo Musicale "Angelo Masini" di Forlì, che dal prossimo anno scolastico diventerà il primo liceo musicale statale della Romagna.

La direzione artistica del festival e l'allestimento del programma sono state affidate a Fabrizio Ottaviucci, pianista e compositore, fra i migliori e più apprezzati interpreti italiani e internazionali del repertorio contemporaneo, grande conoscitore fra gli altri del repertorio di John Cage, Terry Riley e Giacinto Scelsi.

Anche se non fisicamente presente al festival, un'altra figura che ne ha idealmente accompagnato lo svolgimento è stata quella del grande compositore e contrabbassista Stefano Scodanibbio, attraverso il suo lavoro (è stata presentata una sua composizione in prima assoluta), i suoi allievi (due degli interpreti presenti,entrambi contrabbassisti) e lo stesso Ottaviucci, che da molto tempo ne è amico e collaboratore.

Altri due fili conduttori nel programma del festival sono stati gli omaggi a Luciano Berio, ad alcuni anni dalla sua scomparsa, e a Gilberto Cappelli, compositore forlivese il cui nome non è molto noto ma il cui lavoro è molto stimato dai suoi conoscitori.

La programmazione del festival ha offerto una panoramica ad ampio raggio sulla produzione contemporanea italiana, privilegiando (a parte l'omaggio a Berio e alcuni altri nomi "storici" come quello di Giacinto Scelsi) soprattutto autori meno noti e più recenti. Si è cercato comunque, pur nel non tantissimo spazio di quattro serate, di rappresentare il più possibile la molteplicità degli stili e degli orientamenti presenti all'interno di questo paesaggio.

Un elemento costante di tutto il festival, oltre all'elevata qualità delle composizioni proposte, è stata l'altissima levatura dei musicisti che se ne sono fatti interpreti. In generale, pressoché tutti i brani richiedevano non solo un alto (a volte altissimo) livello tecnico, ma anche una forte tensione intellettuale, fisica ed umana per interpretare al meglio lo spirito oltre che la lettera dei brani.

Mercoledì 27 aprile

Le prime due serate del festival si sono tenute all'auditorium del licelo musicale di Forlì. La prima serata è stata dedicata interamente al pianoforte.

Primo interprete ad esibirsi è stato Matteo Ramon Arevalos, un pianista di grande talento, sensibilità e dal tocco ricco e caldo.

L'apertura del suo programma - e dell'intero festival - è stata affidata al brano probabilmente più eccentrico rispetto ai canoni contemporanei: "Richiamo di una gru nell'ombra" di Massimo Simonini, artista sonoro conosciuto soprattutto come direttore artistico del festival di musiche di ricerca Angelica di Bologna.

Il brano è nato da un'improvvisazione solitaria di Simonini registrata a Berlino nel 1996. Su suo invito è stata ora trascritta e reinterpretata da Arevalos. L'obiettivo del brano è di far rileggere e interpretare da un pianista un'improvvisazione e il gesto musicale di un non pianista.

Il brano e l'interpretazione di Arevalos hanno sorpreso per la capacità di integrare senza forzature il suono e i riferimenti al vocabolario classico del pianoforte con l'ingenua spontaneità della creazione istantanea di Simonini, il tocco limpido e l'invenzione naif.

Il brano vuole integrare nella performance anche la dimensione del gesto corporeo: non solo la cassa armonica del pianoforte percossa per ottenere suoni non convenzionali, ma anche la voce che canticchia, il fischiettio, i piedi che percuotono il pavimento, l'esecutore che improvvisamente si alza dal pianoforte e si muove...

Il merito del brano è soprattutto quello di rivalutare la semplicità e la melodia, che emerge con forza nella sua disarmante e semplice bellezza. Molto carico di capacità di ""parlare"" è risultato anche il silenzio sul finale, causato dalla sospensione del gesto del pianista che al termine del brano rimane con le dita sui tasti e lascia che sia il pubblico a prendersi la responsabailità di segnare la fine con l'applauso. Una scelta questa che rende pienamente giustizia, seppur involontariamente, al valore musicale e anche etico che John Cage attribuiva al silenzio.

E' poi seguito "Per pianoforte" di Fausto Razzi del 1983, un brano costruito sull'enfatizzazione degli armonici prodotti dalle corde gravi del piano variamente percosse e stoppate. Note isolate, come secchi rintocchi, che avevano qualcosa dei suoni austeri di una cerimonia rituale zen, o assumevano talvolta anche echi sinistri.

Si è poi arrivati al primo omaggio a Berio del festival, col brano "Six Encore" del 1990. E' stato questo forse il lavoro più ""ortodosso"" della serata, nel senso che può avere il termine per un brano appartenente al contesto musicale che proviene dal serialismo.

La caratteristica sonora dominante del brano erano scarni grappoli di accordi atonali, in uno stile asciutto e raccolto che poteva ricordare i lavori di Morton Feldman.

La seconda parte della serata ha visto in scena Fabrizio Ottaviucci, che oltre ad aver curato la direzione artistica del festival si è esibito come interprete. Il suo programma è stato interamente dedicato alla presentazione di un nuovo brano di Stefano Scodanibbio, "Terre lontane," in una versione in prima esecuzione assoluta per pianoforte, nastro e immagini.

I suoni registrati - sonorità elettroniche e strati di contrabbasso - creavano un fondale che s'ingrossava e si rarefaceva periodicamente come onde: una trama di macchie coloristiche che facevano da pendant con quelle visive proiettate sullo schermo, un tappeto di suoni lunghi e continui come il bordone di una tampura indiana. Questo tappeto creava un paesaggio sonoro evocativo di una realtà o uno stato mentale fuori dalle dimensioni ordinarie del tempo e dello spazio conosciuto, come un altopiano desolato o una regione dell'anima.

Il pianoforte suonava note e accordi radi e sparsi, sottolineando col loro sapore sospeso e con gli ampi spazi vuoti il senso di rimando a qualcosa di enigmatico, d'inafferrabile, al di là dei confini ordinari e fuori dal normale scorrere del tempo.

Giovedì 28 aprile

La seconda serata del festival ha proposto composizioni anche molto diverse fra loro, ma accomunate dal livello tecnico e dalla forte concentrazione e anche tensione richieste all'esecutore.

La prima parte della serata ha visto in scena Piero Bonaguri, chitarrista forlivese che ha proposto un programma dedicato in gran parte ai lavori di Gilberto Cappelli.

Il concerto si è però aperto con due brevi brani di Pippo Molino, "Frammento A" e "Frammento D," rispettivamente del 1984 e 1992. L'accostamento dei due frammenti ha messo in luce un'evoluzione da uno stile fratturato e frammentario a uno più disteso che scavava nella materia sonora, svuotandola e ricercando un'essenzialità che recuperava anche un elemento melodico.

Il resto del programma è stato dedicato a una selezione di composizioni di Gilberto Cappelli, un piccolo omaggio all'opera del compositore.

I brani presentati hanno documentato l'evoluzione dello stile del compositore nel suo repertorio per chitarra nell'arco di un ventennio, dal 1990 al 2009. Nella diversità degli approcci usati, si poteva comunque riscontrare il filo conduttore di una forte componente intellettuale e anche di una notevole tensione richiesta all'interprete.

Questo è stato evidente fin dal primo brano proposto, il frammento di "Memoria" del 1990, tutto basato sui ribattuti. Una tecnica che è riemersa anche nei lavori più recenti dedicati allo stesso Bonaguri ("Per Piero," 2006) e a Maurizio Biasini ("Per Maurizio," 2009).

Gli altri brani erano improntati a una maggiore asciuttezza e scarnezza del suono, ma sempre pervasi da una certa asprezza timbrica e di scrittura e improntati a una dodecafonia rigorosa.

Il secondo concerto della serata ha visto nuovamente in scena Fabrizio Ottaviucci, che in questa sua seconda esibizione ha presentato un programma che sfruttava potentemente le risorse espressive del pianoforte e molto esigenti anche per l'esecutore.

Il repertorio è stato comunque notevolmente variegato, da quello di scuola più strettamente accademica (i "Due studi per pianoforte" di Giorgio COlombo Taccani) al minimalismo di Tonino Tesei. In particolare il secondo dei suoi due "In Minimal Style" del 1986 è risultato particolarmente riuscito, col suo vorticare incessante di arpeggi chiari e squillanti.

Ottaviucci ha proposto anche un brano di Fernando Mencherini, "Rite in progress" del 1989, basato su una pulsazione ossessiva che si moltiplicava in un gioco di specchi e rifrazioni che disegnavano e riconfiguravano la materia sonora, intricandola e svuotandola periodicamente.

Ha chiuso la serata un brano di Nicola Sani "Concetto spaziale, Attese" del 1997, per pianoforte ed elettronica. E' un deflagrante lavoro sulle masse sonore e timbriche, in cui viene sprigionata tutta la potenza sonora del piano, che viene fatta fondere, quasi come materia lavica e incandescente, con le materiche sonorità elettroniche.

Venerdì 29 aprile

Per le ultime due serate il festival si è trasferito all'Area Sismica. Il primo concerto della terza serata ha avuto per protagonista il contrabbasso di Daniele Roccato.

Il concerto si è aperto con una delle ultime composizioni di Giacinto Scelsi, "Mantram," del 1987. Il brano era plasmato su una linea di basso in stile barocco increspata da perturbazioni tonali.

Molto bello poi "San Giovanni del Compianto," brano di Luciano Chessa, costruito su scale e movenze della musica cinese, evocativo e struggente.

Roccato, unico fra gli esecutori presenti, ha proposto anche una propria composizione, "Minima colloquia," molto notevole, in cui si sentiva la lezione stilistica di Scodanibbio: una prima parte con polifonie appoggiate su bordoni lunghi con l'archetto; una seconda parte con le corde pizzicate e fraseggi sintetici ed incisivi.

Il secondo concerto della serata ha avuto come protagonista Gianpaolo Antongirolami. è stato in un certo senso il più atipico della rassegna, trattandosi di un concerto di solo sax, strumento questo che non è certo fra i più frequentati dai compositori accademici.

A dispetto di ciò, nel programma scelto da Antongirolami figuravano nomi eccellenti: la "Sequenza IXb" di Luciano Berio e la "Canzona di ringraziamento" di Salvatore Sciarrino.

Molto notevoli sono comunque risultati i due brani per sax ed elettronica di autori meno noti. "Round About Vampyr" di Fabrizio De Rossi Re era costruito attorno a una breve cellula melodica che tornava insistentemente, come una sorta di richiamo desolato che si perdeva in un oceano senza forma creato dai suoni elettronici.

"Neuromante" di Luigi Ceccarelli presentava invece sonorità più aspre, spingendo fino in fondo la tensione sonora ed emotiva del suono del sax, con note lunghe e febbrili.

Sabato 30 aprile

L'ultima delle quattro serate del festival si è aperta nuovamente con un contrabbassista, Giacomo Piermatti, il cui concerto è stato interamente dedicato al'esecuzione della "Sequenza XIVb" che Luciano Berio compose nel 2002 espressamente per Stefano Scodanibbio, avvalendosi della sua collaborazione anche sul piano compositivo.

Un brano, come la maggior parte del programma del festival, che richiede grande impegno e tensione dell'esecutore. Il contrabbasso viene valorizzato appieno come strumento espressivo in tutte le sue risorse: il tocco dell'archetto con diverse dinamiche, gli armonici, il suono del legno della cassa, il pizzicato.

Il festival si è chiuso col concerto di Annamaria Morini al flauto ed Enzo Porta al violino.

Nel loro nutrito programma i due musicisti hanno proposto brani anch'essi molto impegnativi tecnicamente, che avevano un minimo comun denominatore nel cercare di spingere gli strumenti, sia nei brani in duo che in quelli in solo, oltre i confini delle loro sonorità consuete.

Così, per esempio nella "Frase 2" di Giacomo Manzoni, c'era per il violino la ricerca degli armonici più difficili da suonare e udire nei registri sovracuti; il flauto invece emetteva suoni percussivi diversi dalle tipiche sonorità morbide e dolci dello strumento.

Fra i brani proposti si è distinto per bellezza il "Contrapunctus" di Alessandro Solbiati, che rielaborava due temi dell'"Arte della fuga" di Bach.

La chiusura è stata affidata a un ultimo brano di Gilberto Cappelli, "Per due voci," scritto nel 2002 appositamente per i due musicisti, come tutti gli altri del programma da loro proposto. Una sorta di dialogo costruito sul filo della tensione: note lunghe e su registri via via più alti, che si alternavano fra gli strumenti o si sovrapponevano in una tessitura atonale, quasi a evocare la tensione verso un oltre che si fatica ad afferrare.

C'è da augurarsi che il seme gettato da questo festival possa germogliare e produrre buoni frutti, rendendo fertile un territorio che, in fatto di curiosità e apertura culturale, finora non si è dimostrato particolarmente fecondo.

Foto di Claudio Casanova (Arevalos, Ottaviucci, Piermatti), Alex Comaschi (Roccato).

Altre fotografie di questo festival sono disponibili nella galleria immagini dedicata al concerto di Giacomo Piermatti.


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