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Enten Eller: trentennale con disco (doppio?)

Enten Eller: trentennale con disco (doppio?)
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C'è una storia che comincia nel 1986 e prende il nome dai sacri testi kierkegaardiani: trattasi di Enten Eller, oggi (e ormai da vent'anni) un quartetto ben definito, con Alberto Mandarini alla tromba, Maurizio Brunod alla chitarra, Giovanni Maier al contrabbasso e Massimo Barbiero alla batteria, ma dopo aggiustamenti che di fatto hanno occupato il primo decennio di vita del gruppo.

L'anniversario, veramente raro nel panorama jazzistico non solo italiano, è stato festeggiato il 3 e 4 giugno attraverso un doppio "evento": la prima sera un concerto nell'ambito di Novara Jazz, dove al quartetto avrebbe dovuto aggiungersi Alexander Balanescu, che però alla fine, per un disguido organizzativo, è rimasto al palo, sostituito a tempo di record con Emanuele Parrini, invitato poi a prender parte anche alla seduta in studio (quello di Pier Giorgio Miotto, a Ronco Biellese) del giorno seguente.

Ora tutti si rivedranno a metà luglio per il mixaggio, dopo di che l'album "celebrativo" prenderà forma e tempi di uscita (dovrebbe già essere fuori entro fine estate), tutte cose di cui abbiamo voluto parlare con i diretti interessati in una pausa nelle registrazioni.

All About Jazz Italia: Partiamo da questa produzione discografica per così dire commemorativa.

Massimo Barbiero: L'idea iniziale era quella di dare voce a una nostra tendenza all'improvvisazione anche molto estesa. Quando suoniamo dal vivo, mettiamo in scaletta un dato numero di pezzi, che poi regolarmente dobbiamo sforbiciare perché ci lanciamo in improvvisazioni lunghissime e i tempi del concerto non ci consentono di completare il programma. Ecco: l'idea era appunto quella di improvvisare, totalmente, senza nulla di predefinito, però in studio. Ci pensavamo da molto tempo, ma poi, per un motivo e per l'altro, la cosa non si era mai concretizzata.

Alberto Mandarini: C'è da aggiungere che rimaniamo comunque molto tematici, anche quando ci lanciamo nell'improvvisazione totale. La nostra cifra stilistica non cambia. La differenza è che i titoli li diamo a posteriori...

M.Ba.: Andando a ritroso, se tu ascolti i nostri primi album, noterai come la scrittura sia preponderante, proprio per il fatto che eravamo meno abili a improvvisare. Con gli anni, la scrittura si è progressivamente ridotta a vantaggio appunto dell'improvvisazione, che come si dice è una sorta di scrittura in tempo reale.

AAJI: Visto che ci siamo, apriamo allora una parentesi sulla genesi del gruppo, per riprendere più avanti il discorso sul progetto odierno.

M.Ba.: Partiamo dal nostro primo album, Streghe, registrato nell'aprile 1987, però dopo un anno che provavamo quei brani, e che il gruppo aveva un nome, appunto Enten Eller. Ecco perché il trentennale cade ora, nel 2016. Anche se fin dall'84, subito dopo il militare, ho iniziato una data ricerca, arrivando progressivamente alla formazione di Streghe, nel cui organico l'inserimento finale fu quello del violoncello.

Maurizio Brunod: All'epoca amavamo molto i gruppi del primo Tim Berne, in particolare appunto con Hank Roberts al violoncello. Fulton Street Maul è di fatto coevo di Streghe.

M.Ba.: C'erano, oltre a me e Maurizio, Rocco De Lucia al basso elettrico, Ugo Boscain al piano, Loredana Guarneri al violoncello, Mario Simeoni al flauto e Walter Lonardi al sax. Ma già nell'88 abbiamo fatto alcune date in Friuli, e qui abbiamo conosciuto Giovanni Maier, che è venuto a complimentarsi con noi dopo un concerto. Ci siamo scambiati i numeri di telefono. Poi se n'è andato il bassista, e con l'irresponsabilità tipica di un gruppo di età media poco oltre i vent'anni, nonostante la distanza abbiamo telefonato a Giovanni per chiedergli se voleva unirsi a noi.

Giovanni Maier: In effetti io ho avuto una prima fase, in cui ho inciso due dischi, Cassandra e Antigone, a cavallo fra anni Ottanta e Novanta, periodo in cui con Massimo e Maurizio costituivamo anche i tre quarti di Dac'corda di Claudio Lodati, di cui Maurizio faceva parte fin dall'inizio, mentre io e Massimo siamo arrivati nel 1990, nella seconda versione, quella che ha inciso Corsari. Prima a basso e batteria c'erano Enrico Fazio e Fiorenzo Sordini. Poi sono uscito da Enten Eller, finché un giorno, verso fine '95, mi trovavo a Milano per suonare con Nexus e mi sento chiamare, visto che Rocco De Lucia, che aveva ripreso il suo posto dopo la mia uscita, si era ammalato. Mi sono reso disponibile e così tutto è ricominciato.

M.Ba.: Per me, comunque, ma credo anche per Maurizio, era chiaro da tempo che quella era la formazione a cui dovevamo arrivare, anche se quella sera a Saint Vincent Giovanni e Alberto s'incontravano per la prima volta.

AAJI: Già, perché nel frattempo eri entrato in gruppo tu, Alberto...

A.M.: Infatti: sono arrivato giusto nella fase in cui Giovanni era temporaneamente fuori. Le cose sono andate in questo modo: suonavo col gruppo di Enrico Fazio in un jazz club di Ivrea e sono entrato in contatto con Massimo e Maurizio, che mi avevano anche organizzato un concerto del vecchio Phoebus Ensemble, la bellezza di nove elementi, sempre nel jazz club di cui si occupavano. Doveva essere il 1994. È nata così l'idea di mettere su un gruppo insieme, abbiamo provato per alcuni mesi, dopo di che mi sono reso conto che quel gruppo esisteva già: si trattava appunto di Enten Eller, in via di trasformazione. Il primo disco a cui ho partecipato è stato Medea. Poco dopo è rientrato anche Giovanni.

AAJI: Il periodo in cui eri uscito, Giovanni, doveva essere quello in cui suonavi con Rava e non ce la facevi a conciliare le due cose.

G.M.: In realtà il motivo principale non era quello.

M.Ba.: Però era anche quello, perché non è che noi avessimo tutta questa attività dal vivo, e tuttavia a un certo punto far combaciare le nostre date con quelle di Rava era comunque piuttosto ingestibile.

AAJI: In ogni caso il periodo del rientro era ancora pieno di impegni con Rava, per l'esattezza con Electric Five.

G.M.: Esatto. Quindi la gestione dei vari gruppi, come dicevo prima, non mi ha impedito di proseguire con Enten Eller.

AAJI: E tu, Alberto, nel periodo in cui suonavi con Paolo Conte?

A.M.: Problemi? No, zero. Anzi: quando dovevamo incidere il disco con Tim Berne, ho chiesto il permesso artistico a Paolo, perché c'era una concomitanza e avevo la necessità di essere sostituito. Lui ha detto di sì, a patto che ci fosse un dato trombettista al posto mio, l'ha avuto e non ci sono stati problemi. E ti dirò di più: del gruppo che allora suonava con lui, Paolo era l'unico che conoscesse Tim Berne, il che non è poi così scontato, perché è vero che lui è un grande appassionato di jazz, però magari di un jazz un po' più tradizionale.

AAJI: Torniamo all'odierno progetto del trentennale.

M.Ba.: La prospettiva iniziale più verosimile era quella di unire il succitato CD di improvvisazioni registrate in studio in quartetto con un secondo CD (magari proprio un doppio) con il concerto di Novara. Però poi è venuto a mancare Balanescu, abbiamo chiamato Emanuele Parrini per il concerto, e poi gli abbiamo chiesto se voleva partecipare anche a questa seduta, suonando con noi in qualche pezzo.

M.Br.: In realtà abbiamo comunque registrato anche dal vivo, suonando i nostri classici, tipo "Mostar," "Per Emanuela," "Torquemada," "Pragma," tutto su un 16 piste multitraccia, per cui aspettiamo di sentire cosa ne è venuto fuori.

AAJI: La rinuncia di Balanescu, con la conseguenza che ora avete Emanuele Parrini ospite in entrambi i contesti, cambia un po' la prospettiva di partenza.

M.Ba.: In effetti la cambia, perché potrebbe venir fuori comunque un doppio, però con tutto materiale in studio, con e senza Emanuele, in base alla quantità e alla qualità del materiale che riusciamo a tirar fuori. La registrazione di Novara, se tecnicamente idonea, potrebbe a quel punto uscire come un live a parte, magari prodotto dallo stesso festival.

AAJI: In tema di ospiti, diciamo qualcosa sulla loro massiccia presenza nei vari album di Enten Eller, nonché dal vivo.

G.M.: Su questo punto ci sono posizioni diverse. Io tendenzialmente sono contrario agli ospiti, perché è come quando sei a casa tua e viene a trovarti una persona di riguardo: ne perdi in libertà. Preferisco avere a che fare con gli amici di sempre, quelli con cui ho più confidenza.

AAJI: Però è anche un arricchimento che altrimenti non avresti.

G.M.: Certo, però io sono forse quello che più ha voluto questo lavoro in quartetto, che poi avrà comunque in alcuni brani un ospite, Emanuele. Alla fine quasi tutti i nostri dischi, i progetti più importanti, oltrepassano il quartetto.

A.M.: Sono d'accordo con Giovanni: gli ospiti possono essere pericolosi, perché spesso tendono, in fondo inevitabilmente, a portare la musica sul loro territorio. Del resto, proseguendo nella sua metafora, se inviti qualcuno da te, fai in modo che si senta a proprio agio, come se fosse a casa sua. A volte, invece, c'è proprio bisogno di stare in famiglia, intorno a un tavolo a raccontarsela. Ciò non toglie che con alcuni dei molti ospiti che abbiamo avuto nel corso degli anni si sia instaurato un feeling che a volte non riesci a trovare con musicisti con cui suoni da una vita. Per quanto mi riguarda non posso non citare Tim Berne: dopo due minuti mi sembrava di suonare con mio fratello! E considera che io non parlo nemmeno inglese, per cui comunicavamo veramente solo attraverso le note. C'è stata una grande intesa anche con Javier Girotto, benché lui, sì, tenda a portare la musica un po' sul suo territorio. Direi comunque che da tutti gli ospiti che abbiamo avuto, io personalmente, ma credo anche gli altri, abbiamo portato a casa qualcosa di importante. Ciò non toglie che Enten Eller rimanga Enten Eller, per cui bisogna anche ringraziare gli ospiti che si sono comunque adeguati a noi, perché ascoltando i dischi non credo si abbia l'impressione di un corpo estraneo su un qualcosa di già esistente, quanto di un qualcosa di più orchestrale, ma che rimanda sempre a una data estetica. Ciò non toglie che io rimanga del parere di Giovanni.

M.Br.: Partiamo dall'assioma che Enten Eller è un'entità con una sua precisa identità, anche se di fatto abbiamo inciso un unico album, Atlantide, in quartetto: l'idea di aggiungere delle voci è sempre stata un esperimento, una sorta di work in progress, senza smarrire quell'identità, e invece con la ghiotta possibilità di aggiungere dei colori. Visto che Alberto l'ha citato, confermo che con Tim Berne è stata un'esperienza stupenda.

M.Ba.: Un particolare: ricordo come Alberto fosse rimasto colpito dal fatto che, cercando l'intonazione, fosse Tim a venire verso di lui, cosa che era sempre stato abituato a fare lui, per esempio nell'Instabile. Per età, statura artistica e fama di Tim, la cosa l'aveva addirittura commosso. Sono sensazioni particolari che ti danno la misura di quanto una persona possa darti. Così con Javier Girotto: avevamo sentito un sacco di cose sue, però la molla è scattata una sera che Maurizio ha cenato con lui, dopo di che è venuto da me e mi ha detto che sarebbe stato perfetto per noi.

M.Br.: Certo: suonavo a Musica sulle Bocche, e ho assistito a un concerto di Aires Tango. A un certo punto Javier è rimasto da solo per cinque minuti su quella piazza, facendo delle cose che mi hanno fatto accapponare la pelle. Con la mia solita faccia tosta, sono andato dietro al palco, mi sono presentato e gli ho dato il mio disco con John Surman, Svartisen, cosa che magari mi ha procurato maggiore attenzione da parte sua. Fatto sta che dopo circa un mese mi ha telefonato per dirmi che il disco gli era piaciuto molto e io ho preso la palla al balzo per proporgli di fare qualcosa insieme.

AAJI: Se posso dire la mia, però, Berne e Girotto sono per più versi antitetici: tanto quanto uno è concettuale, intenzionale, l'altro è un talento naturale puro, un animale musicale, se mi passate l'espressione.

M.Ba.: Il che non fa che aggiungere valore a Enten Eller, in grado di ospitare personalità tanto diverse senza snaturarsi.

AAJI: Facciamo dire, per chiudere, due parole anche a Emanuele, su questa sua esperienza inedita con Enten Eller.

Emanuele Parrini: È stata un'opportunità inattesa quanto sorprendente ed emozionante, vissuta veramente alla velocità della luce, visto che ho appreso del mio coinvolgimento solo il pomeriggio del giorno prima che si tenesse il concerto. Mi sono trovato calato in una dimensione conviviale, di grande amicizia, un gruppo con una totale unione d'intenti che oltrepassano l'individualità in favore del collettivo. Oltre tutto è un onore esser stato coinvolto in un anniversario così importante di una delle formazioni più longeve del jazz italiano. Il rischio, in questi casi, è rompere un equilibrio consolidato. In realtà è stato invece tutto facile, perché ognuno è a disposizione della musica e il fatto che ci fosse un tessuto così solido, compatto, ha rappresentato per me un punto di riferimento e un aiuto notevole. Un aiuto che mi è arrivato da tutti, da Massimo e Maurizio, con cui non avevo mai avuto occasione di suonare, a Giovanni e Alberto, che invece conosco benissimo, condividendo con loro ormai da tredici anni l'esperienza dell'Italian Instabile Orchestra e con cui ho suonato innumerevoli volte anche in altri contesti. Capita, quando si è veramente lì per remare tutti nella stessa direzione.

Foto
Luca D'Agostino.

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