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Eddie Blackwell: la potenza del DNA

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Dopo quello già riedito, dedicato a Louis Armstrong, per gentile concessione dell'autore e dell'editore, che ringraziamo, abbiamo tratto un altro racconto, questa volta ispirato a Eddie Blackwell, dal libro di Aldo Gianolio "A Duke Ellington non piaceva Hitchcock," Mobydick Editore, Faenza, 2002.

Eddie Blackwell aveva il suo bello stile, molto personale, ma non era un genio come Max Roach o Elvin Jones, tanto per dirne due. Personale, molto personale, lo era nel conferire un suono scuro all'insieme del suo drumming, preferendo picchiare sui tamburi e soprattutto sul timpano e sui tom tom piuttosto che sui piatti, il cui suono metallico offendeva tutto il suo delicato padiglione auricolare facendogli venire l'otite.

Gli chiedevano, i curiosi, perché suonasse con tanta insistenza sul timpano e sui tom tom. Gli chiedevano questo solo perché erano curiosi, non tanto perché gliene fregava qualcosa saperlo. Del resto erano capitati per puro caso ad ascoltare questo nero che tambureggiava ossessivamente sul timpano, budum trubudum dummedum, che sembrava di essere in Africa.

Non avendo niente di meglio da fare, venne loro in mente di chiedere a Blackwell perché suonasse sempre il timpano in quel modo ossessivo, budum trubudum dummedum. Dell'otite non potevano sapere niente, ma nemmeno immaginavano, gli ignoranti, che ancestralmente Blackwell si rifaceva ai suoi antenati neri dell'Africa, antenati che se ne stavano beati e contenti a battere senza pausa su tronchi d'albero incavati prima che arrivasse una truppa di bianchi con cappelli da coloniale e giacche da esploratore ad incatenarli e portarli in America, la terra della libertà, facendoli raccogliere cotone per diciotto ore al giorno. Quei bianchi con ridicoli pantaloni color kaki tagliati a metà appena sotto il ginocchio si rendevano conto che le sei ore rimaste per dormire, mangiare, bere e cagare erano troppe per esseri primitivi come gli africani, ma gliele concedettero perché loro erano negrieri sensibili e seguivano regole umanitarie anche se antieconomiche. E poi facevano bella figura presso l'Associazione Nazionale del Buon Costume. Il guadagno era comunque assicurato perché loro, oltre che sensibili, erano negrieri professionisti che sapevano fare il loro mestiere: mollavano di quelle frustate sulle schiene di quegli sfaccendati che piangeva l'aria.

In questi casi è triste constatare come l'incontro di due razze diverse e la loro convivenza in società abbia evidenziato senza ombra di dubbio, come una cartina di tornasole, una profonda differenza caratteriale: da una parte i bianchi, altamente professionali, molto attivi e attaccati al loro lavoro; dall'altra i neri, impenitenti scansafatiche che la professionalità non sapevano neanche dove stesse di casa.

Uno di quei raccoglitori di cotone era il bisnonno di Eddie Blackwell. Eddie era cresciuto senza ambizioni come il suo bisnonno che aveva poca voglia di lavorare e a causa della sua accidia non era riuscito a sfruttare le grandi possibilità che offre la società americana, rimanendo sempre un semplice raccoglitore di cotone. Le scarse ambizioni che Eddie aveva ereditato dal bisnonno, attraverso il nonno e il padre, tutti fatti con lo stampino, non giovarono certo alla sua carriera musicale.

Budum trubudum dummedum, tambureggiava Eddie sul timpano che sembrava di essere in Africa. Con questa tecnica riusciva a fare meno fatica e contemporaneamente evitava la risonanza assordante dei piatti nelle sue orecchie delicate. Pochi leader l'avevano voluto nel proprio gruppo per via di questa sua mania di preferire i timpani e i tom tom quando era invece di moda suonare i piatti. Uno dei pochi fu Ornette Coleman, ma è risaputo che non si intendesse di musica, non sapendo nemmeno applicare le rudimentali regole del sistema armolodico da lui inventato per uso e consumo personale.

Solo che il rudimentale sistema armolodico di Coleman e il primitivo sistema budum trubudum dummedum di Blackwell, messi insieme, hanno fatto venire fuori una musica strabiliante, da non crederci! quando certi musicisti studiano come dei matti tutta la vita e non cavano un ragno dal buco. Invece due tipi come Blackwell e Coleman che non gli dareste due soldi si sono inventati in quattro e quattr'otto una musica geniale.

Però Blackwell non era un genio, era solo un batterista normale e tale sarebbe sempre rimasto: tutt'al più poteva essere considerato un batterista personale, per via di quel budum trubudum dummedum che produceva solo lui, ma non certamente geniale. Attenzione! dicendo che Blackwell è un batterista normale non si vuole sminuirne l'importanza.

L'arte, ogni tipo di linguaggio artistico non può essere costruito e continuare ad esistere senza l'aiuto di miriadi di artisti che sono semplicemente normali. Bravi, ma normali. I geni possono nascere solo se esiste questa fitta ragnatela di artigiani di secondo piano. Sono loro, non i geni, che fanno sì che l'arte, un determinato tipo di arte, esista in quello specifico periodo storico perché i geni per esistere non possono basarsi sul nulla assoluto, ma hanno bisogno di un solido piedistallo che li possa sostenere e devono trarre linfa vitale attraverso radici che succhiano humus da normalissima terra. Si capisce bene che come per gli alberi se non ci fosse la terra e come per Nuvolari se non ci fossero i suoi meccanici così i geni non potrebbero esistere se non ci fossero i normali. Tipi come Blackwell da un certo punto di vista sono quindi più importanti di Armstrong. Nonostante questo, al contrario di Louis Armstrong, nessuna via del centro è stata intitolata a Eddie Blackwell: suonerebbe anche male, via Eddie Blackwell. Al contrario di Bix Beiderbecke, nessun film è stato girato su Eddie Blackwell. Questo solo perché Blackwell non era un genio, ma era semplicemente quel che si dice un artista onesto. Bravo e onesto.

I suoi tamburi cupi e risonanti con il loro budum trubudum dummedum rimandavano ai riti voodoo dei suoi selvaggi progenitori. E pensare che certi scienziati sostengono che il DNA non conta, certi sapientoni dicono che conta più l'educazione. Su questo tema anche François Truffaut ha costruito un ambiguo e confuso film con cui voleva fare intendere che se si ha un selvaggio in casa non c'è verso di insegnargli a soffiarsi il naso con il fazzoletto.

Vivendo nel mondo civilizzato dei bianchi Blackwell riuscì un po' a sgrezzarsi, anche se ci volle molto tempo. Ora si accorgeva subito quando aveva il nodo della cravatta allentato che lasciava scoperto il bottone del colletto della camicia. Da uomo rude e volgare era diventato un uomo civile e seducente.

Continuava però a suonare i tamburi come se fossero dei tronchi d'albero incavati, budum trubudum dummedum: la potenza del DNA.

Foto di Jan Persson (la prima) e Karlheinz Kluter (la terza).

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