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Diamanda Galás

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Teatro Valli (Reggio Emilia) 15.10.2010

You don't know what love is

Til you've learned the meaning of the blues

Torna ciclicamente la Dark Lady dal canto straziato, a portare il suo stizzito conforto alle anime disilluse e meste.

E il suo canto, il suo piano, il suo spettacolo hanno il sapore di una giusta conferma di quello che è il senso della sua attuale ricerca, una fase che avanza inesorabilmente ormai dalla fine degli anni '90.

Se trent'anni fa l'amore poteva essere solo violento, crudele e urlato in una homicidal love song for solo scream, oggi la Signora ha definitivamente imparato il significato del blues.

C'è difatti molta più Diamanda Galás nella prosaica resa del classico di Gene de Paul e Don Raye che non nell'alta schiera di strepiti che le valsero a inizio carriera l'oscura nomea di cui ancora è, per costume, ammantata. È una Galás fiera del proprio dolore e carica di un'amara passione quella che canta d'amore tutto in espiro, forzando le parole a uscire, storpiandone con questo il suono e rendendone dapprima incerto il riconoscimento, per poi rivelarne piano piano il senso in una lenta catarsi.

È questo sostanzialmente l'impianto complessivo di uno spettacolo ormai rodato, che a Reggio Emilia si è giocato su toni più morbidi rispetto ad altre prove recenti. Un timbro di voce concentrato maggiormente sul registro medio-grave e un pianismo meno percussivo, più insistito su pochi calibrati ostinati, hanno privilegiato ulteriormente la resa espressiva dei testi.

In quanti meravigliosi modi la voce umana può cantare le parole anoixe petra? La Galás (si) incatena una lunga sequenza di sepolcri scoperchiati per dare ad ogni singola perdita una voce che pur inconfondibile risulta ogni volta differente.

Pur rimanendo la denuncia (storica, politica, sociale, umana) l'oggetto assoluto della sua arte, la Galás pare oggi aver perduto la spinta di devastante follia che la portava a trasporre il proprio agitato emotivo in forma di grida, a favore di una ponderata misura ed esaltazione della parola.

Da anni ricerca per le regioni del mondo, nelle varie epoche, fra le lingue più lontane testi di poeti e artisti che la pensino come lei e al tempo stesso la facciano pensare. Attraverso il filo rosso di un dolore che riconosce come universale e la trama screziata del suo micidiale strumento vocale cuce spettacoli di immane potenza, che hanno il pregio di toccare gli spettatori nel profondo.

La Galás riesce oggi ad affratellare il suo pubblico, a renderlo edotto e partecipe di un condizione di sofferenza illuminata dalla conoscenza, dunque dalla speranza. Lontani i tempi in cui la sua fitta orda di urla e strepiti non poteva che lasciare i singoli spettatori soli e indifesi (se non anzi offensivi) lacerati dalla rabbia cieca del proprio dolore.

Facile per molti vedere in questo un tradimento dell'alto valore espressivo, artistico e umano, delle sue prime agghiaccianti opere per pura voce; un comodo ripiego che le consenta di uscire dagli stretti confini dei manicomi d'avanguardia per raggiungere e farsi accettare da un pubblico più vasto e meno coraggioso.

L'impressione che rimane tuttavia a fine spettacolo è che la ricerca attuale della Galás, per quanto indubbiamente lontana per stile e impatto, non sia meno radicale di quella delle sue origini, avendo maturato una maggiore consapevolezza che la porta ad analizzare il proprio vissuto cercando le parole per esprimerlo, anziché scagliare brutalmente verso e contro l'esterno una rabbia non metabolizzata.

Ponendosi oggi come pari di fronte al proprio pubblico, anziché come alta sacerdotessa oscura, la Galás fa del proprio canto una forma di pura ermeneutica espressiva. Si fa quindi interprete, al totale servizio della parola, un mezzo che a differenza del grido primordiale, che è solo suo, può raggiungere e trovare accordo in una molteplicità di individui.

Forse che con questo si perde il senso più profondo della sua arte? Forse che mitigata nel furore la sua voce risulti meno espressiva? Ci si consoli col fatto che comunque, oggi come trent'anni fa, Diamanda Galás risponderebbe semplicemente f*** you!

Foto di Emiliano Neri

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