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Da Bach a Bartók
Bologna Festival
Bologna
Teatro Manzoni
06.04.2017
Non è la prima volta che su All About Jazz si dà spazio a recensioni di concerti di musica classica, e le ragioni sono molto semplici. Innanzi tutto il jazzfan vive anche di altre passioni e anzi bisogna fare di tutto per contrastare una maniacale chiusura in un proprio bozzolo esclusivo e acritico. Tanto più oggi che le barriere fra i generi sono sempre più labili. In secondo luogo, al di là del genere e della qualità musicale, ogni evento concertistico possiede una sua unicità fisica/sensoriale/scenica che può suscitare considerazioni non marginali.
Nello specifico, nell'apparizione bolognese della Chamber Orchestra of Europe, con Sir András Schiff nella veste di direttore e solista, il Ricercar a sei voci dall'Offerta Musicale BWV 1079 di Johann Sebastian Bach e la Musica per archi, percussioni e celesta Sz 106 di Béla Bartók sono stati eseguiti senza soluzione di continuità: l'organico per il secondo brano infatti era interamente schierato sul palco fin dall'inizio. Quindi nell'esecuzione del caposaldo bachiano si è verificato che, dopo l'introduzione del tema da parte del pianoforte, i sei archi interessati fossero dislocati all'interno dell'orchestra a distanza fra loro, quasi due trii contrapposti, uno a destra e uno a sinistra. Questo espediente ha creato un effetto stereofonico particolarmente morbido e avvolgente, con il risultato di amalgamare quelle complesse stratificazioni armoniche e dinamiche che caratterizzano la composizione.
Una magia che si è trasfusa quasi automaticamente nel capolavoro bartokiano di circa due secoli dopo. Se nel primo movimento, Andante tranquillo, l'interpretazione degli archi ha accentuato quel senso di latente inquietudine, misteriosa e quasi funerea, nel seguente Allegro, di affermativo dinamismo, gli stessi archi hanno replicato quella simmetria stereofonica rilevata nell'esecuzione di Bach, mentre dalla zona centrale del palco emergevano gli interventi delle percussioni e del piano come apici dilanianti, come vette di un iceberg. Nei due movimenti successivi è stata messa in evidenza la costituzionale contrapposizione/integrazione, l'alternanza tra fasi meditabonde e andamenti tumultuosi e drammatici.
Con il Concerto n. 2 in si bemolle maggiore op. 83 per pianoforte e orchestra di Johannes Brahms, che ha concluso l'appuntamento del Bologna Festival al Teatro Manzoni, ci si è trovati pienamente immersi nell'ampiezza esuberante e stordente del repertorio romantico. In questo caso András Schiff sedeva al piano dirigendo contestualmente l'orchestra, la quale ha dimostrato una grande maturità nella capacità di autogoverno, cosa che oggi capita di vedere non di rado, ma non in formazioni così ampie. I passaggi dinamici, la partecipata espressività, la potenza del pianista della scuderia Ecm hanno coinvolto la pienezza e l'organicità orchestrale con esiti esaltanti.
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