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Cupa ironia: intervista a Caterina Palazzi

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In realtà il contrabbasso non è che proprio l'ho scelto. A un certo punto è stato proprio un'esigenza.
Non si incontra tutti i giorni una musicista dalle idee chiare come Caterina Palazzi. Alla guida di un quartetto legato da amicizia e stima reciproca - completato da Danielle Di Majo (alto sax), Giacomo Ancillotti (chitarra) e Maurizio Chiavaro (batteria) - e forte del convincente album d'esordio Sudoku Killer, la giovane contrabbassista ci racconta come nascono le sue composizioni: scure come la trama di una pellicola noir e intriganti come un giochino di logica matematica.

All About Jazz Italia: Sudoku Killer è il tuo primo album come leader. Il titolo racchiude un significato particolare?

Caterina Palazzi: Ha un duplice significato. L'idea di dare al disco questo titolo scaturisce da due motivi principali. Il primo è che siccome sono una grande appassionata di matematica e di giochetti di logica - il sudoku killer è una variante del normale gioco del sudoku - volevo che il mio lavoro musicale rispecchiasse questa componente caratteriale che è abbastanza presente. Il secondo motivo è che nel CD c'è un intreccio di storie che parlano di cose diverse, ma che hanno un filo conduttore, un po' come il sudoku che è un intreccio di numeri apparantemente scollegati tra loro, ma che hanno un filo logico che li accomuna.

AAJ: In effetti le tue composizioni hanno uno sviluppo di tipo cinematografico, dietro questo modo di scrivere c'è una passione specifica?

C.P.: Sì, assolutamente. Sia per la letteratura che per il cinema. Sono un'appassionata, vedo molti film e leggo molti libri, che poi influenzano la mia scrittura musicale. Per esempio il brano "La lettera scarlatta" è ispirato all'omonimo libro, mentre, parlando di cinema, "La vedova nera" è ispirato a un film di Truffaut che si chiama "La sposa in nero," ma in generale ogni pezzo descrive delle storie e molte persone mi dicono che quando li ascoltano immaginano una sorta di film. Di solito, sul palco, prima di eseguire un pezzo ne spiego la storia, e le persone poi mi riferiscono le loro sensazioni a riguardo. C'è un forte richiamo cinematografico nella musica che faccio, quindi tendo sempre a dire due parole per spiegare il pezzo per fare in modo che il pubblico si immagini lo svolgere della trama, anche se non è davanti a uno schermo.

AAJ: L'idea di comporre una colonna sonora potrebbe piacerti?

C.P.: Perché no. Sarebbe interessante, non è la mia massima aspirazione, ma sarebbe sicuramente bello.

AAJ: Anche le ambientazioni scure che utilizzi rispecchiano il tuo modo di essere?

C.P.: Sicuramtne sì, la sonorità del CD è cupa, c'è una prevalenza di pezzi minori, è una cosa che si può notare. Però è pure vero che è cupo, che è noir, come del resto è il mio carattere, ma c'è anche parecchia ironia. Noir sì, ma con un pizzico di ironia.

AAJ: In Sudoku Killer si avverte netta una importante coesione di gruppo.

C.P.: Noi siamo proprio un gruppo. Certo, i pezzi sono miei, sono io che metto più bocca a livello artistico, però loro sono il mio gruppo, non potrei suonare questi pezzi con altre persone. Poi ovviameente nella vita non si sa mai come vanno le cose, però mi piace il fatto che siamo cresciuti insieme, che abbiamo montato insieme il repertorio, che giriamo l'Italia insieme per presentare il disco.

AAJ: Il vostro è un rapporto che va oltre la semplice stima tra musicisti?

C.P.: Sì, a mio avviso per suonare bene insieme non ci si può non stimare tra persone. Soprattutto se passi così tanto tempo insieme. Noi suoniamo molto, da quando è uscito il disco abbiamo fatto circa cento date dal vivo, per cui se non vai d'accordo umanamente diventa stessante. Invece noi siamo anche amici.

AAJ: Qualcuno definisce la tua musica "inquietante". Che ne pensi?

C.P.: Sentire un concerto di tutti pezzi miei può, in un certo senso, turbare. Perché l'atmosfera è molto cupa. Però mi piace il fatto che risulti inquietante, lo ritengo un complimento, mi piace. Molto meglio di noioso. Qualunque sensazione desti la musica, l'importante è che comunichi qualcosa.

AAJ: Un album che si distacca parecchio dalle peculiarità di un tipico suono jazzistico.

C.P.: Sono partita suonando la chitarra in gruppi punk rock. Ho un passato tutt'altro che jazz. Al jazz mi sono appassionata verso i venti anni; ho studiato il jazz tradizionale, ho avuto il mio periodo di fissa per quel genere, invece poi - quando ho cominciato a scrivere e deciso di avere un gruppo mio che facesse pezzi miei - sono tornate le influenze del passato. Quindi oltre al jazz c'è molto rock in quello che faccio, musica d'autore, musica elettronica, blues. Ascolto la musica in generale, non ascolto solo jazz e credo che poi questo si senta. Le influenze sono molteplici.

AAJ: Perché hai poi scelto di suonare il contrabbasso?

C.P.: In realtà il contrabbasso non è che proprio l'ho scelto. A un certo punto è stato proprio un'esigenza. Ho suonato la chitarra per otto anni, fin da piccola dicevo ai miei genitori che volevo diventare una musicista, ma sentivo che nel corso degli anni la chitarra non era il mio strumento. Quando ho toccato per la prima volta il contrabbasso ho capito che era quello che dovevo suonare. È stato una sorta di incontro casuale che si è rivelato quello giusto per me. Il fatto che poi sia così grande è un po' come andare a suonare in due, è come un essere umano che ti porti dietro, la statura è quella. Mi fa sentire meglio l'idea di avere uno strumento con cui dialogare.

AAJ: Si tratta dunque di un'esigenza fisica.

C.P.: Sì, mi ci appoggio proprio sopra. Il contrabbasso è bello perché è una sorta di prolungamento di te stesso, mentre la chitarra e il pianoforte - per esempio - sono più staccati. Ognuno sceglie il suo strumento a seconda di quello che prova toccandolo, per me è stato amore a prima vista.

AAJ: Non ci sono molte contrabbassiste, ti consideri un eccezione?

C.P.: Di sicuro non siamo in tante, anche perché la cosa veramente dura, oltre al fatto che all'inizio per suonarlo ti sanguinano le dita, è che si tratta di uno strumento faticoso, è difficile anche portarselo dietro, nel trasporto. Me lo porto in giro tutti i giorni, per le scale, in macchina, e ogni volta che lo faccio penso: "mamma mia, quanto mi piace questo strumento!" altrimenti suonerei il basso elettrico. Quindi è un sacrificio, ci vuole molta forza di volontà, anche se poi ti ripaga di tutto.

AAJ: Sei una musicista ancora molto giovane, immagino che avrai molti sogni da realizzare e progetti da portare avanti.

C.P.: Continuare così è già un sogno. L'idea di suonare la mia musica in giro per l'Italia e magari anche un giorno fuori dall'Italia e poter vivere così, non credo di poter chiedere tanto altro. Sono molto contenta di come è andato il primo disco, ho già delle idee per il secondo. Il sogno è quello di continuare e di evolvermi.

AAJ: Qualche anticipazione?

C.P.: È presto per parlarne. Sono contenta di come sta andando il primo album, che è stato ristampato due volte. Nei pezzi nuovi sto prendendo una direzione più sperimentale. Ho fiducia che il secondo mi piacerà più del primo.

Foto di Pierpaolo Romano (la prima e la seconda), Roberto Panucci (la terza e la quarta) e Michele Palazzi (la quinta).


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