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Clusone Jazz Festival – XXXI Edizione

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Clusone - 18.06-24.07.2011

Il 2011 verrà ricordato, negli annali dei festival italiani, come l'anno dei tagli ai contributi pubblici. Chi governa le malridotte finanze di questo Paese ha sentenziato che "con la cultura non si mangia". Di conseguenza, gli organizzatori dei festival estivi hanno dovuto fare i conti con budget sempre più risicati. Clusone Jazz non ha certo fatto eccezione.

Tuttavia, come dice il proverbio, non tutti i mali vengono per nuocere. Come avevamo già avuto modo di sottolineare lo scorso anno, anche in questa edizione la ridotta disponibilità economica ha spinto gli organizzatori a riscoprire la vera identità del festival.

Segnaliamo, a titolo di esempio, il ritorno, sia pure per una sola serata, nella storica e suggestiva sede della Piazza dell'Orologio. Oppure la riduzione a soli quattro appuntamenti della fase itinerante, forse premiante dal punto di vista della visibilità, ma per forza di cose dispersiva dal punto di vista artistico, territoriale ed organizzativo.

Ma, soprattutto, ci fa piacere segnalare il ritorno ad un programma musicale forte, fatto di idee prima che di nomi famosi. Un programma che ha concesso ampi spazi ai musicisti italiani, pur mantenendo un occhio di riguardo verso la scena avanzata europea (quest'anno era quella olandese), e verso il jazz di matrice statunitense, in un'alternanza di nomi nuovi e vecchie conoscenze del festival. In breve, un programma grazie al quale chi, come il sottoscritto, segue il festival da parecchi anni, ha sentito aleggiare su questa edizione lo spirito dei vecchi tempi. Tempi in cui ci si avvicinava ai concerti forse senza sapere esattamente cosa si sarebbe ascoltato, ma fiduciosi che - trattandosi di Clusone Jazz - sarebbe comunque stato qualcosa di interessante.

Questo non significa che nel cartellone di quest'anno non ci siano stati passi falsi. Il quartetto di Ravi Coltrane, ad esempio, nonostante le ottime individualità (Luis Perdomo al pianoforte, Drew Gress al contrabbasso, E.J. Strickland alla batteria) non è riuscito ad andare oltre il compitino di routine e ha dato vita ad un concerto decisamente scialbo (e tuttavia accolto con gran calore dal pubblico). Ma a parte questo svarione, peraltro giustificato dalla curiosità nei confronti di un musicista poco presente in Italia e con una storia familiare importante (il sassofonista è figlio di John ed Alice Coltrane), il resto del programma è stato decisamente di altissimo livello.

Il sestetto "The Stefano Pastor Jazz-Poetry Connection" (oltre al leader al violino, Steve Waterman alla tromba, George Haslam al sax baritono, Silvia Bolognesi e Ken Filiano al contrabbasso, Erika Dagnino, poesia e voce) ci ha condotto lungo territori musicali astratti, frammentari, fatti in prevalenza di serrati dialoghi tra sotto-insiemi dell'organico. Ottima l'intesa tra i due contrabbassi, intrigante il confronto tra l'introspezione del leader ed il virtuosismo pirotecnico dei fiati. Meno riuscito, a tratti controproducente, l'inserimento della voce, cupa nei testi e piatta nell'incedere degli accenti.

Più melodici gli appuntamenti in duo del sabato e della domenica pomeriggio. Nel primo, con Paolino Dalla Porta e Giovanni Falzone, abbiamo ascoltato temi di ispirazione contemporanea, con qualche sortita verso gli standard e verso le rivisitazioni in chiave jazzistica di brani della tradizione classica. Dopo oltre un anno di collaborazione, il duo ha ormai un'intesa perfetta e propone una musica che, pur mantenendo una grande godibilità, non esita a spingere sul pedale della creatività e della ricerca. Nel secondo, invece, abbiamo ascoltato una musica dai sapori squisitamente mediterranei, tra le delicate melodie disegnate dalla chitarra di Bebo Ferra (autore di tutti i brani) e le torride volate solistiche dei sax di Javier Girotto.

Torride volate che hanno impreziosito anche il bellissimo concerto di Enten Eller (Alberto Mandarini a tromba e flicorno, Maurizio Brunod alla chitarra, Giovanni Maier al contrabbasso, Massimo Barbiero a batteria e percussioni). La band ha presentato brani tratti da Ecuba (realizzato appunto con Girotto in qualità di ospite), a nostro parere tra i migliori album usciti nel 2010. E' quasi imbarazzante parlare di Enten Eller come di una scoperta. Il gruppo è in attività da oltre vent'anni. Ha realizzato numerosi album, anche con ospiti prestigiosi. Porta avanti, con coerenza esemplare, un progetto musicale che fa convivere in modo spontaneo il free più audace con le melodie più delicate (gli estremi, l'Enten Eller di kierkegaardiana memoria). E tuttavia - cosa che la dice lunga sull'insipienza di molti cosiddetti direttori artistici - le occasioni di ascoltare questo gruppo dal vivo sono assai rare. Bene ha dunque fatto Clusone Jazz ad invitarlo, e a concedergli il secondo concerto del sabato sera, ovvero lo spazio più importante del festival.

Come anticipato in apertura, e come da tradizione di questa rassegna, ampio spazio è stato dato al jazz olandese. Il quartetto del cornettista Eric Boeren (Michael Moore a sax alto e clarino, Wilbert De Joode al contrabbasso, Han Bennink alla batteria), ha presentato un progetto incentrato sulla musica di Ornette Coleman. L'approccio al materiale musicale è quello tipicamente olandese. I temi, sia quelli di Ornette sia quelli - di ispirazione ornettiana - a firma di Boeren, sono semplici punti di partenza per divagazioni improvvisative libere e giocose. Notevole l'intreccio contrappuntistico tra la cornetta del leader e le ance di Moore. Eccessivo il drumming di Bennink, istrionico ed esuberante come sempre nonostante un set minimalista (il solo rullante). Un approccio più delicato sarebbe stato sicuramente più in linea con la musica proposta.

Il batterista si è comunque fatto ampiamente perdonare suonando magnificamente nel concerto della sera successiva, che lo ha visto salire sul palco in compagnia di Fabrizio Puglisi al pianoforte e di Ernst Glerum al contrabbasso. Un concerto "senza rete," nel quale i grandi classici della storia del jazz (Monk, Powell, Ellington...) hanno fornito lo spunto per una vorticosa girandola di situazioni emozionali ed espressive, dal free più radicale alla melodia più introspettiva. Musica che veste casual, ma che di fatto è rigorosissima, e che non rinuncia ad un sorriso ironico, affettuoso.

Messa in archivio questa trentunesima edizione del festival, auguriamo agli organizzatori di proseguire - indipendentemente da ristrettezze o largheggiamenti di budget - sulla strada del recupero identitario intrapresa con le ultime edizioni. Nel documento di presentazione della rassegna si leggeva la frase "Resiste perché esiste! Esiste perché resiste!". Al di là degli slogan, un festival ha ragion d'essere solo se riesce a proporre qualcosa di interessante e di diverso.

L'identità del Clusone Jazz Festival è chiara, netta. Avanti così.

Foto di Luciano Rossetti

Altre immagini del festival sono disponibili nel foto- racconto (parte prima) ad esso dedicato.


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