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Ciro Longobardi in-all-directions

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Si può ben dire che l'attività di Ciro Longobardi, pianista campano, si profila ad ora già eccezionale nel panorama contemporaneo italiano. Da più di quindici anni, Longobardi si dedica allo studio ed alla diffusione del repertorio e dei linguaggi musicali moderni e contemporanei, animato senza sosta da una grande curiosità per tutte le possibilità offerte dal fare musica in solo ed ensemble. È attivo sia come solista che come camerista, oltre che in progetti multimediali, di teatro musicale e d'improvvisazione. Di particolare rilievo sono le sue collaborazioni con L'Ensemble Dissonanzen e l'Ensemble Algoritmo, con cui ha inciso diversi lavori, nonché, più di recente, con il compositore Salvatore Sciarrino. In occasione dell'uscita del CD Nuit con musiche di Sciarrino e Ravel e del Festival Dissonanzen (Napoli, 6-14.11.2009), abbiamo colto l'occasione di incontrare Longobardi con l'intento di esplorare alcuni "capitoli" musicali che lo riguardano.

SEZIONI:

Nuit - Sciarrino

Piano e dintorni

Improvvisazione e Jazz

Ensemble Dissonanzen

Nuit - Sciarrino

All About Jazz: Credo che questa intervista non possa non aprirsi con la constatazione che nel progetto "Nuit" ti sia preso uno spazio con Salvatore Sciarrino ben più ampio di quello normalmente riservato ad un interprete. Sei stato, infatti, curatore delle note di copertina, pubblicando un'intervista direi fondamentale perché permette all'ascoltatore non solo di calarsi nella musica di Sciarrino, ma anche di approfondire l'aspetto "officina" della sua produzione. Ne sei stato chiaramente anche interprete di tutto il repertorio proposto nel CD. Hai voglia di raccontare come è nato questo progetto?

Ciro Longobardi: Era da diverso tempo che avevo intenzione di avvicinarmi alla musica di Sciarrino sotto la sua guida. L'occasione si è concretizzata nell'ambito delle attività dell'Ensemble Algoritmo, un gruppo formato da musicisti straordinari, fondato e diretto da Marco Angius, uno dei migliori direttori in circolazione. Eseguivamo qualche anno fa "Centauro Marino," quintetto con una parte pianistica molto impegnativa; Sciarrino venne alle prove e al concerto, e ne fu davvero entusiasta. Già allora gli proposi di lavorare sui "Notturni" e, più in generale, sull'accostamento tra la sua musica ed uno dei suoi riferimenti storici più importanti, Ravel. Dopo qualche attimo di riflessione abbracciò con entusiasmo il progetto, portato poi avanti in diversi incontri di lavoro tra Città di Castello e Roma.

AAJ: Dopo aver letto la lunga intervista "La Capanna e il Grattacielo. Colloquio con Salvatore Sciarrino," contenuta nel CD Nuit rimangono relativamente poche curiosità sul lavoro di Sciarrino nei confronti dei materiali del repertorio pianistico di Maurice Ravel. Tutto da capire è invece il tuo lavoro sulla scrittura sciarriniana e sulle sue interpretazioni di Ravel. Come hai lavorato su queste due figure (o forse su una vista dall'altro...)?

C.L.: Ho cercato di radicalizzare gli aspetti più esplosivi della scrittura sciarriniana, accentuando il più possibile i contrasti tra zone dinamiche opposte e cercando di portare le velocità al limite. Quanto a Ravel devo precisare che la sua grande, sottovalutata modernità cominciava ad essermi chiara già dagli anni di studio con il mio insegnante storico, Carlo Lapegna. All'epoca ai nostri occhi ed orecchie risaltava soprattutto la pulsazione ritmico-metrica, decisamente più netta ed incisiva rispetto a quanto si può ascoltare nel collega/rivale Debussy. L'incontro con la musica di Sciarrino ha chiarito, confermato, approfondito questa percezione, con un focus su ulteriori aspetti di modernità: una certa complessità nella sovrapposizione accordale, alta densità armonica in unità di tempo molto brevi, combinazione di velocità alta e dinamica spesso vicina al pianissimo. Diciamo che attraverso la lente "sciarriniana" Ravel ci appare come un grande precursore di certe tendenze posteriori, dalla musica elettronica allo spettralismo. E che in Sciarrino alcune intuizioni della musica di Ravel trovano compiuta e profonda realizzazione, seppure in un linguaggio assolutamente unico e personale.

AAJ: Con Sciarrino hai approfondito moltissimi aspetti tecnici riguardanti i "Notturni" e "De la Nuit". Vorrei soffermarmi in questa sede su quelli relativi a "Gaspard de la Nuit". Quali sono state le tue scelte tecniche nell'esecuzione di questo che è unanimemente considerato uno dei pezzi più ostici mai scritti? Nell'esecuzione che hai proposto per Stradivarius, in particolare, sei stato influenzato dalla rilettura di Ravel fatta da Sciarrino oppure hai lavorato sul compositore francese "senza filtri" aggiunti?

C.L.: Un esempio: l'incipit di "Scarbo". Una sequenza ascendente di tre note che si manifesta dall'oscurità e vi ritorna, seguita da un accordo/timbro - una via di mezzo tra una settima ed un cluster con una riverberazione interna data dal ribattuto - che pure si spegne nell'oscurità. Impossibile non guardare con occhi "sciarriniani" questo tipo di scrittura, specialmente quando, dopo il prima grande climax, ritorna inabissandosi ancor di più nell'ombra. E impossibile non vedere in una luce diversa i passaggi di velocità estrema dopo la vertigine di "De la Nuit".

AAJ: Le interpretazioni "poetiche" di "Gaspard de la Nuit" sono state davvero tante. Si potrebbero menzionare quelle di Arturo Benedetti Michelangeli e Martha Argerich, anche se su Youtube ne ho ascoltate così tante e interessanti che mi pare riduttivo soffermarsi a questi due nomi. Per esempio, trovo l'esecuzione di Ivo Pogorelic emotivamente vertiginosa...

Ho notato che da una versione all'altra ci sono notevoli differenze, in particolare nel terzo movimento "Scarbo," per quanto riguarda diversi punti di vista (tempi, scelte tecniche, approccio emotivo). Quali sono, per te, se ci sono, le interpretazioni più importanti di questo pezzo o le scelte tecniche introdotte da interpreti che, a prescindere dai materiali di Ravel, bisogna in ogni caso prendere in considerazione quando si decide di incidere un'opera come questa?

C.L.: Sicuramente le interpretazioni che citi sono tutte "di riferimento," anzi, sono quelle con cui un pianista della mia generazione poteva più facilmente confrontarsi tra gli anni '80 e '90. Altre interpretazioni importanti sono, in anni più recenti, quelle di Sergio Tiempo e di Nicholas Angelich. Ma più che acquisire dei riferimenti bisognerebbe stare attenti a non cadere in certe "tradizioni" interpretative tuttora incombenti che ancora relegano il pezzo in una indefinita zona tardo romantico/impressionista a scapito della sua assoluta modernità.

AAJ: Colgo l'occasione per aprire una parentesi e domandarti cosa intendi per "tradizione" - lasciando da parte le zone tardo romantiche ed impressioniste e concentrandoti sul peso (o eventualmente sull'importanza) che essa ha per un esecutore di musica moderna.

C.L.: Per "tradizioni interpretative incombenti" intendo essenzialmente l'uso di un fraseggio rubato di derivazione romantica ed il relegare in secondo piano le evidenti componenti ritmico-metriche. D'altra parte, però, la tradizione ti dà una forma mentis ben precisa riguardo alle qualità auspicabili in un'esecuzione: solidità tecnica, bellezza del suono, correttezza del fraseggio, chiarezza dei punti strutturali della composizione. La tradizione ti dice per esempio che tra una melodia ed il suo accompagnamento ci deve essere un rapporto dinamico ben preciso: in parole povere, la melodia deve essere più forte dell'accompagnamento. Questo è sicuramente vero e giusto, ma il rapporto con la scrittura contemporanea ti apre anche ad altre possibilità. Un altro esempio: nelle parti di "De la Nuit" derivate da "Ondine," Sciarrino prescrive di mettere la melodia meno in evidenza rispetto all'accompagnamento, ed io ho seguito quest'indicazione anche nell'incipit del brano di Ravel. Il risultato è un altro tipo di evidenza, non una figura in primo piano su uno sfondo ma piuttosto una figura visibile come dietro un vetro smerigliato... è evidente che per far risaltare un elemento si può anche "derogare" dalla tradizione e paradossalmente metterlo in secondo piano.

AAJ: Per quanto ti riguarda, hai preso un'interpretazione a modello o hai lavorato solo su Ravel lasciando da parte quanti ti precedono?

C.L.: Ho deliberatamente evitato di ascoltare in tempi recenti altre interpretazioni, per non esserne influenzato, ed ho cercato di attenermi a quanto il testo propone. Riguardo ad un'idea generale di pianismo devo però ammettere di essere stato molto influenzato dai miei principali ascolti giovanili, Maurizio Pollini e Arturo Benedetti Michelangeli, ed in tempi più recenti dall'abbagliante pianismo di Cecil Taylor... fermo restando tutte le differenze tra questi immensi musicisti ed un comune mortale come il sottoscritto, naturalmente!

AAJ: In Nuit Sciarrino sviscera una serie di tematiche che risultano centrali per capire la sua musica tutta: l'immagine dell'ombra/luce, il concetto di notte e notturno, la poetica del vuoto, oscurità, silenzio, il suo lavoro sulla velocità, tanto per citarne alcune.

A quali tu ti senti legato o affine? E quali sono i lavori di Sciarrino che col tempo hai fatto "tuoi"?

C.L.: Sciarrino è autore unico e di grande complessità, nella sua musica i vari aspetti sono così inestricabilmente legati da non permettere distinzioni o preferenze. La serie dei "Notturni" è stato ad oggi il mio primo ed unico approccio al pianoforte sciarriniano (oltre ad alcuni brani cameristici e d'ensemble), ma posso sicuramente dirti che ho intenzione al più presto di studiare alcune "Sonate," tra cui la "Quinta," scritta per Pollini, la "Seconda," un autentico capolavoro, e forse la "Terza"...

Piano e dintorni

AAJ: Un altro compositore su cui ha lavorato tanto e con grande perizia filologica, quasi coevo di Ravel, è stato Charles Edward Ives. Per Limen hai, tra l'altro, anche inciso il primo volume delle opere di Ives. Quali differenze d'approccio ci sono state tra le due registrazioni? Cosa rappresenta per te Ives?

C.L.: La totale libertà dal mercato, dal professionismo, dalle mode culturali. Un'avventura creativa unica per radicalismo e preveggenza, considerato il contesto storico-culurale in cui è vissuto. E pensare che ancora oggi Ives rappresenta il prototipo dell'outsider e rimane un caso isolato nella storia della musica, a parte Giacinto Scelsi. E' questo il problema: se studi Debussy ci arrivi da Chopin e Schumann e prosegui oltre verso Messiaen e Boulez, se studi Ravel fai riferimento a Liszt e poi magari ti riallacci a Sciarrino, se studi Schoenberg non puoi fare a meno di richiamarti a Brahms (e magari a Wagner), di confrontarlo con Webern e Berg, di proiettarti verso Stockhausen o Rihm; ma se affronti Ives per la prima volta, a parte qualche blando precedente in terra d'America, qual è il tuo riferimento? Pur in presenza di notevoli problemi tecnici, è questa la vera difficoltà della sua musica, penetrare un linguaggio che non ha precursori e, a parte pochi compositori-ammiratori, neanche eredi.

AAJ: Ma è davvero obbligatorio seguire delle tracce per muoversi nel Novecento?! Mi sembra che da un certo punto il cammino si crei da sé, come dimostra il fatto che tu sia passato da Ives a Sciarrino senza colpo (apparentemente) ferire...

C.L.: Il Novecento è un secolo musicalmente così ricco da permetterti di frequentare con facilità musiche agli antipodi le una dalle altre. Ciò non toglie che quando si affronta un nuovo compositore viene naturale chiedersi da dove viene, in quale linea di continuità linguistica si colloca. Sulla musica di Ives è molto difficile darsi una risposta...

AAJ: Sono curiosa di saperne di più riguardo alla tua esperienza a Darmstadt. Perché hai scelto proprio i seminari di Darmstadt per completare la tua formazione? Qual è, secondo te, oggi il contributo che dà ancora questa scuola (se la consideri rimasta tale) alla musica contemporanea?

C.L.: Darmstadt è il luogo da cui è partita l'avventura delle avanguardie alla fine degli anni '40, dove hanno avuto la prima visibilità internazionale Boulez, Stockhausen, Nono, dove Cage ha presentato il proprio verbo per la prima volta in Europa, dove si sono affermati Ferneyhough e Rihm, per citare solo alcuni nomi. A Darmstadt si assegna un premio di livello internazionale per interpreti e per compositori, il Kranicksteiner Musikpreis. E' insomma un luogo-icona; certo non più il faro della musica contemporanea degli anni '50-'70, ma comunque un posto dove tuttora è possibile conoscere alcune delle principali tendenze internazionali. E dove ci sono delle buone occasioni per gli interpreti.

AAJ: Il tuo repertorio (live soprattutto) è assai variegato ed eclettico, più di quanto, al contrario, dicano le tue registrazioni (escludendo quelle con l'Ensemble Dissonanzen). Se ti dessero la possibilità di registrare - a tua scelta - un repertorio "obliquo," "meticcio" e "attuale" (per sonorità, repertorio, approccio esecutivo, scelte d'interpretazione), cosa non dovrebbe mancare e cosa, pur fondamentale, escluderesti?

C.L.: Sicuramente mi piacerebbe continuare a proporre accostamenti non scontati tra Novecento storico e contemporaneità, sulla scia di Sciarrino/Ravel. Poi c'è Ives che resta sempre in attesa lì, in un cantuccio; Messiaen, di cui mi piacerebbe registrare uno dei grandi cicli pianistici; Ivan Fedele, altro importante compositore italiano - di cui ho l'integrale pianistica in repertorio - e il duo pianoforte ed elettronica con Agostino Di Scipio. Comunque molte cose bollono in pentola, in solo, con Dissonanzen e con Algoritmo, ma per ovvi motivi non posso dire di più... Cosa escluderei? Il Settecento e l'Ottocento. Il sogno nel cassetto? Un disco d'improvvisazione libera in una delle combinazioni possibili dal solo al trio.

Improvvisazione e Jazz

AAJ: Come concili Darmstadt con il tuo forte interesse per l'improvvisazione?

C.L.: Finita la stagione dell'informale, l'improvvisazione ha quasi perso cittadinanza nell'ambito della musica contemporanea "colta" o "accademica," dove tranne rare eccezioni vige generalmente una netta separazione tra le competenze del compositore e dell'esecutore. Confini più aperti tra le due sfere restano, ma in altri ambiti, come il free-jazz e le musiche creative in genere (ma questo i lettori di AAJ lo sanno bene). Devo precisare che al momento la mia esperienza di improvvisatore si svolge essenzialmente nell'ambito di Dissonanzen, il gruppo napoletano di cui faccio parte, e che non posso ancora definirmi un improvvisatore in senso solistico - ma spero di diventarlo il prima possibile! Detto questo, la mia idea è di tenere separati i due ambiti perché da un lato sono un musicista di formazione classica - con tutte le ovvie implicazioni che questo comporta - dall'altro sono troppo affascinato dall'improvvisazione totalmente libera e dalla creazione/interazione del momento, il più possibile senza strutture precostituite.

AAJ: A questo punto aprirei una parentesi sul jazz, domandandoti quali sono gli ascolti, i modelli e, se ci sono, le pratiche che hai fatto tue mutuate dall'ambito jazzistico.

C.L.: Tra gli studenti di pianoforte c'era una forte infatuazione per Bill Evans. Pur riconoscendo la grandezza di questo musicista - come di altri importanti pianisti - il pianoforte nel jazz non riusciva ad interessarmi. L'unica ragione che riesco a darmi, a parte l'istinto, è il fatto che in casa circolavano molti dischi di grandi sassofonisti, essendo mio padre e mio fratello sassofonisti amatoriali. Charlie Parker quindi; John Coltrane, di cui mi attraeva l'estrema tensione interna dei fraseggi; Miles Davis; e ovviamente Anthony Braxton. Questi ascolti forse si ricollegano e chiariscono meglio il mio precedente riferimento a Cecil Taylor.

AAJ: Il piano è, senza dubbio, uno strumento complesso e complessivo, per forma, struttura, sonorità. Rappresenta per molti aspetti la storia della musica stessa, anche se il Novecento, con Cage, in primis, ha fatto molto per decostruire questo ruolo e dargli anche quel po' di silenzio che gli mancava! Hai qualche riflessione in proposito? Sono interrogativi che ti poni, suonandolo e/o insegnando?

C.L.: Sembra sempre che col pianoforte si sia detto tutto, che lo strumento abbia esaurito le sue possibilità, ma intanto si continua ad usarlo da solo e in tutte le combinazioni possibili... a mio parere perché esprime un alto grado di astrazione ed allo stesso tempo riesce a mantenere il passo con la più avanzata ricerca strumentale e sonora: attraverso l'elaborazione elettronica, la preparazione delle corde, le varie tecniche di inside piano. Pensa che con una preparazione abbastanza veloce è addirittura possibile renderlo uno strumento microtonale!

AAJ: Non troppo implicitamente la domanda ti chiede di fare i conti con John Cage...

C.L.: Non sto qui a sottolineare l'importanza storica della figura di John Cage, arcinota a tutti; ma il suo lavoro sulla preparazione del pianoforte resterà un momento di genio assoluto nell'ambito della ricerca sullo strumento. Purtroppo gran parte del pubblico ancora pensa, più o meno esplicitamente, che si tratti solo di una simpatica bizzarria...

AAJ: Ho visto una tua fotografia in studio, dietro ad uno Steinway, che ritrae John Cage in piedi che parla e racconta e si esalta in mezzo a bottiglie. Caduto anche tu nello stereotipo?!

C.L.: Si trattava di un concerto in una galleria milanese dove erano esposte le foto "cageane" di Roberto Masotti... non ho saputo resistere alla tentazione. E c'è anche Merce Cunningham!

Ensemble Dissonanzen

AAJ: L'Ensemble Dissonanzen mi pare rappresenti una delle migliori palestre musicali in Italia per poter intraprendere progetti in ensemble che abbiano un repertorio che spazi dall'improvvisazione a progetti multimediali. Hai voglia di raccontarci la tua esperienza con i "dissonanti," il vostro modo di trovarvi, suonare ed incidere...

C.L.: Dissonanzen è senza dubbio uno dei gruppi a più alto tasso di creatività in Italia. La capacità di questo collettivo di spaziare con facilità dalla classica contemporanea all'improvvisazione, dalle sonorizzazioni di film muti ai progetti multimediali, dal rapporto con la parola recitata a quello con la danza - senza dimenticare l'elettronica e la relazione con la musica e gli strumenti antichi - è davvero unica. Ormai abbiamo perso il conto dei progetti realizzati in tutti questi ambiti, e fortunatamente le idee ancora oggi non mancano. Certo la convivenza tra personalità artistiche molto diverse non è facile, c'è bisogno di molta pazienza e di un grande coinvolgimento "emotivo" nel progetto generale per continuare ad andare avanti. Fortunatamente c'è Tommaso Rossi (il presidente), che oltre ad essere musicista di grande valore ha capacità organizzative e di "mediazione" non comuni.

AAJ: Volevo sapere cos'è per te l'improvvisazione e come lavorate in ensemble su questo concetto/approccio/modus musicandi?

C.L.: A chi come me si occupa tutti i giorni di musica interamente scritta e strutturata l'improvvisazione offre allo stesso tempo un momento di liberazione ed una stimolante possibilità creativa, secondo un percorso parallelo ma diverso dalla composizione intesa in senso tradizionale. Permette inoltre di mettere in campo un sé musicale differente rispetto a quello in gioco quando esegui musica "scritta". C'è inoltre la componente "interplay," la parte più affascinante di un'improvvisazione collettiva: è questo che ovviamente cerchiamo di curare il più possibile in ensemble. Per il resto ogni progetto è diverso dall'altro e di volta in volta deleghiamo ad un musicista diverso il compito di coordinare ed indicare la "direzione" musicale.

AAJ: Con l'Ensemble Dissonanzen avete concentrato la vostra attenzione su compositori come Messiaen, Cage, Dallapiccola, Petrassi, Castiglioni e Henze. Scegli il CD più rappresentativo per te per fare una guida all'ascolto per il lettore di All About Jazz.

C.L.: Considerando la fatica artistica ed organizzativa per ciascun disco mi sembrerebbe di fare un torto scegliendone uno in particolare. Musica Porosa è il nostro primo progetto d'improvvisazione libera, realizzato con quel "mostro" di Markus Stockhausen, musicista dal "carisma sonoro" senza eguali. Sarebbe in effetti un progetto multimediale, con la proiezione delle bellissime foto a tema vulcanico di Antonio Biasiucci... ma per ora ci accontentiamo del CD, per il quale siamo stati fortunati. Si tratta di un live registrato presso la Chiesa di S. Caterina da Siena di Napoli, dall'acustica bellissima ma molto esposta all'inquinamento sonoro della città: che però quella sera ci ha graziato!

Dallapiccola/Petrassi e Henze sono invece dei ritratti cameristici di grandi compositori contemporanei. Qui molti "dissonanti" hanno avuto la possibilità di mettersi in gioco sia come solisti sia come musicisti d'ensemble.

AAJ: Con Claudio Lugo, in un'intervista significativamente intitolata Lavorare per importare pensiero fatta in occasione del Festival Dissonanzen 2007, avevamo a lungo parlato di una questione "spinosa" per chi si occupa di musica contemporanea attualmente in Italia, vale a dire il rapporto con le istituzioni. Credo che su questo argomento considerazioni e riflessioni non siano mai sprecate in quanto posso costituire un valido punto di partenza per elaborare nuove forme di concepire e divulgare la musica. Vorrei che in proposito mi dicessi la tua opinione.

C.L.: Ormai la questione non riguarda più soltanto la contemporanea ma la musica "colta" o "d'arte" in genere, che nella storia, tranne rare eccezioni, è sempre stata sovvenzionata: chi vuole riportala ad una logica di mercato o non sa o finge di non sapere. Detto questo, le istituzioni musicali dovrebbero spendere meglio e di più per diffonderla tra i giovani, allargando e differenziando l'offerta di concerti per le scuole ed anche la quantità di biglietti a prezzo ridotto per i concerti "principali," stipulando accordi con gli assessorati all'educazione di comuni, provincie, regioni, con le stesse scuole e con fondazioni di diritto privato. Tocca a questi soggetti (molti dei quali davvero ben sovvenzionati) il compito ed il dovere di colmare il vuoto lasciato dalla scuola, dalla televisione, dalla famiglia e dalla cultura socialmente condivisa riguardo all'educazione musicale.

AAJ: Un'ultima domanda che, scrivendo per una rivista on line, riguarda la rete stessa. Cosa rappresenta per un musicista che si occupa di musica contemporanea la rete e quali mezzi essa offre per migliorare il tuo lavoro?

C.L.: Attraverso la rete è virtualmente possibile conoscere qualcosa di qualsiasi musicista, sapere "di cosa si tratta" riguardo a qualsivoglia interprete, compositore, improvvisatore, gruppo in attività sul pianeta. Una volta avuto il primo contatto bisogna poi approfondire ciò che interessa, procurandosi CD, libri, partiture; ma anche per questo la rete è diventata fondamentale.

Vi è però insita una tendenza alla smaterializzazione del supporto, per cui pare che CD, DVD, libri diventeranno prima o poi obsoleti. Spero che accada il più tardi possibile, perché la "confezione" è fondamentale per dare una chiusura formale a quella serie di rimandi, di relazioni, di accostamenti che costituiscono un progetto. In altre parole, senza il supporto CD non esisterebbe "Sciarrino/Ravel," ma solo una generica possibilità di download. Se pensiamo ai tantissimi bei progetti "chiusi," "strutturati" in circolazione sarebbe una perdita non da poco.

Foto di Claudio Casanova (tutte tranne la penultima) e di Michela Veicsteinas (la penultima)


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