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Chick Corea - Steve Gadd Sextet al Parco della Musica di Roma
Chick Corea -Steve Gadd Sextet
Roma Jazz Festival 2017
Parco della Musica
Roma
05.11.2017
Il compito di inaugurare la versione 2017 del Roma Jazz Festival è toccata a due mostri sacri del jazz come Chick Corea e Steve Gadd, capaci di richiamare un'affluenza di pubblico tale da riempire la sala come pochi altri nomi. I due collaborano da 40 anni, tra i massimi esponenti dei rispettivi strumenti: se il pianismo di Corea racchiude in sé tutta la storia del pianoforte (non solo jazz, ma anche classico), Gadd ha praticamente ridefinito la tecnica della batteria. Per questo nuovo progetto, di cui figurano entrambi come leader, sono alla guida di un sestetto che vede anche Steve Wilson al sassofono e flauto (già al fianco di Corea negli Origin), Carlitos del Puerto al basso (elettrico e acustico), Luisito Quintero alle percussioni (sia del Puerto che Quintero avevano già suonato con Corea nella touring band di The Vigil, pur non avendo preso parte a quella incisione), e il chitarrista del Benin Lionel Loueke.
Il primo brano in scaletta è "Night Streets," tratto dall'album My Spanish Heart che ha segnato nel 1976 l'inizio del lungo sodalizio tra Corea e Gadd. Il suo ritmo trascinante è la base per una serie di assoli di tutti i musicisti che ci riportano ai tempi della prima fusion. Seguono tre brani tratti dal nuovo doppio CD del gruppo, Chinese Butterfly, in uscita a gennaio; il primo, "Serenity," sarà il momento più intimista della serata, con Corea al piano acustico, del Puerto al contrabbasso e Wilson al flauto, prima di ritornare alle atmosfere più fusion con "Chick's Chums," brano scritto da John McLaughlin, e a ritmi latini con "A Spanish Song," preceduta da un'introduzione di solo piano barocco di sapore scarlattiano. Il finale è un nuovo ritorno al passato, con "Quartet No. 1" tratto da Three Quartets, altro lavoro del pianista insieme a Gadd, presentata da Corea come una prova (scusandosi anticipatamente per eventuali errori in quanto nuova per il repertorio del gruppo), per terminare con la gloriosa "Return to Forever" (brano reinciso sul nuovo CD), e l'immancabile "Spain" eseguita come bis con la partecipazione del pubblico.
Nelle due ore abbondanti di concerto abbiamo avuto modo di apprezzare la grande levatura tecnica di tutti i musicisti, anche se naturalmente la parte del leone l'hanno fatta i due leader (soprattutto Corea, che come conoscenza dello strumento ha ben pochi rivali). Un po' in ombra il chitarrista, anche per una scelta timbrica che privilegia i suoni sintetizzati portandolo a confondersi con le tastiere di Corea, mentre il bassista cubano sembra in grado di continuare la tradizione di grandi bassisti che il pianista ha sempre avuto al suo fianco (da Stanley Clarke a John Patitucci, da Eddie Gomez a Christian McBride). La musica non ha presentato sorprese, adagiandosi su una fusion di elevata fattura volta direttamente a soddisfare le aspettative del pubblico, che da parte sua ha calorosamente apprezzato. Da tempo Corea suona per compiacere il suo pubblico (all'inizio del concerto ha chiesto di lasciare accese le luci in sala per poter vedere la gente in platea, a riprova dell'importanza che ha per lui il rapporto diretto), e gli esperimenti dei suoi primi anni, che molti considerano ancora le cose migliori da lui realizzate in carriera, non sono più stati ripresi. Resta comunque un grandissimo artista, anche se concerti come questo danno l'impressione di assistere a una esibizione di culturismo musicale, uno sfoggio di muscoli che va troppo spesso a scapito della sostanza musicale.
Foto: Filippo Ferrante
Roma Jazz Festival 2017
Parco della Musica
Roma
05.11.2017
Il compito di inaugurare la versione 2017 del Roma Jazz Festival è toccata a due mostri sacri del jazz come Chick Corea e Steve Gadd, capaci di richiamare un'affluenza di pubblico tale da riempire la sala come pochi altri nomi. I due collaborano da 40 anni, tra i massimi esponenti dei rispettivi strumenti: se il pianismo di Corea racchiude in sé tutta la storia del pianoforte (non solo jazz, ma anche classico), Gadd ha praticamente ridefinito la tecnica della batteria. Per questo nuovo progetto, di cui figurano entrambi come leader, sono alla guida di un sestetto che vede anche Steve Wilson al sassofono e flauto (già al fianco di Corea negli Origin), Carlitos del Puerto al basso (elettrico e acustico), Luisito Quintero alle percussioni (sia del Puerto che Quintero avevano già suonato con Corea nella touring band di The Vigil, pur non avendo preso parte a quella incisione), e il chitarrista del Benin Lionel Loueke.
Il primo brano in scaletta è "Night Streets," tratto dall'album My Spanish Heart che ha segnato nel 1976 l'inizio del lungo sodalizio tra Corea e Gadd. Il suo ritmo trascinante è la base per una serie di assoli di tutti i musicisti che ci riportano ai tempi della prima fusion. Seguono tre brani tratti dal nuovo doppio CD del gruppo, Chinese Butterfly, in uscita a gennaio; il primo, "Serenity," sarà il momento più intimista della serata, con Corea al piano acustico, del Puerto al contrabbasso e Wilson al flauto, prima di ritornare alle atmosfere più fusion con "Chick's Chums," brano scritto da John McLaughlin, e a ritmi latini con "A Spanish Song," preceduta da un'introduzione di solo piano barocco di sapore scarlattiano. Il finale è un nuovo ritorno al passato, con "Quartet No. 1" tratto da Three Quartets, altro lavoro del pianista insieme a Gadd, presentata da Corea come una prova (scusandosi anticipatamente per eventuali errori in quanto nuova per il repertorio del gruppo), per terminare con la gloriosa "Return to Forever" (brano reinciso sul nuovo CD), e l'immancabile "Spain" eseguita come bis con la partecipazione del pubblico.
Nelle due ore abbondanti di concerto abbiamo avuto modo di apprezzare la grande levatura tecnica di tutti i musicisti, anche se naturalmente la parte del leone l'hanno fatta i due leader (soprattutto Corea, che come conoscenza dello strumento ha ben pochi rivali). Un po' in ombra il chitarrista, anche per una scelta timbrica che privilegia i suoni sintetizzati portandolo a confondersi con le tastiere di Corea, mentre il bassista cubano sembra in grado di continuare la tradizione di grandi bassisti che il pianista ha sempre avuto al suo fianco (da Stanley Clarke a John Patitucci, da Eddie Gomez a Christian McBride). La musica non ha presentato sorprese, adagiandosi su una fusion di elevata fattura volta direttamente a soddisfare le aspettative del pubblico, che da parte sua ha calorosamente apprezzato. Da tempo Corea suona per compiacere il suo pubblico (all'inizio del concerto ha chiesto di lasciare accese le luci in sala per poter vedere la gente in platea, a riprova dell'importanza che ha per lui il rapporto diretto), e gli esperimenti dei suoi primi anni, che molti considerano ancora le cose migliori da lui realizzate in carriera, non sono più stati ripresi. Resta comunque un grandissimo artista, anche se concerti come questo danno l'impressione di assistere a una esibizione di culturismo musicale, uno sfoggio di muscoli che va troppo spesso a scapito della sostanza musicale.
Foto: Filippo Ferrante
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