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Chick Corea Akoustic Band al Parco della Musica Roma
Chick Corea Akoustic Band
Parco della Musica
Roma Jazz Festival
14.7.2018
La straordinaria carriera di Chick Corea è una delle più lunghe e variegate di tutto il jazz moderno; appare pertanto naturale che periodicamente il pianista si dedichi a far rivivere alcuni dei suoi vecchi progetti, in compagnia di musicisti che come lui hanno lasciato il segno nella storia del jazz degli ultimi 50 anni. Lo scorso anno lo abbiamo visto insieme al batterista Steve Gadd in un sestetto che rinverdiva la loro collaborazione degli anni '70, quest'anno è toccato alla Brownman Akoustic Trio, uno dei tanti trii che ha fondato e diretto. Completano la formazione il contrabbassista John Patitucci e il batterista Dave Weckl, che erano due giovani praticamente sconosciuti all'inizio della loro collaborazione con Corea nel 1985, prima di essere lanciati verso una fulgida carriera internazionale. Il loro trio nacque inizialmente in versione elettrica, e fu il nucleo su cui si sviluppò la Elektric Band negli anni immediatamente successivi. L'Akoustic Band rappresentò la controparte acustica di quel gruppo, più legata allo spirito jazzistico, priva di tutti quegli orpelli elettronici che facevano storcere il naso ai puristi, sempre duramente critici nei confronti di tutti i gruppi elettrici di Corea.
Il concerto di Roma, prima delle tre date italiane in programma, fa parte del tour europeo estivo intrapreso dal trio, e si apre con "Morning Sprite," preso dal repertorio originale del gruppo, seguito da "A Japanese Waltse," inciso a suo tempo con la Elektric Band. Non sembra siano passati trent'anni, i tre suonano ancora con grande energia e un virtuosismo che appare perfettamente naturale, proponendo un jazz brioso e spumeggiante, senza tempo. Si prosegue poi con un vecchio standard, "That Old Feeling," e una composizione di Duke Ellington, "In a Sentimental Mood," impreziosita da un assolo di Patitucci con l'archetto.
Ora che si sono scaldati, i tre possono passare a cose più complicate come "Lifeline," un brano scritto dal pianista per il suo New Trio con Jeff Ballard e Avishai Cohen, e presentato da Weckl come "impegnativo" ("challenging"). La composizione riassume nel suo svolgimento tutti i trii di Corea, dal primo e più sperimentale con Miroslav Vitous e Roy Haynes agli ultimi con Brian Blade e Christian McBride, e rappresenta un vero tour de force per il batterista, che comunue se la cava egregiamente. Si continua con una sonata di Domenico Scarlatti, un compositore molto apprezzato da Corea e da lui riproposto spesso dal vivo in diversi contesti musicali (anche in duo col banjoista Bela Fleck), cui segue un altro classico standard, "You and the Night and the Music." Per il bis finale, l'immancabile "Spain" preceduta dalla consueta introduzione (l'Adagio dal Concierto de Aranjuez di Joaquin Rodrigo), in quello che è presentato come un nuovo arrangiamento (ma non abbiamo notato grandi differenze con le versioni note, incluso il coinvolgimento del pubblico a ripetere cantando le frasi musicali proposte da Corea al piano).
Il pianista italoamericano è un monumento vivente del jazz, e ormai da tempo ogni suo concerto va visto in quest'ottica. Inutile aspettarsi grandi innovazioni, o uno sguardo volto al futuro (ma con un passato come il suo, ce n'è veramente bisogno?). La sua parte nella storia del jazz è già stata scritta, vano pretendere da lui improbabili aggiornamenti. Accontentiamoci di sentirlo suonare come ha fatto per oltre mezzo secolo, esibendo sempre quella vitalità e quel gusto per il divertimento che non gli sono mai mancati. La sua grande cultura pianistica sintetizza tutta la storia dello strumento, senza limitarsi all'ambito del jazz; ogni sua esibizione è una lezione di musica, e non solo di tecnica. Di questi tempi, non è poco.
Foto (di repertorio): Luca Brunetti.
Parco della Musica
Roma Jazz Festival
14.7.2018
La straordinaria carriera di Chick Corea è una delle più lunghe e variegate di tutto il jazz moderno; appare pertanto naturale che periodicamente il pianista si dedichi a far rivivere alcuni dei suoi vecchi progetti, in compagnia di musicisti che come lui hanno lasciato il segno nella storia del jazz degli ultimi 50 anni. Lo scorso anno lo abbiamo visto insieme al batterista Steve Gadd in un sestetto che rinverdiva la loro collaborazione degli anni '70, quest'anno è toccato alla Brownman Akoustic Trio, uno dei tanti trii che ha fondato e diretto. Completano la formazione il contrabbassista John Patitucci e il batterista Dave Weckl, che erano due giovani praticamente sconosciuti all'inizio della loro collaborazione con Corea nel 1985, prima di essere lanciati verso una fulgida carriera internazionale. Il loro trio nacque inizialmente in versione elettrica, e fu il nucleo su cui si sviluppò la Elektric Band negli anni immediatamente successivi. L'Akoustic Band rappresentò la controparte acustica di quel gruppo, più legata allo spirito jazzistico, priva di tutti quegli orpelli elettronici che facevano storcere il naso ai puristi, sempre duramente critici nei confronti di tutti i gruppi elettrici di Corea.
Il concerto di Roma, prima delle tre date italiane in programma, fa parte del tour europeo estivo intrapreso dal trio, e si apre con "Morning Sprite," preso dal repertorio originale del gruppo, seguito da "A Japanese Waltse," inciso a suo tempo con la Elektric Band. Non sembra siano passati trent'anni, i tre suonano ancora con grande energia e un virtuosismo che appare perfettamente naturale, proponendo un jazz brioso e spumeggiante, senza tempo. Si prosegue poi con un vecchio standard, "That Old Feeling," e una composizione di Duke Ellington, "In a Sentimental Mood," impreziosita da un assolo di Patitucci con l'archetto.
Ora che si sono scaldati, i tre possono passare a cose più complicate come "Lifeline," un brano scritto dal pianista per il suo New Trio con Jeff Ballard e Avishai Cohen, e presentato da Weckl come "impegnativo" ("challenging"). La composizione riassume nel suo svolgimento tutti i trii di Corea, dal primo e più sperimentale con Miroslav Vitous e Roy Haynes agli ultimi con Brian Blade e Christian McBride, e rappresenta un vero tour de force per il batterista, che comunue se la cava egregiamente. Si continua con una sonata di Domenico Scarlatti, un compositore molto apprezzato da Corea e da lui riproposto spesso dal vivo in diversi contesti musicali (anche in duo col banjoista Bela Fleck), cui segue un altro classico standard, "You and the Night and the Music." Per il bis finale, l'immancabile "Spain" preceduta dalla consueta introduzione (l'Adagio dal Concierto de Aranjuez di Joaquin Rodrigo), in quello che è presentato come un nuovo arrangiamento (ma non abbiamo notato grandi differenze con le versioni note, incluso il coinvolgimento del pubblico a ripetere cantando le frasi musicali proposte da Corea al piano).
Il pianista italoamericano è un monumento vivente del jazz, e ormai da tempo ogni suo concerto va visto in quest'ottica. Inutile aspettarsi grandi innovazioni, o uno sguardo volto al futuro (ma con un passato come il suo, ce n'è veramente bisogno?). La sua parte nella storia del jazz è già stata scritta, vano pretendere da lui improbabili aggiornamenti. Accontentiamoci di sentirlo suonare come ha fatto per oltre mezzo secolo, esibendo sempre quella vitalità e quel gusto per il divertimento che non gli sono mai mancati. La sua grande cultura pianistica sintetizza tutta la storia dello strumento, senza limitarsi all'ambito del jazz; ogni sua esibizione è una lezione di musica, e non solo di tecnica. Di questi tempi, non è poco.
Foto (di repertorio): Luca Brunetti.
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