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Chick Corea Akoustic Band a Firenze
Chick Corea Akoustic Band
MusArt Festival
Piazza SS. Annunziata
Firenze
23.7.2018
Era il 1989 quando uscì Akoustic Band, primo album del trio di Chick Corea, con gli allora piuttosto giovani John Patitucci al contrabbasso e Dave Weckl alla batteria. Una formazione che interpretava il piano trio in modo tutto sommato tradizionale, donandogli però un brio e una ricchezza di dettagli possibili solo ad artisti di livello superiore quale i tre già allora erano.
Dopo quasi trent'anni quella formazione è ancora in vita e, con i suoi protagonisti (incluso il settantasettenne leader) in forma smagliante, si è presentata nel meraviglioso scenario di Piazza SS. Annunziata di Firenze per un concerto inserito nel composito programma del MusArt Festival.
La cifra della formazione è cambiata tanto poco da avere in programma due dei brani presenti nel disco di allora, una lettura lieve e articolata dell'ellingtoniana "Sophisticated Lady" e la conclusiva "Spain," introdotta da una citazione del Concerto d'Aranjuez di Rodrigo nel corso della quale, purtroppo, Corea non si è sottratto al duetto con il pubblico, stucchevole pratica un po' gigiona che farebbe piacere veder evitare da artisti di tale livello. Ma, più in generale, non è cambiato il modo in cui i tre affrontano i brani: tempi medio-veloci, interazione paritetica, fraseggi estremamente articolati da parte del pianoforte, ma anche del contrabbasso, beat a cavallo tra ritmicità jazzistica e leggerezza pop. Il tutto all'insegna di un divertito entusiasmo e di una grande maestria, peraltro mai ostentata.
Quel che forse i trent'anni hanno lasciato in più è oltre una ancor maggiore padronanza individuale degli strumenti un'intesa impressionante: i tre si scambiavano le parti con immediatezza e naturalezza disarmanti, persino nel corso di frasi e ritornelli. Cosa evidente in particolar modo nel rapporto tra Corea e Patitucci, che spesso si inseriva nelle frasi del pianista, ora completandole, ora raddoppiandole, con effetti gustosissimi.
Patitucci, peraltro, è apparso sublime in ogni intervento: nei suoi assoli ha infatti mostrato un suono eccellente, una notevole liricità e un dettaglio di fraseggio davvero difficile da riscontrare in altri strumentisti. Un contrabbassista ai vertici della categoria a livello mondiale, forse trascurato, nonostante la sua notorietà.
I momenti più alti di un concerto tutto di notevole livello sono forse stati "Life Line," brano di Corea anch'esso risalente a molti anni orsono e che, per la sua struttura composita e la raffinatezza del tema, ha permesso ai tre di esprimere al meglio le loro qualità, e la suite composta da una introduzione tratta da Scarlatti, da un'improvvisazione e dallo standard "You and the Night and the Music," la quale per la sua varietà e per le invenzioni di cui era costellata ha permesso di esplorare un largo spettro di possibilità espressive, sporgendosi anche fuori dall'identità tutto sommato tradizionale della musica del trio.
Ottimo concerto, dunque, che non ha deluso un pubblico amplissimo (chissà se grazie al richiamo del "nome" o al contesto globalmente non jazzistico del festival?) che ha applaudito, ha inneggiato, ha richiesto bis. Buone notizie per il jazz, non importa che si trattasse di musica non particolarmente innovativa.
Foto: Luca Brunetti.
MusArt Festival
Piazza SS. Annunziata
Firenze
23.7.2018
Era il 1989 quando uscì Akoustic Band, primo album del trio di Chick Corea, con gli allora piuttosto giovani John Patitucci al contrabbasso e Dave Weckl alla batteria. Una formazione che interpretava il piano trio in modo tutto sommato tradizionale, donandogli però un brio e una ricchezza di dettagli possibili solo ad artisti di livello superiore quale i tre già allora erano.
Dopo quasi trent'anni quella formazione è ancora in vita e, con i suoi protagonisti (incluso il settantasettenne leader) in forma smagliante, si è presentata nel meraviglioso scenario di Piazza SS. Annunziata di Firenze per un concerto inserito nel composito programma del MusArt Festival.
La cifra della formazione è cambiata tanto poco da avere in programma due dei brani presenti nel disco di allora, una lettura lieve e articolata dell'ellingtoniana "Sophisticated Lady" e la conclusiva "Spain," introdotta da una citazione del Concerto d'Aranjuez di Rodrigo nel corso della quale, purtroppo, Corea non si è sottratto al duetto con il pubblico, stucchevole pratica un po' gigiona che farebbe piacere veder evitare da artisti di tale livello. Ma, più in generale, non è cambiato il modo in cui i tre affrontano i brani: tempi medio-veloci, interazione paritetica, fraseggi estremamente articolati da parte del pianoforte, ma anche del contrabbasso, beat a cavallo tra ritmicità jazzistica e leggerezza pop. Il tutto all'insegna di un divertito entusiasmo e di una grande maestria, peraltro mai ostentata.
Quel che forse i trent'anni hanno lasciato in più è oltre una ancor maggiore padronanza individuale degli strumenti un'intesa impressionante: i tre si scambiavano le parti con immediatezza e naturalezza disarmanti, persino nel corso di frasi e ritornelli. Cosa evidente in particolar modo nel rapporto tra Corea e Patitucci, che spesso si inseriva nelle frasi del pianista, ora completandole, ora raddoppiandole, con effetti gustosissimi.
Patitucci, peraltro, è apparso sublime in ogni intervento: nei suoi assoli ha infatti mostrato un suono eccellente, una notevole liricità e un dettaglio di fraseggio davvero difficile da riscontrare in altri strumentisti. Un contrabbassista ai vertici della categoria a livello mondiale, forse trascurato, nonostante la sua notorietà.
I momenti più alti di un concerto tutto di notevole livello sono forse stati "Life Line," brano di Corea anch'esso risalente a molti anni orsono e che, per la sua struttura composita e la raffinatezza del tema, ha permesso ai tre di esprimere al meglio le loro qualità, e la suite composta da una introduzione tratta da Scarlatti, da un'improvvisazione e dallo standard "You and the Night and the Music," la quale per la sua varietà e per le invenzioni di cui era costellata ha permesso di esplorare un largo spettro di possibilità espressive, sporgendosi anche fuori dall'identità tutto sommato tradizionale della musica del trio.
Ottimo concerto, dunque, che non ha deluso un pubblico amplissimo (chissà se grazie al richiamo del "nome" o al contesto globalmente non jazzistico del festival?) che ha applaudito, ha inneggiato, ha richiesto bis. Buone notizie per il jazz, non importa che si trattasse di musica non particolarmente innovativa.
Foto: Luca Brunetti.