Il trentatreenne leccese Stefano Luigi Mangia si è andato negli ultimi tempi affermando come una delle voci maschili più interessanti del panorama nazionale di ricerca. In questo lavoro monografico su John Cage, gli è prezioso sodale il corregionale Gianni Lenoci, che le note di copertina accreditano genericamente all'elettronica, mentre è tutto un florilegio di suoni e rumori vari quello che si dischiude in particolare nel brano più ampio del lotto, "Four6" (mezz'ora, metà disco), vale a dire il primo dei tre (consecutivi) che ne prevedono la presenza.
Qui è per contro Mangia a farsi largamente da parte (a meno che anche per lui la pura e semplice indicazione "voce" non sia da intendersi molto elasticamente), dopo aver posto la propria vocalità al centro dei dieci minuti dell'iniziale "Aria" (che Cage scrisse per Cathy Berberian), cui, a specchio, si contrappone il conclusivo (e molto più breve) "Experiences No.2" (entrambi solitari, come si sarà capito).
In ognuno dei cinque episodi dell'album un ruolo centrale giocacom'era del resto ovvio attendersiun'icona assoluta dell'universo cageano come il silenzio (è il caso di ricordare il celeberrimo "4:33"?), mentre il gesto creativo in sécome per i tagli di Fontana o la fontana-orinatoio di Duchampconta alla fin fine ben più degli esiti formali in quanto tali. Che sono, fisiologicamente, alterni. Inappuntabile, per contro, il disegno complessivo.
Track Listing
Aria [solo (Milano, 1958)]; Four6 [for four players (New York City, 1992)]; Solo for voice no. 17 [from Songbooks I (Stony Point and NYC, 1970)]; Solo for voice no. 72 [from Songbooks II (Stony Point and NYC, 1970)]; Experiences No. 2 [solo (NYC, 1948)].
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Ecumenico ma (abbastanza) esclusivo, non sopporta la musica – e l’arte in generale – di routine, rassicurante e dozzinale, preferendo, se proprio deve, il brutto all’inutile. Un ideale spaccato dei suoi amori musicali (che non si limitano al jazz; e più o