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Vijay Iyer Trio: Break Stuff
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Dopo l'escursione nel terreno minato del quartetto d'archi e delle ambientazioni cameristiche del precedente lavoro per ECM (Mutations), risolta al solito brillantemente, Vijay Iyer ritorna allo storico trio acustico, con Stephan Crump e Marcus Gilmore, attivo da undici anni, qui al debutto per la prestigiosa etichetta bavarese. E lo fa licenziando il solito grande album, aggiungendo ulteriori tasselli ad una personale interpretazione del piano trio che sembra aver raggiunto in Break Stuff una possibile quadratura del cerchio.
I brani paiono per la maggior parte comparire dal nulla, senza preavviso, senza canoniche introduzioni, e nel nulla scompaiono, assorbiti da un spazio che ne ingigantisce forme, sviluppi e sostanza. La struttura delle composizioni, anche quando apparentemente rigida -Iyer inserisce qua e là le reiterazioni ossessive tipiche della musica carnatica -per un' alchemica combinazione di fattori risulta indefinita, fluttuante, aperta a molteplici soluzioni, svincolata dalla forza di gravità della routine e di scontate evoluzioni.
Ma sono la concezione del silenzio e l'uso delle pause a caratterizzare l'incisione, elementi semantici che fungono da catalizzatori di pensieri e di risorse. Attorno a queste assenze prendono forma delle vere e proprie agorà creative nelle quali i musicisti rispondono a sollecitazioni non previste, rielaborano stimoli e sviluppano strategie improvvisative di impensabile vitalità ritmica. Il tocco di Iyer diventa poi il valore aggiunto di una formazione compatta, dinamica, sofisticata, imprevedibile. Naturalmente camaleontico, riveste secondo necessità le esecuzioni di sonorità concertistiche, di coloriture scintillanti vicine al Fender Rhodes o di secche dissonanze, mantenendo viva e riconoscibile una cifra stilistica del tutto originale.
Così anche i tre standard presenti in Break Stuff risultano funzionali ad una visione musicale perennemente proiettata in avanti e consapevolmente ancorata ai maestri. In "Work," ad esempio, Iyer aggiunge essenzialità ad essenzialità, rispetta le traiettorie oblique care a Thelonious Monk, ne conserva gli elementi oscuri e misteriosi ma fa emergere una vena di delicato swing che crea un riuscito gioco di contrasti con gli umori della composizione. "Blood Count," ultimo brano uscito dalla penna di Billy Strayhorn, è un piano solo di rara intensità, commovente, minimale, spogliato da qualsiasi orpello di retorica, ma tremendamente evocativo. Meraviglioso poi è lo svelamento di "Countdown" -il brano più corto (poco più di due minuti) del seminale Giant Steps di John Coltrane -con il trio che, dopo aggrovigliati percorsi melodici e frammentate scansioni ritmiche, fa emergere maestosa una sequenza di accordi entrata nella storia del jazz.
I brani paiono per la maggior parte comparire dal nulla, senza preavviso, senza canoniche introduzioni, e nel nulla scompaiono, assorbiti da un spazio che ne ingigantisce forme, sviluppi e sostanza. La struttura delle composizioni, anche quando apparentemente rigida -Iyer inserisce qua e là le reiterazioni ossessive tipiche della musica carnatica -per un' alchemica combinazione di fattori risulta indefinita, fluttuante, aperta a molteplici soluzioni, svincolata dalla forza di gravità della routine e di scontate evoluzioni.
Ma sono la concezione del silenzio e l'uso delle pause a caratterizzare l'incisione, elementi semantici che fungono da catalizzatori di pensieri e di risorse. Attorno a queste assenze prendono forma delle vere e proprie agorà creative nelle quali i musicisti rispondono a sollecitazioni non previste, rielaborano stimoli e sviluppano strategie improvvisative di impensabile vitalità ritmica. Il tocco di Iyer diventa poi il valore aggiunto di una formazione compatta, dinamica, sofisticata, imprevedibile. Naturalmente camaleontico, riveste secondo necessità le esecuzioni di sonorità concertistiche, di coloriture scintillanti vicine al Fender Rhodes o di secche dissonanze, mantenendo viva e riconoscibile una cifra stilistica del tutto originale.
Così anche i tre standard presenti in Break Stuff risultano funzionali ad una visione musicale perennemente proiettata in avanti e consapevolmente ancorata ai maestri. In "Work," ad esempio, Iyer aggiunge essenzialità ad essenzialità, rispetta le traiettorie oblique care a Thelonious Monk, ne conserva gli elementi oscuri e misteriosi ma fa emergere una vena di delicato swing che crea un riuscito gioco di contrasti con gli umori della composizione. "Blood Count," ultimo brano uscito dalla penna di Billy Strayhorn, è un piano solo di rara intensità, commovente, minimale, spogliato da qualsiasi orpello di retorica, ma tremendamente evocativo. Meraviglioso poi è lo svelamento di "Countdown" -il brano più corto (poco più di due minuti) del seminale Giant Steps di John Coltrane -con il trio che, dopo aggrovigliati percorsi melodici e frammentate scansioni ritmiche, fa emergere maestosa una sequenza di accordi entrata nella storia del jazz.
Track Listing
Starlings; Chorale; Diptych; Hood; Work; Taking Flight; Blood Count; Break Stuff; Mystery Woman; Geese; Countdown; Wrens.
Personnel
Vijay Iyer
pianoVijay Iyer: piano; Stephan Crump: double bass; Marcus Gilmore: drums.
Album information
Title: Break Stuff | Year Released: 2015 | Record Label: ECM Records
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