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Brda Contemporary Music Festival 2019

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Brda Contemporary Music Festival
Šmartno (Slovenia)
Casa della Cultura, Chiesa di San Martino
12-14.09.2019

Il minuscolo villaggio di Šmartno (San Martino) sorge sulla sommità di un'altura del Brda sloveno, terra ricca di ottimi vini, gemella del vicinissimo Collio friulano. Qui si svolge da nove anni il Brda Contemporary Music Festival, per iniziativa del vivace, attivissimo batterista Zlatko Kaučič. Il borgo fortificato è avvolto ancora dalle mura trecentesche, con sei basse torri cilindriche e un campanile merlato che svetta nel centro. Oggi, adeguatamente curato e ristrutturato, è baluardo non solo della protezione di architetture difensive e abitative preziose, ma attraverso il festival si pone come uno tra i luoghi di attenzione a un approccio musicale che sempre più incontra difficoltà nella propria diffusione e nella considerazione, in un mondo votato alla superficialità, all'omologazione.

Il pubblico di questa forma artistica e creativa, sebbene affezionato e attrezzato, si assottiglia sempre più e vede la fascia d'età media alzarsi in modo preoccupante. Nonostante questo, molti giovani e giovanissimi restano interessati alla pratica e al fascino dell'improvvisazione, come dimostrato dal gruppo folto che ha partecipato al consueto workshop di tre giorni, tenuto in quest'occasione da Gerry Hemingway. Gli altri musicisti di caratura internazionale presenti nel cartellone di quest'anno erano il violinista britannico (nato in Africa) Philipp Wachsmann e il sassofonista di origine brasiliana Ivo Perelman. Quest'ultimo avrebbe dovuto proporre un duo con lo stesso Kaučič alla batteria, ma la sua rinuncia a causa di problemi alla bocca ha portato a Šmartno il quarantaseienne sassofonista norvegese Torben Snekkestad, poco conosciuto da noi ma da molti anni attivo e apprezzato sulla scena danese.

Un duo inedito dunque, che ha aperto la prima serata del festival, dopo una performance di danza e contrabbasso alla Galleria d'Arte del villaggio, e dopo il concerto in solo di Wachsmann, nella chiesa di San Martino. La performance coreografico- musicale, con il corredo delle foto su grandi pannelli di Nada Žgank (riguardante un'altra performance all'aperto degli stessi artisti), ha visto la danzatrice Andreja Podrzavnik e il contrabbassista Jošt Drašler in buona sintonia tra delicata gestualità e utilizzo ad ampio raggio timbrico e ritmico dello strumento.

Il solo di Wachsmann ha sfruttato con sapienza l'accentuato riverbero della chiesa, esordendo con suoni sparsi e distanziati, che alternavano note singole e frasi distese, attingendo poi spontaneamente al vasto background del musicista: dalle esperienze con la musica contemporanea, iniziate con lo studio presso Nadia Boulanger nella Parigi degli anni Sessanta, a quelle con gli improvvisatori storici della scena europea, tra cui Derek Bailey, Evan Parker, Barry Guy. L'elettronica, usata da Wachsmann in modo accorto, personale e progressivamente più denso, ha aggiunto riverberi differenti a quelli naturali dell'ambiente, creando grappoli di note fluttuanti. All'interno di un notevole controllo costruttivo e narrativo dell'improvvisazione, non mancavano i cenni a modalità e motivi di carattere popolare, in uno sviluppo spontaneo, quasi confidenziale nella propria dimensione rilassata, profonda.

Il duo di Kaučič e Snekkestad ha funzionato con la spontaneità del primo incontro. I musicisti si sanno ascoltare, reagiscono con fantasia ai reciproci stimoli. Zlatko realizzando densi incroci ritmici e ricchi fondali timbrici, assecondando i contrasti dinamici del tenore, talora scuro e granuloso, e del soprano, che tende ai timbri secchi e metallici. Il batterista sloveno ha confermato la propria versatilità e sensibilità; Snekkestad ha mostrato di conoscere bene e di saper mescolare con gusto personale tanti stimoli provenienti dalla scena creativa europea, con riferimenti a Evan Parker, ma pure al primo Garbarek. Ambedue hanno dimostrato come possa ben funzionare la sfaccettata sintonia dell'improvvisazione libera.

La performance in solo di Hemingway, che ha aperto la seconda serata alla Casa della Cultura, era impostata su coordinate affatto diverse. Si tratta di un lavoro che affonda le radici nelle realizzazioni di Solo Works, registrato nel 1981, di Acoustic Solo Works 1983-94 e di Electro-Acoustic Solo Works 1984-95 e che sviluppa tali premesse con coerenza. Le basi di "Black Wind" del 1981, che scandagliava le risonanze dei piatti e successivamente l'innesto di poliritmie africane, si ritrovano ampliate nella lunga introduzione che esplora ed elabora con l'elettronica il suono del piatto, per poi passare alle poliritmie sulle pelli e sulle parti metalliche dei tamburi.

Un solo costruito sul rapporto stretto tra parti preordinate meticolosamente e parti improvvisate con grande controllo, ma pure con una concentrazione esecutiva che sfiora la trance: in questo senso, ricordiamo l'impostazione e il titolo dei brani del 1983 "Trance Tracks" e "Trance Tracks 1." In questo materiale, si innestano una breve narrazione poetica, con funzione di incantamento e rilassamento, un brano dedicato al compianto Rashied Ali, che raggiunge un intenso culmine emotivo, e uno elaborato con un video di Beth Warshafsky, con cui il batterista lavora da molti anni. Il finale sottolinea la propensione narrativa di Hemingway, con un delizioso brano cantato, "900 Miles From My Home," con arrangiamento di suoni sintetizzati delizioso e ricco di sorprese.

Il quartetto di sax del sopranista Luciano Caruso - Luigi Vitale 4 Links N° 3 -Will, che chiude la serata, è ben coeso e piacevole, anche se la troppa insistenza sugli arrangiamenti appesantisce una musica che potrebbe vivacizzarsi, alternando momenti più sciolti e arditi. Allo stesso modo, manca il coraggio del rischio e del contrasto dinamico al trio di giovani con lo sloveno Vid Drašler (batteria) e i britannici Tom Jackson (clarinetto) e Daniel Thompson (chitarra acustica).

Le serata conclusiva si focalizza sulla componente femminile, ancora piuttosto minoritaria nel jazz, seppure con tante personalità di notevole caratura. Si apre con la recitazione di poesie di Novella Cantarutti in friulano e di Veronika Dintinjana in sloveno: un'occasione di incontro tra forme artistiche e culture diverse, con la recitazione di Aida Talliente e Veronika Dintinjana e l'interazione musicale di Flavio Zanuttini alla tromba e Ingrid Mačus al pianoforte.

La pianista francese Sophie Agnel è colei che con maggiore decisione presenta una musica basata sulla varietà e sulla sorpresa rumoristica, anche se la produzione di situazioni sonore non è certo nuova, con un assalto al pianoforte già praticato ampiamente nella musica contemporanea e nell'improvvisazione creativa. Il suo lavoro sulla tastiera e soprattutto dentro il corpo dello strumento è però sorretto da convinzione ed energia.
Il trio con la veemente sassofonista austriaca Tanja Feichmair, il contrabbassista Tomaz Grom e il batterista Urban Kušar, entrambi sloveni, è ancora un inedito, caldeggiato dal direttore artistico del festival. La cosa funziona per energia e convinzione, ma i musicisti sono più concentrati sul proprio lavoro che sul risultato complessivo e tutto si colloca sulla traccia del già sentito. Forse non è esattamente questo lo spirito che dovrebbe sostenere e spingere l'improvvisazione verso nuove sfide.

La conclusione è affidata alla classe di allievi che per tre giorni ha lavorato con Hemingway: ragazzi giovani, che hanno recepito con entusiasmo la "lezione" del maestro. Certo, la performance è un tantino dilatata, si perde nella ripetizione.
Al di là dei risultati artistici, il valore dell'operazione sta nella convinzione con cui è sostenuta da Kaučič, nell'intenzione di mantenere uno sguardo attento sull'improvvisazione e i suoi sviluppi da un lato, sull'incontro tra musicisti di nazioni diverse dall'altro. Senza dimenticare la formazione dei giovani, l'occasione a loro offerta di un'esperienza significativa, di fronte a un pubblico selezionato. Non è poca cosa.

Foto: Iztok Klopotec

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