Taylor Ho Bynum - John Hébert - Gerald Cleaver: Book of Three

La musica non si concentra su materiale tematico ma evolve da idee ritmico-timbriche, spesso scure, drammatiche. C'è un evidente legame con la vecchia scuola chicagoana, come nella magnifica apertura di "White Birch": note lunghe della cornetta sordinata, spazi estesi, contrasti di percussioni, autorevole intervento di Hébert. L'ombra è quella di Wadada Leo Smith.

Taylor Ho-Bynum è tra i trombettisti più capaci della sua generazione, in grado di svettare con fraseggi da giocoliere, di cavar fuori dagli ottoni sonorità aspre, dolcissime o sgradevoli. Usa cornetta, flicorno, tromba e un ibrido chiamato trumpbone. In queste pagine privilegia il rapporto suono-silenzio, e in questo è debitore di Bill Dixon, come nei due episodi di "Sevens" e nella lunga "Air Bear".

Hébert si muove a proprio agio sia nella tradizione jazzistica (ricordiamo la sua militanza a fianco dell'ultimo Andrew Hill) che nell'astrazione più criptica. Cleaver lo stesso: qui mette da parte le scansioni brillanti per esprimersi di più in tonalità sorde, trattenute, però di notevole mobilità, frutto di capacità d'ascolto.

Un ruolo per lacerti tematici si trova nella centrale "Meat Cleaver," sempre aperta ma con motivi ciclici, che Ho-Bynum porge con dolente sensibilità. L'insieme forse soffre di qualche ripetizione e l'ascoltatore di lunga data non fatica a trovare codici antecedenti che fanno capolino con troppa frequenza.

Comunque stimolante.

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