Black Hole Quartet: Black Ol' Blues

Prendiamo la title track, brano di apertura del disco. Inizio coltraniano con il tenore di Cavallanti profondo, meditativo, spirituale. Poi un breve silenzio introduce la chitarra, dapprima gentile e guardinga, su di un ipnotico riff con il pathos che raggiunge progressivamente livelli di guardia. Ma un improvviso e inaspettato cambio di registro spezza la tensione grazie a ritmi funky e all'energia della sei corde che si allontana decisa dai canoni jazzistici.

Questo felice connubio di acustico ed elettrico, non come semplice accostamento timbrico ma come ricerca, sviluppo improvvisativo che nasce da pause, distorsioni, cambiamenti di umore, è la spina dorsale di Black Ol' Blues. Ci si trova così piacevolmente in balia di un vagabondaggio sonoro che attraversa pregiudiziali barriere stilistiche, si infiltra in territori poco ortodossi, si sofferma in luoghi di visionaria bellezza e suggestione, esalta intimamente un salutare senso di libertà.

Il disco si chiude con "Alto Max," splendido, vibrante ricordo di Massimo Urbani, uno dei più viscerali, genuini e geniali protagonisti della musica chiamata jazz che il nostro paese abbia mai avuto.

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