L'Enfance Rouge: Bar-Bari

Bar-Bari racconta storie di profughi e migranti, storie di persone, anzitutto. Persone che scappano spesso da una guerra alla quale non hanno partecipato da soldati.

Come da tradizione, il titolo di questo ottavo album della band italo-francese associa il nome di due città (Bar, Montenegro; Bari, Puglia) disegnando subito nella mente una linea tratteggiata, metafora e suggestione di un percorso.

Percorso iniziato e mai completato, il viaggio muta la geografia stessa dei luoghi, in una dialettica costante tra passato/presente/futuro. Le profezie pasoliniane ("Alì dagli occhi azzurri"), la amata/odiata Europa (di cosa di tratta quando si parla di Europa? Di una nuova colonizzazione, di colonizzare noi stessi?) e il sogno anarchico di Patrie senza Stati.

E' il rock che discute di questi temi, un rock semplice che è quasi diventato già storia della musica europea, musica popolare di chi è fortemente incazzato, di chi non riesce a considerare l'immigrazione come una statistica.

Il suono è sporco, sporco come le scarpe e gli oggetti di un viaggio difficile, l'Enfance Rouge sono convinti che una precisa scelta estetica sia coerenza del loro impegno artistico.

Il rock diventa così un mezzo di espressione i cui elementi sono scelti con cura, con intelligenza, le cui chitarre distorte si esprimono lontane da loro stesse ("Jadransko More"), la cui potenza accompagna la violenza dei racconti, il grido della disperazione ("Nada. Nothing. Niente. Gar Nicht. Rien"). Su questa strada il rock diventa musica per tutti, nel senso che dallo squatter, l'impiegato o il dirigente d'azienda, tutti possono trovare dentro a queste tracce qualcosa di nuovo, non ancora ascoltato o visto alla televisione.

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