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Andrea Rossi Andrea

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L'utilizzo di più contesti operativi è una necessità profonda che ho avvertito e praticato fin dagli esordi, anche come conseguenza di una forte inquietudine.
Artista visivo (pittore, scultore, fotografo, performer) e musicista (bassista elettrico, compositore), perfezionatosi in conservatorio, al Berklee College di Boston e alla Manhattan School di New York, laureato al DAMS di Bologna, Andrea Rossi Andrea, vicentino, esordisce "sul campo" nel 1985, peraltro con già alle spalle diversi anni di elaborazione di opere caratterizzate dall'utilizzo della cosiddetta "antenna a ombrello" Ground Plane, dispositivo ricetrasmittente a cui ricorre peraltro con fini prettamente etico-estetici.

Il suo nome inizia a circolare con una certa insistenza col nuovo Millennio, in particolare a seguito del suo terzo CD, Textmeldg.blue. Con lo stesso trio (Luca Bonvini e Tiziano Tononi), all'inizio del 2007 esce 27min Tintoretto, che come suggerisce il titolo (e come già il lavoro precedente) ha la particolarità di una durata insolitamente contenuta. In un'epoca - spesso - di logorrea musicale, anche questo è un bel segnale di originalità, di non appartenenza al coro.

Nel 2008 segue un nuovo CD, Baudrillard est mort, mentre è di questi ultimi mesi la pubblicazione, praticamente simultanea, di due DVD, da cui trae spunto l'intervista che segue.

All About Jazz: I due DVD appena usciti dovrebbero essere i tuoi primi, o sbaglio?

Andrea Rossi Andrea: Sì, con tempi e modi testardamente perseguiti. Sono due DVD Andrea Rossi Andrea Ground Plane Antenna. Il primo, Lišnij celovék [Ti ricordi dello S-meter dei baracchini?], pubblicato dalla Galleria Neon>Campobase di Bologna, nasce dalla mia recente collaborazione a una stratificata mostra di arte relazionale dislocata in quattro sedi della città di Reggio Emilia, assieme all'artista visivo Giordano Montorsi, lo storico dell'architettura Alberto Giorgio Cassani, il critico d'arte Edoardo Di Mauro, il filosofo Romano Gasparotti e in stretto rapporto con il Comune di Reggio nella persona dell'Assessore alla Cultura e Università Giovanni Catellani e della Direttrice dei Musei Civici Elisabetta Farioli. Si è trattato di un'esperienza veramente entusiasmante, di cui il DVD allegato al catalogo dà saggio, e per la quale vorrei rivolgere a tutti un ringraziamento non di circostanza, in un momento di grave crisi per la cultura come quello attuale.

Il secondo DVD, ¿A cuàntas paradas de aquì?, è stato invece pubblicato dalla Splasc(H) Records e si snoda attraverso una serie di eventi con alcuni musicisti da tempo coinvolti a vario titolo nel succitato progetto Ground Plane Antenna: Daniele Cavallanti, Stefano Pastor, Tiziano Tononi, Stefano Deagatone. Sono soddisfatto, inoltre, di aver documentato una testimonianza della mia attività svolta in passato con l'artista visivo Emilio Fantin.

AAJ: ¿A cuàntas paradas de aquì? recupera varie esperienze, su un ampio spettro temporale: vuoi riassumerle, magari con qualche nota aggiuntiva?

A.R.A.: Ci sono in effetti materiali del 1997, 2006, 2007 e 2008 estratti da luoghi diversi: una libreria specializzata, due festival jazz, un centro sociale/culturale, una galleria di video arte e tempo libero, un'istituzione accademica, una galleria d'arte visiva durante una fiera mercato. Ho montato il tutto secondo un unicum intitolato Lo-fi videos from Internet. Come molto spesso nei miei lavori, il piano dell'opera è articolato su relazioni nelle quali titoli delle singole parti, musica, confezione grafica ed esperienze esistenziali si legano strettamente, rivestendo un'importanza centrale per la comprensione dell'opera, almeno così come io l'ho concepita. Mi piacerebbe che ognuno approcciasse il lavoro in libertà, ma tenendo presenti questi dati.

AAJ: La qualità di ripresa è palesemente amatoriale, si direbbe per scelta: su quali basi?

A.R.A.: L'uso metalinguistico di un certo lo-fi è un elemento leggibile all'interno delle ragioni dell'opera. Didascalizzarlo, per me, sarebbe inutile. Anzi: dannoso. Almeno qui, adesso. Posso sicuramente dire che fascinazioni e possibilità del lo-fi, modulate nel mio specifico percorso, si sono rivelate compagne importanti negli anni: penso per esempio al primo CD Ground Plane Antenna, De umbra captanda in urbe, uscito nel 1995 con registrazioni risalenti fino all'86, per gran parte dal vivo e di bassa fedeltà, a cui feci aggiungere un fruscio costante. Il tecnico mi guardava con occhi interrogativi e vagamente allucinati. Fu per me una conferma assai gratificante il giudizio positivo attorno al disco espresso da Giampiero Cane sul "Manifesto". Mi rese davvero felice!

AAJ: Specificatamente come bassista, quali sono stati, negli anni, i tuoi punti di riferimento?

A.R.A.: Di frequente critica e pubblico hanno sottolineato come sia difficile trovare dei bassisti da avvicinarmi stilisticamente. In effetti, quando si parla del mio lavoro, delle sue caratteristiche, influenze di stile o meno, spesso ognuno cita nomi, situazioni, realtà molto differenti fra loro. Una sorta di vertigine della lista o, più prosaicamente, una specie di elenco telefonico. Del resto la mia formazione, il mio modo di operare, la mia stessa poetica, si sostanziano da sempre attraverso esperienze assai composite ed eterodosse.

AAJ: Per il momento lasciamo dunque l'argomento in sospeso. In senso artistico tout court, invece, quindi soprattutto concettualmente, come idea di performance e/o di espressione di sé, a quali esperienze ti senti più vicino, quali, eventualmente, ti hanno segnato? Faccio qualche nome un po' a caso, più che altro come provocazione: Duchamp, Artaud, Fluxus... Fai tu quelli giusti.

A.R.A.: Ciò che mi interessa è muovermi fra più media, linguaggi, contesti, relazioni, ma con un'attitudine - è inevitabile - "postmoderna," anche se non nelle declinazioni del disimpegno spesso caratterizzanti questo termine. Così posso dunque rileggere Duchamp, Artaud, Fluxus o qualsiasi altra realtà: ho sempre creduto di esser stato influenzato da tantissime cose con cui sono venuto in contatto, comprese quelle che non ho amato o a cui mi sono sentito apparentemente estraneo. Penso sia una situazione comune a molti, ma non da tutti riconosciuta. Davvero non intendo sottrarmi al tentativo di definire chiaramente le mie influenze: riesco a parlarne senza troppo disagio in questo modo. Guardo soprattutto, con estrema attenzione, le letture altrui del mio lavoro: probabilmente lo caratterizzano e lo definiscono quanto e più di me.

AAJ: Bene, allora: anche come gioco, quale migliore occasione, ora, per fare qualche nome, iniziando dalla musica in quanto tale...

A.R.A.: D'accordo, sto al gioco. Come primo nome, senza rifletterci troppo, mi viene da dire Robert Schumann. Ammiro da sempre la sua scrittura "policentrica," "sovradeterminata," dove gli io più diversi, in un unico io multiplo, creano un territorio ricchissimo di stratificazioni, di possibilità, di contraddizioni. Il fragile e il forte convivono, le strutture e le loro negazioni anche. Un altro nome è quello di Biber: la seduzione del suo virtuosismo, dell'uso delle scordature, è per me irresistibile. Continuando a ruota libera tra ciò che mi si affaccia, penso a lucidità, coraggio, determinazione, profondità e umorismo di Derek Bailey. Stupefatto e disarmato, a Erik Satie; con commozione ad Albert Ayler. E la serie potrebbe continuare nei secoli dei secoli. Naturalmente gli artisti citati sono per me un esempio di energia artistica, non necessariamente dei modelli "di stile".

AAJ: E su un versante più popolare, magari come memoria iniziale (e iniziatica), infantile/adolescenziale, c'è qualcosa che ti ha segnato in maniera particolare?

A.R.A.: Mi sono alimentato (e continuo a farlo) con dosi massicce di rock di ogni categoria, latitudine e tempo, discorso che potrei tranquillamente allargare alla musica pop, funky, fusion, blues, jazz, folk... In realtà ero curiosissimo di ogni genere, di ogni sottoinsieme, di ogni cosa possibile. Assolutamente senza barriere, onnivoro. Comunque un sogno adolescenziale pervicace era quello di diventare bassista dei Deep Purple...!

AAJ: Veniamo a fenomeni più globali, nel tuo essere artista anche visivo/spaziale, magari proprio nel tuo far coabitare più linguaggi, più mezzi espressivi...

A.R.A.: Nel mio lavoro l'utilizzo globale di più media e contesti operativi è una necessità profonda che ho avvertito e praticato fin dagli esordi, anche come conseguenza, credo, di modi di essere caratterizzati da un'inquietudine forte. L'uso mutuo e focalizzato di più media, performativi, pittorici, fotografici, scenografici, installativi, teatrali, relazionali, eccetera, mi permette, assieme ad altro, di percorrere e avvicinare territori vitali, non troppo affollati.

AAJ: Chiudiamo con gli immancabili progetti che tieni nel fatidico cassetto?

A.R.A.: Sto lavorando con il filosofo Romano Gasparotti e la danzatrice Valentina Moar a un'opera intitolata Irruzione e interruzione di un pensare in opera. Caravaggio, Nitsch, Hendrix forse.... L'esordio è previsto per inizio marzo presso il Museo Hermann Nitsch e la Fondazione Morra di Napoli. Romano, autore del testo, sarà la voce filosofica, Valentina, autrice delle coreografie, danzerà, mentre io eseguirò mie composizioni scritte per l'occasione e curerò la scenografia. L'opera s'inserisce nel ciclo di incontri su "Caravaggio e il contemporaneo," curato dallo stesso Gasparotti nell'ambito delle celebrazioni per il quattrocentesimo anniversario della morte dell'artista, appunto promosse e organizzate dalla Fondazione Morra/Museo Nitsch in occasione dello storico incontro tra l'opera di Caravaggio e quella di Nitsch, "Ultima cena-Installazione". Anche fra i relatori c'è una bella ricchezza di intrecci: dislocati in più giorni ci saranno gli interventi di Massimo Donà, Federico Ferrari, Francesca Alfano Miglietti, Lorenzo Mango, Elisabetta Longari. Nella nostra giornata, prima di noi ci sarà Enrico Ghezzi. Un altro lavoro in cantiere è quello con l'artista visivo Aldo Grazzi: si chiamerà I fiorellini di Carla e la mia musica e gestualità corporea si muoveranno reagendo a una struggente, bellissima creazione dedicata da Aldo alla sua compagna Carla, recentemente scomparsa. Inaugureremo in Umbria, luogo testimone della loro intensa storia d'amore. Ho poi in progetto, oltre a concerti e mostre, un nuovo DVD dove, fra altre cose, saranno riportate parti di live performances del trio in cui suono attualmente con George Haslam e Stefano Pastor.

Foto di Alberto Bazzurro (la prima e la quinta) e Claudio Casanova (le altre)


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