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Altoadige Jazz Festival 2018

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Varie Sedi
Provincia di Bolzano
29.06—08.07.2018

Da alcuni anni il sottotitolo di questo festival potrebbe essere "Young European Jazz Festival," visto che il suo curatore Klaus Widmann evita accuratamente di invitare gruppi americani o nomi europei già troppo noti. Il suo obiettivo è invece quello di sondare le giovani tendenze nelle diverse aree europee, favorendo fra l'altro scambi di esperienze, incontri inediti e produzioni originali. Quest'anno lo sguardo si è posato in particolar modo sui paesi nordici, non solo scandinavi ma anche di Estonia e Islanda. "Exploring the North" quindi, ma non sono mancati anche gruppi italiani o francesi.

L'estensione territoriale della programmazione, che per una decina di giorni invade ogni angolo della provincia, e la concomitanza di alcuni dei concerti più interessanti fanno sì che di questa edizione della manifestazione, in parte presa di mira dal maltempo, si possa rendere solo un parziale resoconto, dal quale risulta comunque evidente l'ampiezza stilistica quasi sconcertante delle proposte. Appunto il fatto che qui si possano ascoltare gruppi che è ben difficile incontrare altrove in Italia è il pregio impagabile del festival altoatesino.

L'obiettivo del Nils Berg Cinemascope, trio svedese condotto dal sassofonista Nils Berg, è sulla carta intrigante: dapprima selezionare soprattutto da Youtube esibizioni ed esecutori di ogni genere musicale e da ogni parte del mondo, per poi farne un montaggio video da proiettare su uno schermo, su cui sovrapporre la musica dal vivo del trio. L'intenzione è senz'altro lodevole, ma i risultati sono parsi solo parziali: l'integrazione e la compenetrazione stringente fra le due espressioni musicali sono risultate infatti altalenanti, non sufficientemente motivate e tese a creare un messaggio unitario.

Più lodevole allora l'Euregio Collective, che è il frutto di un laboratorio avviato dal festival altoatesino all'inizio del 2017 con l'obiettivo di formare e promuovere giovani jazzisti del Tirolo, dell'Alto Adige e del Trentino. In questa edizione il collettivo, con formazioni variabili ed anche arricchito da colleghi scandinavi, si è esibito quasi ogni giorno in varie località della provincia. Risultano apprezzabili, per audacia e freschezza giovanile, soprattutto le composizioni dei vari membri del gruppo; articolati e tonici gli sviluppi, mentre gli assoli, sia pure di diverso spessore, intervengono con misura e funzionalità.

Gli original dell'emergente cantante norvegese Natalie Sandtorv, alla testa del suo quintetto dal look vagamente dark (chitarra, tenore, tastiere e batteria) replicano sempre la stessa struttura bipartita: un'introduzione distesa, su linee melodiche avvolgenti ed evocative, di impronta folk, lascia spazio repentinamente a uno sviluppo molto movimentato, dove l'alto volume supporta adeguatamente le escandescenze free del tenore, le marcate scansioni della grancassa e le reiterazioni della cantante, che assumono un carattere più vicino al pop-rock.

C'era molta attesa per l'apparizione del Maria Faust Sacrum Facere. L'impianto compositivo predomina nella musica della sassofonista estone, ispirata soprattutto al destino subìto da tante donne nella storia, ma anche alle foreste e al canto degli uccelli dell'Estonia. Sono anche altre le suggestioni musicali che si possono scorgere nelle trame di questo ottetto multinazionale: una sensibilità mistica tipicamente nordica, la nobilitazione della musica bandistica, l'attualizzazione della matrice popolare nordica soprattutto attraverso l'utilizzo del tradizionale kantele... In definitiva prevale una dimensione cameristica tenuta sempre sotto controllo, solida e sfaccettata ma un po' calligrafica, senza riuscire a trascendere un intimismo meditativo e malinconico.

Risultati non molto diversi ha comportato l'improvvisazione assoluta perseguita dal giovane duo finlandese formato da Verneri Pohjola (tromba) e Mika Kallio (batteria), anche se ripercorre un commento sonoro che i due hanno creato per un documentario sulla Finlandia. Non sono certo mancate atmosfere contemplative e momenti di motivata concentrazione, supportati da un indubbio virtuosismo tecnico. Tuttavia la sequenza delle varie evoluzioni ha dato talvolta l'impressione di un'esposizione combinatoria delle diverse possibilità espressive, dinamiche e poetiche nell'uso dei due strumenti e nel loro interplay.

Tre sono i poli che invece interagiscono nell'improvvisazione del progetto Immediate Music, coordinato dal finlandese Olavi Louhivuori: il leader stesso, che agisce sulla sua batteria anche con oggetti anomali, ottenendo sonorità concrete, crepitanti o risonanti, Teemu Korpipää, che all'elettronica produce flussi continui, invasivi e disturbanti, e Pekko Käppi, che alla voce e alla lira tradizionale, suonata ad arco e fortemente amplificata, costituisce forse l'elemento più caratterizzante. Ne risulta un'improvvisazione indubbiamente audace, portata fino agli estremi limiti, materializzando una tempesta sonora di volume inaudito, una trance ipnotica dai toni disperati e lividi.
Questo set non avrebbe potuto essere più contrastante con quello del trio che gli è succeduto immediatamente dopo: Matthias Schriefl, Lars Andreas Haug e Kalle Mathiesen (rispettivamente tromba e corno delle Alpi, tuba e batteria) hanno giocato con sorprese continue, trovate umoristiche e la parodia del folk, del funky e di tanto altro.

La programmazione del festival, distribuita al chiuso e all'aperto in location anomale, spesso di grande fascino, ha dunque presentato proposte di grande varietà stilistica ed espressiva, comunque interessanti, sollecitando stimoli e sorprese. Ma solo tre a mio parere sono state le apparizioni di valore assoluto e d'ineludibile impatto, a cominciare dal quartetto Fire!, una delle declinazioni delle formazioni pilotate dal baritonista svedese Mats Gustafsson. Come sempre viene privilegiata un'energia densa, materica, lavica, anche se la dizione scandita e oggettiva della cantante Mariam Wallentin, col suo saio nero dalla severità monacale, inserisce una componente di sofisticata alienazione. Il basso elettrico di Johan Berthling fornisce un bordone di una fissità inesorabile e continua, mentre il drumming di Andreas Werliin procede con scansioni organiche e vigorose. Su questo contesto d'impronta apparentemente rock il baritono del leader si infuoca in una pronuncia esasperata, fatta di note lunghe, liriche, vibranti e screziate. Anche una greve componente elettronica, a tratti azionata sempre da Gustafsson, contribuisce coerentemente al messaggio sonoro. La compattezza, la forza e la sistematicità di questa musica presuppone una motivazione e genuinità emotiva che se venisse meno vanificherebbe in tutto o in parte il risultato.

Svedese è anche Per-Åke Holmlander, leader della It's Never Too Late Orchestra, attiva dal 2017 e formata da improvvisatori provenienti da diversi Paesi: quattro ottoni, quattro ance, due batterie e contrabbasso. Sono appunto la tuba del leader e il contrabbasso di Elsa Bergman a costituire l'ossatura onnipresente su cui i fiati sono inizialmente chiamati ad esposizioni preparatorie all'unisono, prima di sfociare talvolta in linee melodiche più sostenute, dal tono ironico e su tempo di marcia, non dissimili da quelle in cui era maestro un tempo Willelm Breuker. Più spesso si animano poderosi e sfaccettati collettivi free, che lasciano il posto a spazi solistici fortemente caratterizzati e funzionali, sui quali non è il caso di fare graduatorie visto che sono tutti eccellenti. Un'unica suite senza intervalli, articolata in varie fasi, in distensioni e congestioni, ha dato una versione convincente di un'improvvisazione palpitante per larga formazione, di un "caos organizzato" come l'ha definita Nicola Ciardi che fu il fondatore e primo direttore di questo festival.

È un piacere poter inserire in questo trittico di eccellenze il gruppo Frontal di Simone Graziano, che, attivo dal 2013, ha visto nel tempo alcune variazioni. La novità esclusiva del concerto bolzanino era l'inserimento del chitarrista olandese Reinier Baas, mattatore della scorsa edizione, in grado di aggiungere colori cangianti e complessità armonico-timbriche, sia affiancando il pianoforte del leader sia nei pregevoli assoli. Il quadro sonoro era completato dal fraseggio aereo e screziato del tenore di Dan Kinzelman, dal pizzicato di Gabriele Evangelista, sempre più volitivo e imperioso, dal drumming di Stefano Tamborrino, uno dei pochi batteristi a possedere un sound personale, compresso e riservato. Il peculiare impianto sonoro del gruppo dà quindi corpo a quella che è la caratteristica predominante della musica di Graziano, ovvero la strutturazione compositiva che intreccia temi spesso ispirati alla musica africana, alternando raffinate distensioni e toniche accensioni, graduali o repentine. Come bis non poteva mancare "Rock Song," vera rampa di lancio per una crescente tensione lirica in cui ha svettato Kinzelman.

Si deve accennare infine ad una proposta eccentrica rispetto a questa programmazione orientata prevalentemente verso Nord: la rievocazione del personaggio e della musica di Fabrizio De André, affidata a Luigi Viva che del cantautore genovese è il massimo esperto e biografo italiano. Al suo racconto e agli spezzoni di interviste esclusive raccolte nei primi anni Novanta hanno fatto riscontro le reinterpretazioni di suoi brani da parte del Modern Jazz Group, quintetto di musicisti locali che recupera il nome del gruppo in cui De André suonava come chitarrista nella seconda metà degli anni Cinquanta, assieme a Luigi Tenco al contralto. Gli arrangiamenti del chitarrista Luigi Masciari hanno confermato i pregi maggiori di questo progetto multimediale: convinta partecipazione e onestà culturale.

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