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Alessandro Bertinetto - Il pensiero dei suoni

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Il pensiero dei suoni
Alessandro Bertinetto
170 pagine
ISBN: 978-88-6159-658-0
Bruno Mondadori
2012

La filosofia si occupa essenzialmente di ridefinire il significato delle parole, aggiornandolo alla luce della crescita della conoscenza e della diversificazione delle attività umane. E ciò è quanto fa anche la filosofia della musica, sebbene in questo campo la filosofia abbia spesso mostrato forti pregiudizi culturali, finendo per essere o troppo criptica, o poco utile per tutti coloro che la musica la praticano o l'ascoltano. Non è però il caso de Il pensiero dei suoni. Temi di filosofia della musica, di Alessandro Bertinetto (Bruno Mondadori, Milano, 2012, 16,00 euro), libro al tempo stesso denso, agile e aperto, la cui analisi ci permette alcune importanti riflessioni.

Bertinetto, filosofo torinese docente di estetica presso l'Università di Udine, è anche un appassionato cultore del jazz, sia come ascoltatore, sia come esecutore (suona il sassofono), ed è oggi il più attento e profondo studioso (forse non solo) italiano del fenomeno dell'improvvisazione, tema sul quale -dopo aver pubblicato numerosi articoli su riviste nazionali e straniere e aver organizzato un interessantissimo convegno all'inizio dello scorso anno -ha pubblicato recentemente un libro, Eseguire l'inatteso. Ontologia della musica e improvvisazione (Il glifo, 2016), del quale ci occuperemo a breve.

Qui, invece, Bertinetto si occupa di più tradizionali temi di estetica musicale, ma -come vedremo— l'improvvisazione non viene affatto accantonata. Il lavoro si articola in tre sezioni: nella prima si prova a perimetrare cosa sia da intendersi per "musica," toccando l'annosa opposizione tra "formalismo" ed "espressivismo"; nelle altre due si affrontano alcune delle più importanti questioni che si addensano attorno all'uno e all'altro dei due estremi, tenendo però presente che "questa polarizzazione non esaurisce tutta la musica" (29). Ciò che risulta di particolare interesse per chi si occupa di improvvisazione è il fatto che, alla conclusione del lavoro, proprio quest'ultima si mostra come l'elemento che riapre e permette di affrontare in modo diverso molte delle questioni storiche dell'estetica musicale.

Il primo pregio di Bertinetto è di prendere posizione in modo non manicheo, analizzando criticamente numerose opzioni proposte dall'estetica filosofica e rimanendo aperto di fronte a molte di esse. In merito alla perimetrazione di cosa sia da intendersi con "musica," la sua argomentata posizione è che si tratti di "suono dotato di una costituzione formale differenziata e integrata internamente ed esternamente (...) prodotto intenzionalmente dall'uomo" (25). Ciò significa che "per rispondere alla domanda "che cos'è la musica" sembra necessario includere (...) una certa intenzionalità: l'attenzione estetica ," cioè quel che "procura un arricchimento o un'intensificazione dell'esperienza per mezzo dei suoni organizzati" (30). Questa definizione, che si rifà a Levinson, ha secondo Bertinetto "diversi pregi: attribuisce alla musica alcune proprietà intrinseche come l'udibilità e la temporalità; è intenzionalistica e umanocentrica; è adeguata a un'applicazione transculturale; ascrive ai produttori di musica un atteggiamento normativo; è orientata sul produttore e riconosce alla musica un carattere artistico" (31). Ha inoltre interessanti conseguenze sulla distinzione, sempre più labile, tra musica e rumore, ma anche tra musica e altre "arti sonore non musicali" (43), come il sound design e certe performance di Cage.

La seconda parte affronta la delicata questione del formalismo, il quale, in modi diversi, tende a considerare la musica arte astratta e pura per eccellenza, negandole sia contenuti e significati extramusicali, sia lo status di linguaggio capace di veicolare messaggi eccedenti la sua stessa struttura sintattica. Bertinetto osserva tuttavia che la musica ha in realtà molte affinità con il linguaggio (56) e che il solo appiglio del formalismo è l'assenza di una semantica musicale, ovvero di significati esprimibili attraverso elementi della sua struttura. Per ovviare a questo punto è però possibile intendere l'"esperienza musicale non in termini di oggetti da contemplare passivamente, bensì di pratiche che mettono in relazione persone: compositori, musicisti, ascoltatori" (67). Questo, se da un lato già riconduce la musica a una maggiore concretezza terrena, dall'altro permette di tener conto di alcuni suoi aspetti importanti e solo apparentemente extramusicali, come l'essere prodotta intenzionalmente come arte, il contenuto imitativo o metaforico, l'espressività, l'irriducibilità e "ineffabilità" dell'elemento performativo negli eventi esecutivi e il procedere dialogico-narrativo. Quest'ultimo, così rilevante nel jazz, è infatti reso possibile dall'interazione improvvisata su sollecitazione degli altri musicisti, esattamente come avviene nella conversazione. Tutto ciò, più in generale, permette di riconoscere che contenuti e associazioni extramusicali "sono parte integrante dell'esperienza musicale" (84) e che l'indeterminatezza semantica della musica "non ostacola l'attribuzione di contenuti": essa infatti -pur non dipendendo da regole e processi univoci, bensì da "convenzioni culturali, generi musicali, norme stilistiche" -può di volta in volta prodursi "in virtù di associazioni e analogie simboliche destate dalle sue qualità espressive, affettive, e perfino formali, a correlati cognitivi" (86). E la sua non univocità e irriducibilità alla descrizione verbale, lungi dall'essere considerata un limite, può viceversa essere ritenuta una risorsa, tipica delle arti e che la musica, in quanto "arte astratta," presenta in modo eminente.

D'altronde, ricorda Bertinetto, è falso che per esprimere qualcosa sia necessario farlo verbalmente o argomentativamente. Chiarito quindi che "anche qualora ci importi unicamente spiegare la struttura formale di un brano musicale, non possiamo farlo se non interpretandolo mediante concetti che hanno significati e che evocano la realtà extramusicale che il formalista tende a escludere" (97-8), la terza parte del lavoro si occupa di quello che spesso viene definito "contenuto emotivo" della musica. Dopo una concisa chiarificazione di cosa abbia senso chiamare "emozione," Bertinetto discute quattro diversi generi di teorie sul rapporto tra questa e la musica. Il primo, basato su un presunto isomorfismo tra proprietà strutturali della musica ed emozioni, finisce nelle sue numerose varianti per mostrare nuovamente i limiti dell'approccio formalista, incapace di spiegare molti aspetti dell'espressività musicale. Il secondo, che si fonda sul supposto uso metaforico di giudizi emozionali come "musica triste," di fatto non riesce a spiegare il perché dell'uso metaforico stesso. Il terzo, il cosiddetto disposizionalismo, sostiene che "l'attribuzione di un predicato emotivo alla musica dipende dal suo impatto emotivo sugli ascoltatori" (119), riabilitando l'importanza della risposta agli aspetti emotivo- espressivi, vera condizione di possibilità del corretto apprezzamento della musica, piuttosto che suo impedimento. Nelle sue numerose varianti questo genere di teorie permette di dar conto del fatto che l'ascolto della musica non è meramente passivo ma mette in gioco l'immaginazione, grazie alla quale gli elementi percettivi che la musica sollecita vengono associati ad azioni, spazi, convenzioni, che vanno poi a costituire un'esperienza di quel che si prova in un certo stato emozionale: "ciò incoraggia la simulazione di oggetti musicali virtuali e arricchisce il coinvolgimento emozionale nello scenario musicale (...). E poiché non dipende da una somiglianza naturale tra la rappresentazione musicale e l'emozione, l'espressione musicale è ancora più sofisticata di quella di un attore" (139). Ma c'è di più: "la musica non suscita solo effetti offline. Ci fa muovere, ballare, battere i piedi; ci dà i brividi, penetra nel corpo. L'esperienza dell'ascolto è fisica, è una forma di tatto" (140). Ciò implica la necessità di tener conto della sua relazione con i soggetti coinvolti, con la cultura sociale e con l'ambiente -una cosa, questa, trascurata da chi pensi che "unico criterio della "correttezza" della nostra risposta emotiva" sia "solo il valore estetico dell'espressività di un brano" (143). Ciò non solo significa che "le opere e la performance, ma anche il carattere e le motivazioni della performance, e il fatto stesso che essa abbia luogo, possono essere giudicati esteticamente" (152) -cosa che chi si occupa di musica popular sa bene -ma ha anche grande importanza per il valore morale ascrivibile alla musica. Un valore che il formalista tenderebbe a trascurare, forte del fatto che essa non ha un contenuto proposizionale da trasmettere, ma che invece si mostra ben annidato all'interno del suo significato di pratica sociale.

Ed è proprio sul rapporto tra musica ed etica che Bertinetto, nelle ultime pagine del suo lavoro, porta in primo piano il jazz e, più in generale, la musica improvvisata. Perché è questa che, più di altre forme, mette in rilievo l'importanza delle relazioni e del comportamento dei soggetti coinvolti -musicisti e pubblico -così come degli "aspetti visivi, gestuali, spaziali," che vi assumono un ruolo decisivo tanto nella creazione, quanto nella recezione della musica. "Le modalità di interazione che si presentano nel microcosmo sonoro di un'esecuzione improvvisata esemplificano le situazioni di interazione della vita etica," la quale "presenta perciò i tratti propri dello sviluppo della libertà degli individui in situazioni intersoggettive di collaborazione, tolleranza, comprensione, aggressione, solidarietà, concorrenza, in cui il carattere individuale si forgia grazie all'incontro della spontaneità delle azioni dell'individuo, lo sviluppo della libertà degli altri e le regole, le convenzioni, i costumi sociali. L'improvvisazione musicale è quindi simbolo della libertà vincolata, cioè dello sviluppo più o meno disciplinato e limitato della libertà dell'essere umano in azione" (154). In essa, più che altrove, vi è una "reale messa in opera di processi di interazione affettiva e comunicativa, la quale può essere rilevante anche a livello estetico. Tanto la sua pratica, quanto la sua fruizione ci possono trasmettere un know how circa la dialettica tra convenzioni etiche e relazioni sociali da un lato, invenzione creativa e trasformazione delle regole dall'altro. Ci possono dare un'idea dell'attenzione che dobbiamo prestare al complesso sviluppo dei processi emozionali nei rapporti etici reali" (154).

Con queste parole, emozionanti per chi sia appassionato di jazz e che esprimono concetti esplorati negli ultimi anni da Davide Sparti, si chiude il lavoro di Bertinetto. Il quale però, in una breve coda, osserva come contemporaneamente si aprano con ciò nuovi orizzonti di riflessione su questioni di ontologia della musica (ad esempio cosa siano un'opera musicale e il suo rapporto con l'esecuzione, la partitura o la registrazione) che i tradizionali approcci filosofici hanno affrontato in modo parziale, a causa dell'aver trascurato il carattere performativo dell'esperienza musicale che invece nell'improvvisazione balza in primo piano.

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