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Ai Confini tra Sardegna e Jazz - XXX Edizione
Bentornato Butch
A Sant'Anna Arresi, Butch Morris era di casa. In occasione della XXX Edizione, il festival Ai Confini tra Sardegna e Jazz gli ha reso giustamente e doverosamente omaggio costruendo una programmazione completamente incentrata sulla sua figura.
C'era la Nublu Orchestra (Kenny Wollesen, Ilhan Ersahin, Graham Haynes, Doug Wieselman, Jonathon Haffner, Michael Kiaer, Brandon Ross). C'erano musicisti che qui hanno suonato con lui (Hamid Drake, William Parker, Jean-Paul Bourelly...). Sono state presentate opere a lui ispirate e prodotte in collaborazione con l'Associazione Punta Giara (i CD di Evan Parker e di Rob Mazurek, il DVD con le fotografie di Luciano Rossetti). Ogni serata è stata preceduta da una serie di racconti e ricordi su Butch, a cura di Giuseppe Vigna e Letizia Renzini. Durante i concerti, immagini di Butch scorrevano alle spalle dei musicisti.
Considerata la grande quantità di eventi cui abbiamo assistito, eviteremo la cronaca dei singoli episodi, per concentrarci sui numerosi spunti di riflessione offerti da quanto ascoltato.
Evan Parker
È lui, indiscutibilmente, l'autentico mattatore del festival. I concerti del suo quartetto (con Barry Guy, Paul Lytton e Peter Evans), e del quintetto Filu 'e Ferru (con Alexander Hawkins, John Edwards, Peter Evans e Hamid Drake) sono le cose migliori che abbiamo ascoltato. Libertà totale e assoluto controllo, ricerca strumentale e squarci di infinita dolcezza. Sua anche la conduction più riuscita, nonostante (o forse proprio in virtù del fatto che) non avesse nulla a che fare con le tecniche esplorate da Butch. A settantun anni suonati, il sassofonista britannico non ha nessuna intenzione di tirare i remi in barca. Grandissimo.
Hamid Drake
Lo abbiamo ascoltato con la Nublu Orchestra, con il quintetto Filu 'e Ferru, in trio con William Parker e John Dikemann. Il pubblico lo adora. Forse per la sua disponibilità e per il naturale carisma che traspare da ogni suo gesto. O forse, più semplicemente, perché suona in modo meraviglioso.
Peter Evans e Alexander Hawkins
Non li scopriamo certo oggi, ma sorprendono sempre per creatività, intelligenza musicale, lucidità negli interventi, capacità di inserirsi in ogni contesto lasciando un'impronta significativa. Ogni loro intervento solistico è un capolavoro di costruzione e consequenzialità. Il futuro della musica improvvisata è in ottime mani.
Le delusioni
Keith e Julie Tippet. Hanno suonato le loro solite cose, ripetuto i consueti stilemi, incuranti del fatto che la musica proposta dall'eccellente trio che li affiancava (Roberto Ottaviano, Giovanni Maier e Cristiano Calcagnile) tentasse di andare in una direzione più contemporanea. È finita che il trio si è messo al servizio della coppia, la musica si è assestata in territori più rassicuranti.
Il solo di Graham Haynes. Una performance ai limiti dell'incomprensibile, piena di pause e sperimentazioni sull'elettronica. Più che un concerto, una prova sul palco, davanti ad un pubblico basito.
Nu Grid (Vernon Reid, Jean-Paul Bourelly, Graham Haynes, DJ Logic). Una scatola vuota. La presenza di un geniaccio rock come Vernon Reid ha quantomeno assicurato che si trattasse di una bella scatola, ben confezionata, curata nella forma e nei suoni.
I pedali
Come è giusto che sia, ne abbiamo ascoltati molti, in ogni concerto. A volte come naturale conseguenza di un'esplorazione collettiva, e in quanto tali esaltanti (i gruppi di Evan Parker). Altre volte usati come refugium peccatorum, stiracchiati ed allungati per mascherare una certa carenza di idee. "La brevità gran pregio," cantava Rodolfo nella Bohème. In qualche occasione (la Fire! Orchestra, i Nu Grid, la prima delle due conduction di Wollesen) lo abbiamo pensato anche noi.
La Fire! Orchestra
Le aspettative erano altissime. È arrivata a Sant'Anna Arresi preceduta dai commenti entusiastici di chi l'aveva ascoltata a Saalfelden. Le sue atmosfere torride hanno chiuso in gloria il festival. Impossibile non lasciarsi trascinare dall'energia e dall'entusiasmo di un organico di diciannove elementi che suona a tutto volume su tempi dispari in un turbinio di luci e ghiaccio secco. Al tempo stesso, ascoltandoli ci è sorto inevitabile il dubbio che sotto questa patina scintillante ci sia poco. Il confronto con i colleghi presenti al concerto non ci ha aiutato. Abbiamo raccolto opinioni molto diverse, molto nette, e senza mezze misure. Per intenderci, aut aut, o "fantastico" o "robetta," senza sfumature intermedie. Certo la musica che la Fire! propone è molto divertente ed energica, e forse tanto basta.
Per quanto ci riguarda, le abbiamo preferito il duo Wildbirds & Peacedrums (Mariam Wallentin -Andreas Werlin) che hanno aperto la serata facendo sapiente uso dell'elettronica e creando un intrigante mix di tecniche avant ed atmosfere elettro-pop.
L'eredità di Butch
Difficile dire, oggi, quale sia l'eredità lasciata da Butch Morris. È ancora troppo presto. Le conduction ascoltate nel corso del festival (Kenny Wollesen, Brandon Ross, Graham Haynes) hanno dato segnali contrastanti. Nessuno dei tre possiede l'eleganza del gesto di Butch, ma queste sono doti naturali, non si insegnano. Quanto alle idee musicali, Brandon Ross ci è sembrato quello più a fuoco nell'organizzazione dei suoni e nella gestione della composizione istantanea. Il tempo dirà se Butch è stato un caposcuola, o un fenomeno unico e senza eredi. Noi possiamo solo essergli grati per tutta la buona musica che ci ha lasciato.
Foto
Luciano Rossetti -Phocus Agency
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