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Ah-Um Jazz Festival Sesta Edizione 2007

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Teatro Dell'Arte - Milano - 04-07.10.2007

Dopo due anni di pausa riprende il festival Ah-Um, evento organizzato dal Collettivo C-Jam che ha l'obiettivo di “dare un contributo attivo e progettuale al processo di formazione, crescita e diffusione della musica jazz e improvvisata”. Impresa non facile in una città come Milano, spesso troppo concentrata sui grossi nomi e le tendenze modaiole per accorgersi di realtà interessanti ma di nicchia.

E però mi sembra anche che la città, sia pure con tutti i suoi difetti, stia mostrando in questi ultimi tempi una certa volontà di reagire. Indubbiamente ricostruire un movimento, un interesse attorno a certe musiche, è faticoso e richiede una dedizione che rasenta il volontariato. Ma è anche vero che rimboccarsi le maniche e lavorare nella giusta direzione affinchè le cose cambino è assai più nobile e produttivo del piangersi addosso senza fare nulla, male di cui spesso sofffre il jazz italiano.

Un primo segnale di cambiamento, significativo e che coinvolge direttamente il festival Ah-Um, è quello della sede dei concerti. Nelle passate edizioni la rassegna si era svolta al Teatro Barrios, accogliente ma periferico e difficilmente raggiungibile. Quest'anno invece il festival si è spostato al Teatro dell'Arte, ubicato in pieno centro. E l'effetto del trasferimento sull'affluenza di pubblico è stato notevole.

Venendo ai concerti, il festival è stato aperto dal Flavio Minardo Sangeeta Project (Flavio Minardo a chitarre acustiche e sitar, Simone Mauri a clarinetto basso e clarino). Il duo ha proposto brani di ispirazione indiana, tutti composti da Minardo. Premesso che i nostri gusti sono molto distanti da quanto presentato, dobbiamo anche dire con franchezza che questo concerto ci ha deluso. Il potere suggestivo del sitar regge per cinque-dieci minuti. Poi, occorre mettere sul piatto qualcosa di più corposo. La musica presentata era invece piuttosto semplice, a tratti priva di spessore compositivo, con anatole più adatti ad una serata in spiaggia davanti al falò che ad un concerto in teatro. E ci è spiaciuto vedere un musicista estroverso, guizzante e creativo come Simone Mauri (si acolti ad esempio il suo Bootstrap Trio) in un contesto per lui così penalizzante.

Molto meglio il concerto della Deciband di Giovanni Falzone (oltre al leader alla tromba, Marco Fior e Paolo Milanesi alle trombe, Michele Benvenuti al trombone, Carlo Nicita al flauto, Francesco Bianchi al sax contralto, Domenico Mamone al sax baritono, Francesco Pinetti al vibrafono, Tito Mangialajo Rantzer al contrabbasso, Ferdinando Faraò alla batteria). Una prima assoluta per questa band, che ha presentato una lunga suite nella quale si percepisce un grande lavoro di scrittura. La cifra compositiva è infatti notevole e, come sempre nelle opere di Falzone, mostra influenze che coprono tutti i linguaggi della storia del jazz. Da new-orleans al free, dal bop al contemporaneo, senza dimenticare la musica colta del novecento (in particolare i balletti di Stravinski nel primo movimento) o il funk più sincero e genuino (il secondo movimento). Ottima anche l'esecuzione. Compatta, senza sbavature, e molto divertente.

La sera di venerdì 5 Ottobre si è aperta con il trio del pianista Mario Piacentini (Riccardo Fioravanti al contrabbasso, Marco Tonin alla batteria), che ha presentato celebri canzoni d'autore (da Pino Daniele a Fabio Concato, da Memo Remigi a Gino Paoli), interpretate in chiave jazzistica. Una scelta che non condividiamo, e che agli occhi del pubblico ha automaticamente declassato il trio al rango di formazione da piano-bar o da hall di grande albergo. Lo si è capito dagli applausi tiepidi, più “di stima” che di autentico apprezzamento, che hanno accompagnato la fine di ogni brano. Ce ne dispiace, perchè il trio è formato da ottimi musicisti, che meglio avrebbero fatto a presentare un repertorio di composizioni originali. Non a caso, il momento migliore del concerto è stato quello in cui Piacentini, al piano solo, ha eseguito una sua composizione di impronta minimalista.

E' stata poi la volta di uno dei gruppi storici dell'avanguardia italiana, ovvero i Nexus (Daniele Cavallanti a sax tenore e baritono, Tiziano Tononi alla batteria, Emanuele Parrini al violino, Achille Succi al sax contralto ed al clarinetto basso, Silvia Bolognesi al contrabbasso). Il gruppo ha presentato composizioni degli anni '80 e '90, che nonostante il trascorrere del tempo non hanno assolutamente perso nulla del loro smalto e vigore. E' musica che suona ancora freschissima e attuale, grazie al lavoro di Tononi e Cavallanti che hanno saputo, con gli anni, alleggerire la componente radicale della propria musica, arricchendo invece la componente melodica e l'intreccio contrappuntistico.

Nella serata di sabato 6 Ottobre, il concerto di apertura è stato affidato al solo del contrabbassista Roberto Bonati. Consapevole delle trappole insite in questo tipo di performance, Bonati ha sapientemente fatto abbondante uso dell'archetto, suonando per lo più sul registro acuto dello strumento, e dando vita ad una suite sorprendente per intensità e leggerezza.

Ampio uso di elettronica, giocattoli e oggetti sonori per il trio del sassofonista Massimo Falascone (Alberto Braida al pianoforte, Filippo Monico alla batteria). Un'esibizione certo divertente, ma in ambito classico certe cose si facevano già mezzo secolo fa. Allora, certe sperimentazioni avevano una carica graffiante, dirompente. Ma oggi?

Chiusura di serata con il Gruppo Q (Michele Benvenuti al trombone, Francesco Pinetti al vibrafono, Nicccolò Faraci al contrabbasso, Ferdinando Faraò alla batteria, ospite Achille Succi) che ha presentato l'album “Untitled 06”, recentemente pubblicato per la Music Center. Il concerto è stato per noi una piacevolissima sorpresa. Pur conoscendo, individualmente, i singoli musicisti, era infatti la prima volta che ascoltavamo questo gruppo. Ed abbiamo scoperto una musica dal solido impianto architettonico, grintosa e vitale, sempre ancorata ad un'idea precisa. Ci permettiamo quindi di segnalare il Gruppo Q agli organizzatori dei numerosi festival che animano la penisola, sperando che qualcuno di loro abbia il coraggio (il coraggio?) di dare spazio ad un gruppo composto da giovani musicisti italiani.

Molto bello anche il concerto di Luca Calabrese (tromba e flicorno), Massimo Minardi (chitarra) e Francesco D’Auria (batteria e percussioni), che hanno aperto la serata di domenica 7 Ottobre presentando il CD Be Little! (pubblicato dalla Music Center). Musica prevalentemente improvvisata che, dopo un inizio molto deciso ma dal sound un po' datato (forti gli echi di Markus Stockhausen), ha acquisito maggiore personalità virando su melodie dalla leggerezza quasi eterea. Fondamentale, in questo, l'ampia paletta sonora utilizzata dai musicisti grazie ad un abbondante uso dell'elettronica (Calabrese e Minardi) e ad un set di percussioni sterminato (D'Auria).

La chiusura del festival è stata affidata all'Afro Blue Project di Diego Ruvidotti (tromba e flicorno) e Lorenzo Gasperoni (percussioni), con Gianluca Di Ienno al pianoforte, Mattia Magatelli al contrabbasso, Mario Frascotti, Paolo Crugnola e Dino Scandale alle percussioni. L'organico ha proposto una musica che si richiama palesemente a Kenny Wheeler (in particolare alle sue composizioni degli anni '80) e per la quale, ci sembra, quattro percussioni risultano eccessive e ridondanti. E' vero che in musica bisogna sempre sperimentare, ma è anche vero che in questo caso un tradizionalissimo quartetto flicorno-contrabbasso-pianoforte-batteria avrebbe avuto maggiore corrispondenza ed affinità con la musica presentata.

Detto dei concerti, segnaliamo infine che nel corso dei quattro giorni del festival il Teatro dell'Arte ha ospitato una serie di iniziative volte a creare un’occasione di confronto e di riflessione sulla “cultura della musica” e sul suo rapporto con la città di Milano. Le mostre fotografiche “Fotografia dello Spettacolo” (in collaborazione con l'IED - Istituto Europeo di Design) e “Grafici, Opere Dipinte” (in collaborazione con NAVA) ed una serie di incontri: “Musica per gli occhi - immagine e percezione nella fotografia di musica” a cura di Claudio Cipriani, “Suoni e Rumori nella città contemporanea” a cura di Carlo Luigi Gerosa, “Spazi Sonori - il suono organizzato nello spazio pubblico” a cura di Massimo Giuntoli e “Scrivere il Jazz - sulle parole che raccontano musiche” a cura di Claudio Sessa.

Foto di Dario Villa


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