ACT: ACT

Il sassofonista Ben Wendel mostra così un altro aspetto della propria visione artistica: se Kneebody è formazione che scardina i canoni tradizionali del jazz, se in Simple Song, esordio da leader, il jazz funge da base per un'esplorazione discreta di territori contigui, con Act siamo nella piena tradizione dei piccoli combos che hanno fatto la storia del jazz, ed il pensiero corre al Sonny Rollins di A Night at Village Vanguard. Non tanto per la presenza nell'album di "Pentup House" un classico del repertorio del Saxophone Colossus di quegli anni, ma soprattutto per l'idea di un trio dal formidabile interplay, dai lacci esecutivi piuttosto liberi e con la voce del sassofono che recita comunque la parte di indiscussa protagonista.

Il musicista nato a Vancouver, cresciuto a Los Angeles e da poco trasferitosi a Brooklyn, mette in mostra un fraseggio asciutto, essenziale, perfettamente funzionale alle composizioni dalla natura quasi francescana presenti nell'album. Il timbro del suo tenore è assai vicino a quello di un contralto e ciò gli consente di togliere qualsiasi aspetto elegiaco e di ridondanza alla musica eseguita.

Che possiede una spigolosità discreta, appena accennata e fluisce con grande naturalezza grazie anche alla batteria sorprendentemente swingante di Wood e al basso implacabile di Raghavan. Una versione intensa e commovente di "Shamed into Love" targata Elvis Costello completa un album registrato in due giorni negli studi privati di Steve Wood, padre del batterista e rinomato ingegnere del suono, che testimonia, la freschezza e la poliedricità dell'ennesimo talento emerso oltreoceano.

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