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Anthony Braxton: 9 Compositions [CD + DVD]

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Anthony Braxton: 9 Compositions [CD + DVD]
Anthony Braxton ha ben presenti i rischi che corre un musicista afro-americano che non rispetta i confini che gli vengono posti da quel complesso di regole e atteggiamenti che Graham Lock ha riassunto nella felicissima definizione di "jazz police".

I membri di questo informale istituto di vigilanza appiccicano una etichetta pesante come una lapide, con su scritto "non è jazz", a tutti coloro che oltrepassano i confini di (quello che loro ritengono) essere jazz.

Molto spesso basata sull'estetica della "fronte sudata" come Braxton stesso l'ha definita, questa definizione della musica afro-americana rigetta come peccato originale quello di mostrare "influenze europee" nel "jazz puro".

A nulla vale osservare che il jazz puro non esiste, e che è la sua profonda impurità ad averlo reso vitale, oppure che le "influenze europee" sono un concetto inapplicabile nella misura in cui la fase iniziale del rapporto dialettico e delle reciproche influenze tra la musica in Europa, in Africa e poi nelle Americhe risale all'oscurità della preistoria.

Ma apparentemente il colore della pelle di una persona, anche se la genetica ci dice che le razze non esistono e quindi non c'è un confine tra "bianchi" e "neri" che non sia socio-culturale, sembra poter determinare che tipo di musica suona. Un test interessante potrebbe essere sottoporre questo concetto alla tecnica della falsificazione, rovesciarlo nel suo opposto e vedere se la logica regge.

Quanto sono i musicisti bianchi che sono stati accusati di avere "influenze africane"? Viviamo in un mondo musicale in cui Eric Clapton è diventato miliardario copiando qualche lick dai chitarristi di blues afroamericani - non solo non è mai stato per questo criticato, ma al contrario la caratteristicca imitativa della sua musica è diventata un punto di forza commerciale. Che questo personaggio abbia poi fatto osservazioni razziste in pubblico, non fa che confermarne la natura.

Per un chitarrista inglese imitare Muddy Waters è legittimo, viene applaudito e diventa ricco. Per un sassofonista di Chicago essere affascinato da Stockhausen o Wagner è un tradimento. Evidentemente esistono porte che possono essere varcate solo in un senso, che reagiscono al colore della pelle di chi si presenta. Infatti i jazzclub americani sono pieni (e menomale) di musicisti bianchi, mentre il colore delle orchestre sinfoniche non arriva nemmeno al latte macchiato.

Ci sono ancora, e ci sono state nel passato, molte persone - addirittura europee - che hanno cercato di convincere Braxton a stare al suo posto, spiegando a questo musicista, nato nel ghetto nero di Chicago ed ex-accompagnatore di Sam & Dave, le caratteristiche della musica afroamericana. Dato che queste ammonizioni non sono state prese in considerazione, e anzi sono state coscientemente e provocatoriamente sfidate, Braxton ha rischiato di fare la fine di coloro che l'hanno preceduto in questa difficile posizione: Scott Joplin e James P. Johnson, benvenuti come pianisti ragtime o stride, ma bloccati quando tentarono forme compositive più ampie, o addirittura - orrore! - l'opera; Herbie Nichols, l'animo gentile che finì ad accompagnare spogliarelliste e le cui composizioni sono andate largamente disperse.

Ci vuole una immensa forza interiore, un'anima d'acciaio per resistere alle pressioni non solo del complesso del "jazz business" ma anche a quello di molti colleghi, che, probabilmente preoccupati che il loro gioco venga scoperto, ricorrono ad attacchi personali (a volte anche fisici come è successo a Ornette).

E' interessante come Braxton possa spaventare la "jazz police", che accetta volentieri costumi africani e pitture di guerra, ma si infuria di fronte ai cardigan sformati e agli occhiali tondi del Prof. Braxton, con la sua aria da scienziato distratto e giocatore di scacchi professionista. La sua passione iniziale per Brubeck e Tristano era più eversiva di una possibile ispirazione esclusiva ad Albert Ayler, per fare un nome di un musicista decisivo negli anni '60 e importantissimo per il giovane Braxton.

La sua strategia per evitare che il suo lavoro facesse la fine dell'opera di Scott Joplin o delle composizioni di Herbie Nichols è stata quella di creare una tale mole di documenti sonori e scritti che nessuno può permettersi di ignorare, o di fingere di ignorare. Oltre quattrocento composizioni, non un'opera ma una serie di dodici opere, serie dopo serie di Lp e poi di Cd, singoli e in box, in modo che quando un gruppo di dischi non è più sul mercato ce ne è subito un altro pronto.

Braxton ha sempre apertamente riconosciuto - al contrario di altri musicisti della sua generazione - come la sua musica sia stata influenzata dalle idee di Tristano, Konitz e Marsh, Kenton e Graettinger attraverso il suo maestro Jack Gell, come da Bach attraverso Schoenberg e da Ornette e Ayler; in Europa, la musica del suo trio con Leroy Jenkins e Steve McCall contribuì a rompere quell'equivoco parallelismo tra Free Jazz e Black Power che rischiava di appiattire la musica su una sola dimensione, malgrado memorabili registrazioni come le Variazioni su Monteverdi dell'Art Ensemble of Chicago.

Dopo lo sviluppo del suo Language System per le performance in solo, dopo le due grandi stagioni in quartetto con l'introduzione della compatibilità del suo corpus compositivo e delle Pulse Tracks, dopo i lavori per piano, per orchestra, i progetti dedicati alle sue ispirazioni e gli incontri improvvisati, Braxton ha introdotto una decina di anni fa la Ghost Trance Music.

Trovo personalmente molto utile, direi purificatrice di pregiudizi e incrostazioni, l'esperienza di essere regolarmente esposto a un tipo di musica basata su un sistema completamente diverso da quello eurocolto: nel mio caso la musica turca, specialmente quella della tradizione classico-religiosa, mi sembra assai utile per comprendere il nucleo delle idee di Braxton.

Il mio interesse per questa musica fu inizialmente stimlato da una visita a Braxton presso la Wesleyan University. Lui era appena tornato da Istanbul dove aveva registrato il primo esempio di GTM, per il quale mi trovai alla fine a scrivere le note del libretto per il CD (disponibili in inglese su http://www.wesleyan.edu/music/braxton/braxtonhouse/bh001.html). Braxton era stato molto colpito dalle musiche tradizionali che aveva ascoltato, comprando come al solito pile di CD, e l'uso sufistico della musica nella trance diventò una delle ispirazioni della sua nuova fase musicale.

Dopo circa dieci anni di lavoro, questa fase culmina e si conclude - lasciando spazio alle Diamond Wall Compositions e alla Echo Echo Mirror House Music - con questo straordinario box, reso possibile dalla collaborazione con la Firehouse 12 del trombettista Taylor Ho Bynum. Bynum è uno dei musicisti chiave dell'attuale ensemble di Braxton, gruppo a geometria variabile che in questa registrazione è particolarmente numeroso: 12 elementi più l'autore, una dimensione di cui non abbiamo mai fatto esperienza diretta in Europa per quanto riguarda gruppi con musicisti americani, ma anche rispetto al resto delle incisioni della GTM il più ricco dal punto di vista strumentale, grazie anche alla quantità di strumenti suonati dai vari membri. L'ensemble è quindi particolarmente adatto a rappresentare la complessità delle composizioni eseguite.

Braxton ha lentamente costruito grazie al suo lavoro alla Wesleyan un gruppo di musicisti che sono interessati, anzi direi entusiasticamente partecipi della sua musica, e dalle sfide che essa implica. Tra loro oltre a Bynum troviamo i sassofonisti Andrew Raffo Dewar e James Fei, la violinista Jessica Pavone, il tubista Jay Rozen, e il percussionista Aaron Siegel.

Associare ciascun nome ad uno strumento è funzionale solo ad una rapida identificazione, e non implica un limitare il loro ruolo a quello di esecutori: in altre parole questo gruppo non si limita a produrre suoni sulla base di regole dettate dalla partitura, ma al contrario apporta alla musica tutto il complesso degli interessi, musicali e no, delle personalità coinvolte, le cui esperienze includono l'intero spettro della materia, dalla etnomusicologia al punk, e che trovano nella musica di Braxton una straordinaria occasione di crescita.

Questo processo, sia detto per inciso, è assai simile a quello che in varie fasi della loro carriera e con diversa fortuna hanno cercato di avviare i musicisti che più possono essere avvicinati a Braxton per la ricerca nel rapporto tra composizione e improvvisazione: Jim Europe, Duke Ellington, Sun Ra, Charles Mingus.

L'oggetto è in sé imponente per quantità e qualità della produzione: un elegante box con 9 CD, 1 DVD e un ampio libretto di note, che lo stesso Braxton ha descritto come un punto di definizione della sua carriera fino ad oggi.

Esso inoltre documenta un raro ingaggio di diversi giorni in un jazz club americano - il benemerito Iridium - dove Braxton ha potuto riunire un ensemble che oltre a quelli citati riunisce personalità del calibro della flautista Nicole Mitchell, un altro talento di scuola AACM qualche generazione più giovane.

Le composizioni registrate vanno dalla 350 alla 358, ma l'elemento chiave del box è il DVD, sostanzialmente una conferenza di Braxton alla Columbia documentata in maniera molto semplice e inframmezzata di estratti video delle serate all'Iridium. La combinazione facilita l'avvicinamento alle composizioni, con Braxton che spiega con grande chiarezza e convinzione i punti fondamentali della sua musica e i frammenti video che sottolineano le diverse caratteristiche di ciascun "brano", illustrando i vari punti che il compositore affronta nel suo intervento.

Il video, girato da Jason Guthartz, creatore del sito restructures.net, ha una qualità casalinga, ma l'informazione c'è e il montaggio la fa arrivare allo spettatore. In questo box Braxton arriva con successo a creare il suo personale sistema di riferimenti, e la sua affascinante teoria musicale sposta il modello di musica orchestrale da una combinazione di linguaggi idiomatici all'intrecciarsi di melodie che singoli o gruppi sviluppano liberamente nel corso dello svolgersi temporale.

La musica non attraversa un percorso stabilito razionalmente, e la sua struttura è determinata da come i musicisti decidono spontaneamente di muoversi da un certo punto ad un altro nell'ambito del rituale, definito in termini di durata e non di contenuto: viene in mente Cecil Taylor e la sua passione per gli "archi sospesi" di Calatrava. Simboleggiato dalla grande clessidra che Braxton porta sul palco, il parametro temporale non definisce che musica verrà suonata ma solo l'ambito in cui avrà luogo.

Ma tutto questo lavorio teorico non deve oscurare il fatto fondamentale, che è la potenza della musica, così rara da trovare nel jazz di oggi. Senza cautele e autocensure i musicisti si buttano pienamente nell'esplorazione delle ariose strutture immaginate dal leader, riempiendole con le loro idee e la loro immaginazione, dando loro corpo e sostanza.

Io raccomando come ho detto di partire dal video, scegliendo poi come punto d'ingresso nella musica quella composizione il cui estratto si è trovato più interessante, affascinante, stimolante: per me uno dei CD preferiti è senza dubbio quello con la Composizione 357, che si apre con una atmosfera quasi da big band pre-swing, più Goldkette che Lunceford per poi dare il via a una serie di trii strumentali e passaggi orchestrali guidati dagli interventi strumentali del compositore: i dodici elementi vengono infatti scomposti in sottogruppi basati sul numero tre che si possono ricomporre o frammentare utilizzando i "punti di fuga" inseriti nel materiale compositivo.

Ma qualsiasi ascoltatore che abbia le orecchie abbastanza aperte troverà qualcosa di interessante nella varietà di tessiture, ritmi e forme create dai musicisti ormai - come disse Lauren Newton dopo un concerto in duo - "braxtonizzati".

Le due composizioni iniziali, 350 e 351, sono forse le più vicine alla musica contemporanea, con strati sonori che scivolano uno contro l'altro, entrando e uscendo dalla sincronia con il ritmo fondamentale; nella 352 e 353 ritroviamo quei rapidi zigzag, quelle linee frammentate che hanno fatto tante volte citare l'influenza del bop in generale e in particolare di Parker; 354, 355 e 356 - suonate tutte di seguito in tre set domenicali che lasciarono i musicisti esausti - sembrano raggiungere uno stato meditativo attraverso una serie di espansioni e contrazioni dello spazio musicale, mentre la celebrazione finale con la 358 porta alla mente la passione di Braxton per le marce, e comprende un suo lungo, esultante solo all'alto: questa registrazione è inclusa anche integralmente nel video.

Notazione importante è quella che la dimensione rituale include - vorrei dire richiede - una adeguata rappresentanza di donne tra i musicisti, affrontando un problema che attraversa tutta la storia del jazz e con cui la musica è ancora lontana da aver fatto i conti. Nella 357 in particolare ci sono alcuni memorabili passaggi di piccoli sottogruppi imperniati sul suono di violino, flauto e chitarra suonati rispettivamente dalla già citata Jessica pavone, da Nicole Mitchell e da Mary Halvorson.

E oltre a loro, il gruppo comprende anche la trombonista Reut Regev e la fagottista Sara Schoenbeck La concezione musicale di Braxton si differenzia marcatamente da quelle che prevedono atletiche competizioni tra solisti rigorosamente maschi, con vinti e vincitori: l'integrazione dialettica dell'altra metà del cielo nella sua musica è in sè stessa un risultato estremamente significativo.

Track Listing

CD1: Composition No. 350; CD2: Composition No. 351; CD3: Composition No. 352; CD4: Composition No. 353; CD5: Composition No. 354; CD6: Composition No. 355; CD7: Composition No. 356; CD8: Composition No. 357; CD9: Composition No. 358; CD10: DVD Documentary.

Personnel

Anthony Braxton
woodwinds

Anthony Braxton: sax alto, soprano e sopranino, clarinetto e clarinetto alto; Taylor Ho Bynum: cornetta, flicorno, trumpbone, tromba piccola e bassa, sordine, conchiglie; Andrew Raffo Dewar: sax soprano e c-melody, clarinetto; James Fei: sax alto e soprano, clarinetto basso; Mary Halvorson: chitarra elettrica; Steve Lehman: sax alto e sopranino; Nicole Mitchell: flauto, flausto alto e basso, ottavino, voce; Jessica Pavone: viola e violino; Reut Regev: trombone, flugelbone, sordine, piatti; Jay Rozen: tuba, euphonium, sordine, giocattoli; Sara Schoenbeck: fagotto e suona (shenai); Aaron Siegel: percussioni e vibrafono; Carl Testa: basso, clarinetto basso

Album information

Title: 9 Compositions [CD + DVD] | Year Released: 2007 | Record Label: Jazz Messengers


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