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Verona Jazz Winter 2015

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Dopo il debutto dello scorso anno, Verona Jazz Winter si conferma un appuntamento centrale per la città e riscatta le delusioni che da tempo offre la rassegna estiva.
Con l'eccezione del cantante flamenco Diego El Cigala, il nuovo cartellone jazz del Teatro Ristori era dedicato a musicisti italiani (Bollani, Rava, Bosso, Lanzoni, Chiara Civello, l'orchestra Parco della Musica) il cui apprezzamento è ormai generale nel nostro Paese. Il pubblico scaligero ha risposto massicciamente, arrivando a esaurire i posti disponibili anche con settimane d'anticipo.
È stato il caso -nonostante la sua presenza a Verona sia ormai costante -delle serate dedicate a Stefano Bollani. Il pianista toscano è stato protagonista di un concerto con due differenti organici: in duo con Enrico Rava e in trio coi partner danesi. Alla fine, con grande apprezzamento del pubblico, gli organici sono diventati tre, perchè sul finale Rava s'è aggiunto al trio con risultati memorabili.

Prima di ogni concerto di Bollani ci chiediamo se e fin dove il pianista spingerà la sua naturale propensione a fare spettacolo ma -anche se questo accade sempre-va riconosciuto il suo costante e alto livello musicale. Il pianista è stato misurato, offrendo alla platea solo quel pizzico di simpatia che risponde al suo ruolo di personaggio pubblico. Non dimentichiamo quanti jazzisti di valore hanno degradato la loro figura artistica al primo considerevole riscontro economico: Bollani è un artista d'ampio successo ma resta un eccellente pianista. Tornando alla serata va evidenziato lo splendido apporto di Enrico Rava che, a 75 anni, si conferma un artista magistrale: se Bollani è stato trascinante, Rava ha offerto alta poesia.
Nella prima parte del concerto il duo flicorno-pianoforte ha rinnovato la magia di una lunga affinità espressiva con brani molto intensi come "Interiors," "It Ain't Necessarily So," "Mack The Knife" o "Retrato em branco e preto": Rava ha esaltato la dimensione melodica con Bollani ammirevolmente al suo servizio in un fantasioso sostegno ritmico-armonico. Il trio con Jesper Bodilsen al contrabbasso e Morten Lund alla batteria s'è dimostrato un organismo dal collaudato interplay, dove ogni musicista risponde con mente e cuore aperto ai suggerimenti dei partner. Il repertorio ha spaziato tra temi originali ripresi dall'ultimo disco Joy in Spite of Everything come "No Pope No Party," classiche ballad e jazz standard. L'enfasi ritmica non è mancata anche grazie al fantasioso (e un po' spettacolare) dialogo con la batteria di Lund, che ha offerto anche ricchi e applauditi assoli.
Il finale con l'aggiunta di Rava è stato superlativo. Un inizio astratto ha svelato la magistrale improvvisazione tematica di quest'ultimo sulle armonie di "My Funny Valentine," è proseguito con il suo classico "Certi angoli segreti" per concludersi con un "Bye Bye Blackbird" da manuale.

Nel concerto successivo era di scena il Latin Mood di Fabrizio Bosso e Javier Girotto. Il concerto è iniziato in modo serrato con il bel brano di Girotto "Vamos," ricco di vorticosi assoli che hanno dato l'immediata misura delle doti individuali e collettive. Il resto dell'organico comprendeva Natalio Mangalavite al pianoforte, Luca Bulgarelli al basso elettrico, Lorenzo Tucci alla batteria e Bruno Marcozzi alle percussioni.
Con i dischi Sol e Vamos il sestetto s'è imposto come uno dei gruppi di punta del jazz italiano capace di rivaleggiare coi migliori gruppi latini d'oltreoceano: nella loro musica l'estroversione e i ritmi infuocati sono sorretti da altissima perizia tecnico-espressiva, più una freschezza di fondo che rende ogni brano attrattivo.
La serata è continuata con "Teorema," altro luminoso tema di Girotto esibitosi in un fantasioso intervento al sax baritono ed è proseguita alternando brani squisitamente latini ad altri straight-ahead, dove la tromba di Bosso e il soprano di Girotto svettavano in brucianti assolo. Molti i momenti magici sono stati la bella interpretazione cantata (con un'insolita introduzione) di Mangalavite in "Algo Contigo," classico bolero di Chico Novarro, ed ancora "The Shadow of Your Smile," fino alla conclusione mozzafiato con Lorenzo Tucci protagonista.

Molto piacevole, nella sua raffinata eleganza, è stato il pop-jazz di Chiara Civello che ha presentato il repertorio del suo ultimo disco Canzoni, prodotto da Nicola Conte, presente sul palco come chitarrista. L'organico comprendeva ancora Daniele Tittarelli al sax contralto, Pietro Lussu al pianoforte, Luca Alemanno al basso elettrico e Dario Congedo alla batteria. Una formazione coi fiocchi per un programma che presentava le classiche canzoni italiane degli anni cinquanta/sessanta con una scelta per niente scontata o banale. Le belle interpretazioni della Civello hanno dato nuova vita a canzoni allora sottovalutate, sedimentate nel limbo dei nostri ricordi. Dopo l'avvio con un brano relativamente recente ("Via con me" di Paolo Conte) è passata a "Io che non vivo più di un'ora senza te" di Pino Donaggio (presentata a Sanremo nel 1965 e ovviamente scartata prima che Dusty Springfield ne facesse un hit internazionale) e ancora a "Che m'importa del mondo" di Luis Bacalov, un successo della Pavone, che la Civello ha interpretato in spagnolo.
Una versione particolarmente riuscita, quest'ultima, a cui si sono aggiunte altre piccole gemme, illuminate da efficaci assoli: "Va bene, va bene così" di Vasco Rossi caratterizzata da una bella tensione ritmica; "Grande, grande, grande" un successo di Mina dei primi settanta e immancabilmente Battisti con "E penso a te." La serata s'è chiusa con "Arrivederci," un classico di Umberto Bindi.

La settimana successiva, il 12 febbraio, il piano trio di Alessandro Lanzoni(con Matteo Bortone al contrabbasso ed Enrico Morello alla batteria) ha confermato la misura del suo valore con un concerto esemplare per originalità, rigore ed empatia collettiva. Forse è inutile ribadirlo, ma Lanzoni è un improvvisatore particolarmente dotato, al di là di ogni considerazione anagrafica. Ama spaziare con lucidità nei brani senza troppi vincoli armonici o melodici, anche quando si tratta di standard, e lo s'è visto già in "All of You" il tema con cui ha iniziato la serata. Il percorso musicale è proseguito con "Dark Flavour," il pregnante tema -intriso di suggestioni classiche -che dà titolo al suo ultimo album.
Da lì in poi è stato un intenso gioco di mascheramenti tematici in una musica capace di slanci passionali quanto di rigore accademico. Se "Stompin' at the Savoy" ha evidenziato la padronanza dei modelli tradizionali, "Love N°1" di Jarrett brillava per un'introduzione da concertista classico. Il pubblico ha applaudito con fervore e la serata s'è conclusa con due bis: un vertiginoso "Night in Tunisia" e un lirico "All Too Soon."

La parentesi con Diego El Cigala ci ha portato in un terreno dove il flamenco si contamina con il pop e la fusion. Il successo di Lagrimas Negras del 2003, ha proiettato il cantante spagnolo nell'olimpo delle star latine ed è stato accolto con un tutto esaurito. Le sue canzoni (i cui testi venivano tradotti in simultanea su uno schermo) danno voce a un universo macho fatto di sentimenti forti, dove il rimpianto per l'abbandono della donna amata scatena profonda nostalgia tanto quanto odi ancestrali. La sua voce arde di passione ma è un prodotto di consumo. Per giunta il gruppo che lo accompagnava era mediocre e il chitarrista fusion (un florilegio di fraseggi esasperati, in una logica sportiva) francamente inadeguato.

La rassegna s'è conclusa il 27 febbraio con la romana Parco della Musica Jazz Orchestra diretta da Mario Corvini. L'ensemble ha un'esperienza decennale e cinque dischi al suo attivo. L'estetica di riferimento centrale guarda a Thad Jones ma non mancano aperture più avanzate, fino ad arrivare a forme di conduction, sul modello reso celebre da Butch Morris. A Verona ha presentato un repertorio di composizioni e arrangiamenti originali, con swinganti e variopinti giochi di sezione a sottolineare gli interventi solisti. Dopo i primi "Blue Samba" del sassofonista Gianni Oddi (in veste anche di solista principale) e "Indianapolis" di Daniele Tittarelli il repertorio è proseguito con brani di analoga fattura: tra tutti spiccava il tumultuoso arrangiamento di "Sky Walker" di Jodice e il lungo assolo al sax tenore di Gianni Savelli. Particolamente avvincente il lungo brano successivo, caratterizzato da un complesso e sofisticato arrangiamento ricco di contrasti timbrici e una scrittura aperta, tra Kenton e atmosfere Third Stream. Sono stati questi i momento più alti della serata, molto applaudita, che s'è conclusa col celeberrimo "Budo" di Bud Powell.

Foto (di repertorio)
Roberto Masotti.

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