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Ellery Eskelin Trio: Willisau - Live
Un esempio significativo si trova nelle sue riflessioni su Paul Bley e sulla dinamica che intercorre tra Sonny Rollins e Coleman Hawkins, che si possono leggere in "Paul Bley... on the subject of playing forever...." Al di là di questo, davvero eloquente resta la musica prodotta da Eskelin, vasta parte della quale è documentata dalla copiosa discografia dell'etichetta svizzera hatOLOGY.
Il pubblico che ebbe la buona sorte di assistere al concerto dell'agosto 2015 al Jazz Festival di Willisau, ora pubblicato dall'etichetta di Werner Uehlinger, può senza dubbio raccontare di aver partecipato a un'esibizione memorabile. L'ascolto del CD non lascia dubbi: l'alchimia che corre tra il sax tenore di Eskelin, l'organo Hammond B3 di Gary Versace e la batteria di Gerry Hemingway produce risultati sorprendenti, pur nella consapevolezza che già sulla carta tale trio offre un grado di aspettativa non di poco conto.
La formazione già si era modellata nel Trio New York, dove accanto a Eskelin e Versace figurava la batteria di Gerald Cleaver, ma un organico strumentale analogo era già stato lungamente indagato da Eskelin, nella storica formazione con la fisarmonica, le tastiere, le campionature di Andrea Parkins e la batteria di Jim Black. Forti sono però le differenze nella musica qui prodotta: il progetto iniziale di inglobare nel discorso brani del repertorio classico, l'esibizione live in un contesto particolare come Willisau e il coinvolgimento di personalità affatto diverse sposta decisamente le direzioni della musica verso una ricerca nuova della dialettica tra esplorazione e innovazione. L'esordio del concerto porta il trio a immergersi in una lunga narrazione che supera i cinquanta minuti, senza sosta, partendo da un'improvvisazione timbrica che rivela immediatamente la sintonia indagatrice ad ampio orizzonte di Hemingway, Versace ed Eskelin.
La pregnante e astratta introduzione si va coagulando attraverso gradi sempre di maggiore intensità, in cui i tre strumenti trovano prodigiosa corrispondenza, fino a sfociare in un vortice dove la scansione magistrale di Hemingway mescola timbri e accenti nella creazione di organismi pulsanti. Nei primi ventisette minuti di musica la narrazione si va progressivamente scremando, alla ricerca di un'essenzialità che fa salire il pathos e porta il sax tenore a cercare frasi sempre più melodiche, a ricordare la lezione di Rollins e, a ritroso, di Lester Young, di Ben Webster, di Coleman Hawkins. A tale scarnificazione progressiva contribuisce l'organo di Versace, volto all'intelligente uso delle pause e delle pennellate timbriche diradate piuttosto che alla saturazione sonora frequente nell'uso dello strumento.
Il lungo episodio iniziale trascorre dentro un tipico mood di organo-trio e scaturisce poi nella scheletrica costruzione di un solo di batteria che trascina il tenore in territori astratti, metafisici. Come da questo si arrivi alla composta intensità di "My Melancoly Baby," e poi ancora si approdi a "Blue and Sentimental" ed "East of the Sun" è cosa tutta da assaporare, nelle finezze di Eskelin e Versace, sotto le quali ribolle la locomotiva di un Count Basie evocato e mai replicato.
Basterebbero questi cinquantun minuti per rendere memorabile il concerto e il CD. Ma a questo si aggiungono ancora un paio di cosette preziose: una versione di "We See" degna di comparire accanto alle più belle letture della musica di Monk e la densa interpretazione della ballad "I Don't Stand a Ghost of a Chance with You," che sottolinea ancora l'essenziale, non passivo legame di Eskelin con la tradizione.
Chapeau!
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