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The Assassins di Francesco Cusa al Barazzo di Bologna
Barazzo -Bologna -20.02.2015
In una sera in cui i miei amici di Radio Città Fujiko sono stati attratti al Torrione di Ferrara dal Chris Potter Underground Quartet, io ho optato per gli "assassini del jazz" al soldo di Francesco Cusa "Skrunch" al Barazzo, nuovo club nella trendy Via del Pratello. Certo non si è trattato di un ripiego dovuto alla pigrizia, visto che ho attraversato di buon passo tutto il centro storico di Bologna da Est a Ovest e ritorno. Piuttosto ero mosso dalla curiosità di verificare lo stato di salute di una delle formazioni più intriganti e trasversali del nostro jazz. I killer cooptati dal batterista catanese sono preferibilmente tre, ma all'occorrenza possono ridursi a due. Nell'apparizione bolognese si trattava di un quartetto: il contralto era imboccato da Cristiano Arcelli, per l'occasione subentrato a Piero Bittolo Bon che compare nel CD The Beauty and the Grace pubblicato da Improvvisatore Involontario un paio di anni fa.
Il repertorio comprendeva brani, tutti del leader, tratti sia dal CD già menzionato sia dal prossimo, Love, già inciso ma in attesa di pubblicazione. Temi ben marcati, dalle geometrie sghembe e su tempi sostenuti, sono stati esposti prevalentemente all'unisono per poi sfrangiarsi nei collettivi pulsanti e negli assolo. A tale proposito la presenza dell'ospite Arcelli ha fatto la differenza: non tanto e non solo perché gli equilibri e le dinamiche di un quartetto sono diversi da quelli di un trio, ma soprattutto per la sua statura di strumentista, capace di un fraseggio puntigliosamente arabescato, di veloci e avvincenti escursioni per poi raggiungere il climax con slanci lirici su note lunghe.
La sua maturità espressiva ha messo in evidenza il linguaggio certo funzionale, ma più schematico e acerbo, degli altri due giovani partner. Flavio Zanuttini alla tromba, titolare fin dalla fondazione del gruppo, ha costruito un eloquio selettivo e stringato, ma senza emergere quanto in altre occasioni, mentre all'organo digitale Giulio Stermieri, allievo di Alberto Tacchini e Roberto Bonati al conservatorio di Parma, ha svolto il suo ruolo tramando griglie insistenti. La componente elettronica, affidata a questi ultimi due, è risultata meno esasperata e caratterizzante rispetto al CD.
Quanto a Cusa, oltre che compositore e batterista dalla conduzione scabra e nodosa (favoloso il suo raddoppiato rim shot con la bacchetta della mano destra) si è distinto come leader alla Mingus, capace di richiamare all'ordine i partner con occhiatacce e grida e di guidare l'andamento dinamico della performance.
Nel complesso, forse disattendendo le intenzioni dello stesso leader, ne è emersa una musica d'impronta decisamente jazzistica, nelle strutture come nella grana del sound e nei meccanismi dell'interplay; un jazz attuale, certo compromesso con animosi schematismi rock, ma sempre swingante, concretamente affermativo; un atteggiamento musicale che soprattutto, a parte il tenore di qualche titolo, ha assai stemperato quei connotati dissacranti e teatral-provocatori di matrice post-punk che in altre occasioni hanno caratterizzato tanti progetti di Cusa o degli altri accoliti di Improvvisatore Involontario.
In una sera in cui i miei amici di Radio Città Fujiko sono stati attratti al Torrione di Ferrara dal Chris Potter Underground Quartet, io ho optato per gli "assassini del jazz" al soldo di Francesco Cusa "Skrunch" al Barazzo, nuovo club nella trendy Via del Pratello. Certo non si è trattato di un ripiego dovuto alla pigrizia, visto che ho attraversato di buon passo tutto il centro storico di Bologna da Est a Ovest e ritorno. Piuttosto ero mosso dalla curiosità di verificare lo stato di salute di una delle formazioni più intriganti e trasversali del nostro jazz. I killer cooptati dal batterista catanese sono preferibilmente tre, ma all'occorrenza possono ridursi a due. Nell'apparizione bolognese si trattava di un quartetto: il contralto era imboccato da Cristiano Arcelli, per l'occasione subentrato a Piero Bittolo Bon che compare nel CD The Beauty and the Grace pubblicato da Improvvisatore Involontario un paio di anni fa.
Il repertorio comprendeva brani, tutti del leader, tratti sia dal CD già menzionato sia dal prossimo, Love, già inciso ma in attesa di pubblicazione. Temi ben marcati, dalle geometrie sghembe e su tempi sostenuti, sono stati esposti prevalentemente all'unisono per poi sfrangiarsi nei collettivi pulsanti e negli assolo. A tale proposito la presenza dell'ospite Arcelli ha fatto la differenza: non tanto e non solo perché gli equilibri e le dinamiche di un quartetto sono diversi da quelli di un trio, ma soprattutto per la sua statura di strumentista, capace di un fraseggio puntigliosamente arabescato, di veloci e avvincenti escursioni per poi raggiungere il climax con slanci lirici su note lunghe.
La sua maturità espressiva ha messo in evidenza il linguaggio certo funzionale, ma più schematico e acerbo, degli altri due giovani partner. Flavio Zanuttini alla tromba, titolare fin dalla fondazione del gruppo, ha costruito un eloquio selettivo e stringato, ma senza emergere quanto in altre occasioni, mentre all'organo digitale Giulio Stermieri, allievo di Alberto Tacchini e Roberto Bonati al conservatorio di Parma, ha svolto il suo ruolo tramando griglie insistenti. La componente elettronica, affidata a questi ultimi due, è risultata meno esasperata e caratterizzante rispetto al CD.
Quanto a Cusa, oltre che compositore e batterista dalla conduzione scabra e nodosa (favoloso il suo raddoppiato rim shot con la bacchetta della mano destra) si è distinto come leader alla Mingus, capace di richiamare all'ordine i partner con occhiatacce e grida e di guidare l'andamento dinamico della performance.
Nel complesso, forse disattendendo le intenzioni dello stesso leader, ne è emersa una musica d'impronta decisamente jazzistica, nelle strutture come nella grana del sound e nei meccanismi dell'interplay; un jazz attuale, certo compromesso con animosi schematismi rock, ma sempre swingante, concretamente affermativo; un atteggiamento musicale che soprattutto, a parte il tenore di qualche titolo, ha assai stemperato quei connotati dissacranti e teatral-provocatori di matrice post-punk che in altre occasioni hanno caratterizzato tanti progetti di Cusa o degli altri accoliti di Improvvisatore Involontario.
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