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Roscoe Mitchell - Wadada Leo Smith - Harrison Bankhead

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Suoni e Visioni

Blue Note - Milano - 17.03.2008

Dalla copertura in vetro del Blue Note, qualcuno mi fa notare, si intravedono la luna e le stelle. Lungo le pareti del locale fanno bella mostra di sé le gigantografie sorridenti di jazzisti compiaciuti e prudenti, plastificate cantanti di successo, ottuagenari vessilliferi del verbo mainstream e personaggi ambigui che nulla hanno a che vedere con la musica creativa. Dopo l’esperienza di Bologna, confido a un amico, ho sviluppato una certa diffidenza verso gli “eventi” e, quando sotto i riflettori appare solo la strana coppia formata dal segaligno Roscoe Mitchell e dal pingue Harrison Bankhead, il pensiero corre subito al peggio. Ma no, eccolo. Leo Smith scende con passo sicuro le scale, tromba d’ordinanza lucidissima, gli immancabili dreadlocks sciolti, la barba grigia, e si aggiunge a chi l’ha preceduto sul palco.

Silenzio in sala, le luci si abbassano. [...] rumore di bicchieri e ghiaccio che tintinna nei tumbler [...] L’attacco è subito magia, con il contralto zoppicante di Mitchell che annaspa in cerca di chissà quale improbabile nota, la tromba di Smith che gorgoglia minacciosa e l’archetto di Bankhead che cosparge di armonici il tutto. [...] cameriere impettito mi si piazza davanti per far pagare il conto, salato, a quelli del tavolo a fianco: coppia distinta sui quaranta il cui chiacchiericcio farà da indesiderato sottofondo a tutta la serata [...] Il primo pezzo scivola via per un quarto d’ora attraversato da inquietudini rarefatte e disarticolate lacerazioni. Le dinamiche del trio, forse un po’ anche le gerarchie, sono evidenti: la voce del padrone è quella di Roscoe, Leo dispensa con parsimoniosa saggezza i cristalli neri prodotti dal suo strumento, mentre Harrison lavora di cesello, preferendo un approccio intelligente e discreto.

Sale decisamente la temperatura in sala, non solo in senso figurato, e al secondo pezzo Mitchell sfodera un passaggio in respirazione circolare di quelli che valgono la gomitata allusiva al vicino di banco: una decina di minuti in cui il sassofonista di Chicago spalanca le porte degli inferi, chiama a raccolta i demoni dell’improvvisazione, si cala negli abissi ancestrali della black music e, come un antico sciamano, cade in trance. Incredibili, come al solito, la profonda singolarità del fraseggio, la sghemba e sfuggente intonazione, l’uso di sovracuti, suoni multipli e armonici. [...] tipica signora meneghina, con tanto di abito da sera e foulard a pois, arriva con mezz’ora di ritardo, saluta affettuosamente l’amico che l’aspettava da un pezzo e ordina un daiquiri [...] Smith, quasi intimorito, osserva e lascia che sia Bankhead il primo a rispondere a Mitchell, con un solo in punta d’archetto denso e struggente.

Applausi a scena aperta, i tre confabulano per alcuni secondi, il viaggio ricomincia e, come da copione, è il turno di Wadada. Un paio di secondi di esitazione e il trombettista si getta a capofitto in uno di quegli strazianti soliloqui che l’han reso giustamente celebre: gorgheggi, note taglienti come lame e acuminate come spilli, crepitii, tenui increspature della pronuncia, vibranti effervescenze [...] un signore brizzolato in cardigan rosso si agita per richiamare l’attenzione di un cameriere, eclissando quasi completamente la visuale del palco [...] Nella pronuncia del maestro rastafari si avverte distintamente il tepore del respiro umano, il fiato vitale del musicista; sembra di carne quella tromba tanto se ne percepisce la sofferenza, il pianto.

Ci si avvia a grandi passi verso il finale. Bankhead imbraccia il violoncello, Mitchell il soprano. Quel che segue è forse il punto più alto della serata. Un triangolo dai colori inaspettati, tutto giocato sui toni acuti, sulla capacità di andare oltre i limiti sostanziali dei rispettivi strumenti; un’ascensione ad altezze siderali che culmina in una liberatoria deflagrazione, fino ad approdare alla quiete e, di nuovo, al silenzio. [...] quartetto di liberi professionisti in giacca blu brinda rumorosamente - tin! - con cocktail a base di fragole e ribes [...] Qualche altra schermaglia, con Roscoe di nuovo al contralto, e il cerimoniale, dopo quasi un’ora e mezza, giunge al termine.

Il locale si svuota lentamente. I jazzisti “istituzionali” appesi alle pareti, mi sembra di notare, hanno perso un po’ della sicurezza e del sorriso beffardo che avevano a inizio serata. È musica che scuote le coscienze quella ascoltata, una finestra spalancata sull’abisso che, oggi come trent’anni fa, mina le certezze e mette le vertigini.

Un’ultima cosa. Se vi hanno infastidito le superflue note di cronaca inserite nel testo, provate a immaginare quanto hanno importunato chi assisteva al concerto.

Foto di Claudio Casanova


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