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Roscoe Mitchell & Michele Rabbia ad AngelicA

Roscoe Mitchell & Michele Rabbia ad AngelicA

Courtesy Massimo Golfieri

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Roscoe Mtchell, Michele Rabbia
Centro di Ricerca Musicale—Teatro San Leonardo
Bologna
3.5.2024

AngelicA 34, festival musicale consolidato nella sua unicità trasversale e possibilista da oltre tre decenni di esperienza, ha aperto i battenti il 2 maggio con una serata dedicata a Stefano Scodanibbio, che collaborò più volte con la manifestazione felsinea come uno degli interpreti supremi di quell'unicità estetica. Nella seconda parte del concerto ha preso rilievo la performance del Quatuor Bozzini, quartetto d'archi canadese nato venticinque anni fa e specializzato in uno sterminato e originale repertorio di musica contemporanea, inoltrandosi anche in progetti interdisciplinari che hanno coinvolto video, teatro, danza... La profonda sensibilità del loro approccio ha dato corpo a equilibri tanto aperti quanto ferrei, a sofisticati fremiti armonico-timbrici e dinamici; esiti tanto più apprezzabili se si tiene presente che essi erano alle prese con composizioni, o insiemi di composizioni, diversissime fra loro, scritte per lo più nell'ultimo quindicennio dal danese Niels Lyhne Lokkegaard, dalla canadese Ana Sokolović e dal maceratese Scodanibbio. Un interplay sinergico, una fusione perfetta ha mostrato quindi la formazione canadese, che si è espressa all'interno del codice della musica contemporanea più trasversale.

La seconda serata di AngelcA 34 ci ha invece presentato un diverso tipo di interplay, un vincolo collaborativo di spessore jazzistico, espresso da parte del duo Roscoe MitchellMichele Rabbia. Ma perché, proprio in occasione di un festival aperto alle contaminazioni più esasperate, agli accostamenti più arditi, c'è bisogno di rilevare differenze derivate dalle abusate e oggi rifiutate categorie di genere musicale? Perché, salvo che non ci si trovi di fronte a riuscite ricerche di consapevole incrocio linguistico, metodologico ed espressivo, e ce ne sono tante, in molti casi i caratteri genetici sviluppati da tradizioni culturali secolari persistono tuttora.

Nel caso del duo in questione, come in tante altre occasioni, la grana jazzistica è evidenziata innanzi tutto dalla pronuncia strumentale dei singoli, dal sound, dal modo di concepire il fraseggio, dal respiro dell'eloquio, dagli andamenti dinamici... tutte caratteristiche che elaborate da ognuno di loro in decenni di lavoro diventano poi cifra distintiva, qualificante e immutabile.

Quello che semmai può risultare sorprendente è come mai questa pronuncia così personale e unica riesca a dialogare con un'altra altrettanto consolidata e consistente, producendo un percorso sonoro che vive di un suo preciso senso comunicativo ed estetico. In altre parole, in un duo nessuno dei comprimari rinuncia a nulla di quello che è diventata la sua identità espressiva, che viene anzi portata come un valore che possa orientare il dialogo nel modo più autentico e concreto possibile. E qui interviene un'altra peculiarità tipica del jazz e diversa rispetto ad altre musiche secolari: la capacità improvvisativa, intesa in primo luogo come predisposizione ad un colloquio paritario ma finalizzato, come capacità d'ascolto per moderare il proprio protagonismo e nello stesso tempo stimolare il partner in una delle direzioni possibili.

Il concerto del duo Mitchell-Rabbia si è dipanato in varie fasi concatenate. All'inizio il sassofonista americano ha previlegiato il sax basso, emettendo note staccate e lunghe, brevi frasi ripetute secondo una struttura labile e una pronuncia un po' incerta. Poi la sua emissione è divenuta via via più decisa e concatenata. Dal canto suo il lavoro di Rabbia, nel quale sarebbe inutile cercare di distinguere la componente fisica sulle pelli e sui metalli da quella elettronica, che risultano sempre in perfetta sintonia, ha esordito con trame minute, frastagliate, puntillistiche, salvo inalberarsi in momentanei sussulti di energia alonata.

È seguito un sublime intermezzo percussivo, in cui Mitchell si è dedicato ad un piccolo e compatto set di legni e metalli, producendo figure per lo più semplici, ora di sapore ludico, ora di una distaccata oggettività, ora con lontani riferimenti orientali. Qui l'apporto di Rabbia ha introdotto un atteggiamento creativo coraggioso, sfavillante di idee che ha impreziosito le atmosfere percussive, perlustrando ambiti timbrici singolari, strutture ritmiche suggestive e andamenti dinamici imprevedibili. In questo scambio percussionistico la diversa gestualità fisica dei due comprimari si è tradotta istantaneamente nella fisicità del suono e del percorso narrativo.

Dopo un episodio, più breve di quanto ci si sarebbe potuto aspettare, in cui il sassofonista ha imboccato il soprano ricurvo esprimendo una sonorità scabra e tagliente e una conduzione nervosa e concatenata, nell'ultima fase del concerto il suo ritorno al sax basso, inanellando con la respirazione circolare un suono e un eloquio più corposi ed estroversi, ha motivato un'esposizione movimentata e inventiva, a tratti tellurica, dei mezzi azionati da Rabbia.

Va segnalato inoltre un aspetto scenico-visivo non marginale: sul lato sinistro del palcoscenico un quadro di Mitchell era sistemato su un cavalletto. La sua consolidata attività nel campo dell'arte visiva, collaterale a quella musicale, era documentata anche da un catalogo esposto nel foyer, che raccoglieva riproduzioni di sue opere realizzate dal 1963 al 2023; sorprendente la coerenza tematica, compositiva e cromatica dimostrata da questa carrellata di immagini concepite in un sessantennio.

È il caso di ricordare infine che l'affiatamento fra il sassofonista americano e il nostro percussionista, la reattiva istantanea intesa dimostrata nel concerto bolognese non nascono dal nulla, ma da una relazione fortemente perseguita. Mitchell, ascoltato Rabbia nel 2008 a Cassero Jazz, ha cominciato a vagheggiare una collaborazione con lui, ma solo nel 2016 il padovano Centro d'Arte è riuscito a proporre il loro primo incontro. Dopo due anni, alla Sapienza di Roma si è tenuto un altro concerto, questa volta in trio con Gianni Trovalusci. In questa primavera finalmente si è riusciti a realizzare un loro tour organico, che ha toccato anche il Torino Jazz Festival e che si concluderà in sala d'incisone, nel prestigioso studio di Stefano Amerio, per lasciare traccia discografica del loro consonante impegno improvvisativo.

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