Home » Articoli » Interview » Pino Minafra: musicista militante

2

Pino Minafra: musicista militante

By

Sign in to view read count
Da anni milito culturalmente facendo nascere opportunità di conoscenza e divulgazione di questa strana musica
—Pino Minafra
Negli ultimi anni Pino Minafra non ha trovato uno spazio adeguato sulle riviste specializzate e questa trascuratezza nei suoi confronti non si giustifica se si considera la sua attività sempre vulcanica e fortemente orientata; non solo, ma basta avere l'occasione di incontrarlo e stuzzicarlo un po' perché la sua voce si alzi animosa, corrosiva e costruttivamente polemica nei confronti della situazione culturale che si sta vivendo in Italia. Da protagonista storico di quella scena creativa italiana che ha intrecciato relazioni importanti con esperienze analoghe di altri Paesi europei, il trombettista, leader ed organizzatore pugliese ha idee ben chiare, e vivacemente espresse, che vale la pena di ascoltare.

Nell'intervista che segue si parte dalla realtà attuale della MinAfric Orchestra per risalire al ruolo avuto dall'Italian Instabile Orchestra, passando per altre esperienze musicali della sua carriera. Ma soprattutto si affrontano temi fondamentali come la produzione e l'organizzazione del jazz nel nostro Paese, con particolare riferimento alla funzione dei festival. Si prendono poi in considerazione la valorizzazione del patrimonio della tradizione bandistica in tutte le sue espressioni, il lavoro svolto in un ventennio con la Banda di Ruvo ed infine gli obiettivi del Talos Festival di Ruvo di Puglia, del quale nel 2012 Minafra ha ripreso la direzione artistica.

All About Jazz: Quando e come è nata la MinAfric Orchestra? Con quali obiettivi musicali?

Pino Minafra: L'orchestra nasce nel 2007 per dare voce e suono alla nostra terra: un Sud sempre più complesso e in fase di espansione politico-culturale. Una visione chiara e lucida, un atto di amore il nostro (mio e di mio figlio Livio) verso una terra che da secoli è stata ponte per l'oriente, attraversata, conquistata e vissuta da spagnoli, francesi, arabi, turchi, saraceni, normanni... Una terra che porta nel suo DNA la diversità come ricchezza, quindi l'accettazione del diverso. Questo per me è jazz e rappresenta la chiave per un futuro equilibrio mondiale fatto di pace e accettazione.

AAJ: Mi pare che nel materiale tematico, negli arrangiamenti, nel tipo di interplay collettivo, nello spirito complessivo la MinAfric rappresenti una continuità evolutiva nei confronti delle tue precedenti esperienze: in particolare il Sud Ensemble e la Meridiana Multijazz Orchestra. Confermi? O nelle tue intenzioni ci sono differenze da rimarcare?

P.M.: Sì, confermo. Si tratta dello stesso concetto. Un Sud caleidoscopico, più elaborato e musicalmente condiviso a più mani da Livio Minafra, Roberto Ottaviano, Nicola Pisani, il quartetto vocale delle Faraualla e dal sottoscritto. Credo e spero si tratti di un progetto più maturo e consapevole della nostra storia e identità.

AAJ: Altra esperienza d'importanza storica, che sta a cuore a te come agli appassionati, è l'Italian Instabile Orchestra, che nel repertorio ha dimostrato impronte diverse e che negli anni ha avuto una visibilità altalenante. Cosa ci puoi dire della sua identità/vita attuale e delle sue esibizioni recenti o future?

P.M.: Dopo l'incontro con Cecil Taylor e Anthony Braxton, l'orchestra si sta organizzando su una lettura della musica di Duke Ellington (è la prima volta che l'Instabile tenta di affrontare un grande del jazz come Ellington); ospite sarà Phil Minton e il progetto sarà documentato su CD. Inoltre ci stiamo organizzando per festeggiare il 25° anno di vita, nel 2015 forse a Ruvo, con grandi ospiti del panorama europeo. L'Instabile resta un grande, sorprendente laboratorio di suoni, di esperienze multigenerazionali, come ha dimostrato l'ultimo concerto tenuto a Oporto nell'ottobre 2013. Purtroppo resta una sorta di "Cenerentola," dimenticata e ignorata da tutti soprattutto in Italia. Comunque è un patrimonio che non possiamo lasciare che vada perduto... e quindi rimbocchiamoci le maniche! Stiamo andando avanti con il nostro suono e la nostra identità.

AAJ: Sembra che tu abbia sempre prediletto gli ampi organici, che hai diretto con autorevolezza nelle loro esuberanti potenzialità. Puoi ricordarci invece piccole formazioni, in cui vige un diverso tipo di interplay, che per te hanno costituito sodalizi empatici, particolarmente significativi?

P.M.: Il trio con Han Bennink e Ernst Reijseger, che si può ascoltare nel CD Noci Strani Frutti della Leo Records; il quartetto, anche se per sei soli concerti, con Misha Mengelberg, Han Bennink, il trombonista pugliese Michele Lomuto, affiancato da un'orchestra sinfonica e documentato dalla Splasc(H); il quintetto con Antonello Salis, Stefano Satta, Paolino Dalla Porta e Vincenzo Mazzone, che ebbe grande attenzione su Down Beat; il trio con Eugenio Colombo, Martin Joseph e le poesie di Vittorino Curci...
Più recentemente ricordo il quintetto "Canto General" con Louis Moholo-Moholo, Roberto Bellattalla, Roberto Ottaviano e Livio Minafra... un grande gruppo, che ha tenuto significativi concerti e che poi si è trasformato in sestetto con una diversa formazione: Livio, Ottaviano, Satta, Mazzone e Giorgio Vendola al basso.
È indubbio che per l'interplay è decisamente più bello suonare in piccoli gruppi... ma i grandi affreschi musicali si fanno con grandi dimensioni, con vari colori e ampie sonorità, che esercitano un grande fascino sul mio modo di sentire e fare musica... Si tratta di una vera e propria necessità espressiva e compositiva.

AAJ: Purtroppo bisogna riscontrare che, rispetto a molti tuoi colleghi, negli ultimi anni sei stato molto parsimonioso nelle pubblicazioni discografiche. Quale è il motivo? Cosa ci puoi anticipare su uscite prossime?

P.M.: Da anni milito culturalmente facendo nascere opportunità di conoscenza e divulgazione di questa strana musica tramite festival, rassegne, progetti speciali, ecc. In un paese più equilibrato e attento alla cultura sicuramente mi sarei dedicato a fare "solo" musica... invece la consapevolezza di essere soli e abbandonati in un sistema oscurantista, provinciale, berlusconiano, decadente, mi obbliga a fare la mia piccola parte in difesa di un'utopica bellezza, apparentemente inutile e invece così sacra e indispensabile alla vita di tutti per elevare la nostra qualità esistenziale. Tutto questo in un Paese che il mondo ci invidia, parlo dell'Italia tutta con la sua cultura, il cibo, il cinema, la moda, l'arte, la storia...
Ecco perché ho sacrificato la parte discografica della mia vita di musicista a vantaggio di un impegno politico-culturale concreto. Credo di aver rinunciato a quattro o cinque CD in più per il bene della causa e non mi pento. Il prossimo lavoro sarà quello di documentare su CD la MinAfric Orchestra. È un lavoro enorme e complesso che dura dal 2007 con circa diciotto musicisti, ma credo che oggi la formazione e le proposte musicali siano mature per essere fermate su CD.

AAJ: Venendo a tuo figlio Livio, giovane pianista con una sua forte personalità, quali sono gli aspetti che accomunano i vostri approcci musicali?

P.M.: La bellezza, la curiosità, collegare i vari linguaggi accettandoli, restare legati alle radici della nostra terra (un Sud reale o immaginario, dal grande respiro), ma su tutto raccontare in musica la propria storia secondo una visione e una sensibilità personali. Questo concetto ha segnato tutta la mia vita e Livio lo ha fatto suo; sono veramente convinto che sia l'unico modo per restare se stessi in musica e nella vita: Livio è già da anni questo.

AAJ: Come vedi la realtà del jazz italiano? Non trovi che sia la somma di tante esperienze vitali, ma isolate, "di provincia," fra le quali la Puglia rappresentano un'area importante, assieme al Friuli, alla Sardegna, al Veneto (...ma anche alle aree metropolitane di Roma o Torino)? Non trovi che ci sarebbe bisogno di un maggior coordinamento/scambio/integrazione fra queste esperienze?

P.M.: Da sempre la cosiddetta "Provincia" è attenta al nuovo e propensa al rischio. E ovunque c'è fuoco sotto la cenere: i cosiddetti "bollenti spiriti" nascono ovunque... Le grandi città o i grandi festival sono paranoicamente prigionieri e al servizio del nome che "tira" e fa massa, non rischiano e appiattiscono loro stessi, non acculturano il pubblico dando soluzioni tranquillizzanti e spesso soporifere... ma questo da sempre. Spero in una futura e rinata Associazione Musicisti Jazz che possa avere la forza e la capacità di riequilibrare il panorama nazionale tra musicisti stranieri che "tirano" e "progetti italiani" con contenuti alti e forte progettualità.

AAJ: A quanto pare ti sta particolarmente a cuore la situazione dei jazz festival nazionali.

P.M.: Come dicevo prima, i grandi eventi sono prigionieri di loro stessi: nessun rischio, nessuno slancio di ideali, di passioni vere, e soprattutto nessuna voglia di acculturare il pubblico, educandolo ad una cultura europea. Fredde strategie per avere il consenso dei numeri sia a destra che a sinistra, una sorta di berlusconismo che abita da molti anni anche e soprattutto a sinistra. Siamo dei provincialotti ignoranti e non abbiamo idea della nostra storia e delle sue enormi potenzialità: prova ne è che un'esperienza unica come l'Instabile languisce dimenticata da tutti. Da molti anni ormai questa è la nostra povera Italia, mal rappresentata da individui volgari, decadenti, senza cultura e spesso violenti. Un recente studio scientifico in Francia ha dimostrato che la cultura produce sette volte di più dell'industria dell'auto. L'incapacità di gestire la nostra storia e il nostro patrimonio è da sempre un problema tipicamente italiano, enorme!

AAJ: Riguardo ai festival, veniamo alla tua esperienza personale: nel 2012 sei tornato alla direzione artistica del Talos Festival di Ruvo di Puglia. Con quale obiettivo di fondo?

P.M.: Dopo molte vicissitudini dolorose e traumatiche, sono tornato a dirigere il Talos con la speranza che si vada verso una Fondazione Talos, per fare in modo che sul territorio si radichino un "laboratorio" e uno sforzo politico-culturale di dimensione europea, a disposizione delle future generazioni. Da oltre trent'anni costituisce la mia piccola-grande battaglia a favore della musica, della ricerca delle radici italiane, della sua storia e del grande Sud.

AAJ: In particolare, riguardo alla valorizzazione del patrimonio culturale bandistico in tutte le sue espressioni, ritieni che esso rivesta un significato di particolare importanza in Puglia rispetto ad altre regioni d'Italia?

P.M.: La banda è la colonna sonora del mondo. Non c'è paese che non abbia un organico dove far confluire la sua anima, i suoi suoni e la sua storia. Nel Sud la banda si è perfino sostituita al "Belcanto" e alle orchestre sinfoniche, acculturando milioni di contadini e intere generazioni; con una operazione audace e folle (perché è impossibile sostituirsi alle voci umane...) ha creato un suono unico e originale a livello mondiale, in quanto, soprattutto nel repertorio lirico, gli ottoni simulano la voce umana, i clarinetti i violini, ecc.

La Puglia dovrebbe proteggere e tutelare questo patrimonio immateriale riconosciuto dall'Unesco con una legge. Non è accettabile che sia individuata solo come la regione della Taranta: ci sono circa ottomila musicisti invisibili che portano musica, lavoro, cultura capillarmente in tutta la regione da oltre due secoli. La mia esperienza con la Banda di Ruvo in ben ventidue anni ha dimostrato che questo suono è vivo, attuale e capace di calcare i palcoscenici più importanti del mondo, come testimonia appunto il suo curriculum. Quindi se la Taranta è mediaticamente più appetibile (e per questo la nostra sinistra ha puntato su di essa) è imbarazzante che non ci sia un'attenzione culturale e politica su un suono socialmente e culturalmente importante come quello della banda. Questa è la mia battaglia e lo scopo del Talos Festival è quello di evidenziare e far emergere un sommerso fatto di uomini, storia e cultura di primaria importanza: un'operazione unica nel suo genere, che è potuta nascere appunto in Puglia.

AAJ: In che modo e con quali finalità intendi favorire un reale, fertile, autentico momento di scambio/incontro fra jazz e patrimonio bandistico?

P.M.: Come accennavo prima, in ventidue anni musicisti come Michel Godard, Gianluigi Trovesi, Jean Louis Matinier, Willem Breuker, Antonello Salis, Lucilla Galeazzi, Bruno Tommaso, Carlo Rizzo, le Faraualla, Livio e il sottoscritto lo hanno dimostrato con CD, video e concerti in prestigiosi festival: Berlin Philarmonie, Parigi, London Jazz Festival, Ravenna Festival, Toulouse, Parco della Musica a Roma, Donaueschingen, ecc. Abbiamo cioè dimostrato come una banda sia in grado di calcare i palcoscenici più importanti del mondo a condizione di avere un progetto musicale forte e attuale, che coniughi tradizione e innovazione autentica. Questo è stato fatto, quindi la realtà della banda è viva ed è tutta da esplorare nelle sue numerose possibilità timbriche ed espressive.

AAJ: Cosa ci puoi anticipare sulla prossima edizione del Talos Festival?

P.M.: L'edizione 2014 comincerà con l'Anteprima, dal 4 al 10 settembre, dedicata all'esplorazione di bande di diversa provenienza e origine: bande di conservatori, centri sociali, associazioni, bande militari e professionali... Dall'11 al 14 si terrà poi il Talos Internazionale, che guarda all'Europa con progettualità più complesse. Quest'anno siamo in contatto con l'Instant Composers Pool olandese: intendiamo rievocare questa importante scena musicale europea, dedicando un'attenzione particolare a figure storiche come Misha Mengelberg (ormai purtroppo irrimediabilmente malato) e il grande Willem Breuker (che non è più con noi). Sono in programma una mostra e un concerto di Han Bennink, e forse l'intera I.C.P sarà protagonista di incontri pomeridiani con musicisti italiani e di masterclass.

Inoltre si prevedono un omaggio a Frank Zappa con la Tankio Band, ospite Antonello Salis, una serata dedicata all'Albania con Fanfara Tirana e coro, una serata dedicata al Salento con Giro di Banda di Cesare dell'Anna, forse una produzione originale che vedrà la nostra Banda di Ruvo interagire con ospiti: Trovesi, Livio, Nabil, Bruno Tommaso, forse Capossela. Sto anche ipotizzando la presenza di Keith Tippett, grande assemblatore di suoni e ampi affreschi. Oltre ai grandi organici, nelle serate internazionali spero di poter invitare grandi solisti. Infine oltre a mostre, masterclass, concerti pomeridiani, non potrà mancare un convegno dedicato alla Banda: "un patrimonio da salvare!."

Al momento però tutte queste idee devono essere verificate e confermate, sono ancora ipotesi da ufficializzare.

Foto
Antonio Coppola.

Comments

Tags


For the Love of Jazz
Get the Jazz Near You newsletter All About Jazz has been a pillar of jazz since 1995, championing it as an art form and, more importantly, supporting the musicians who create it. Our enduring commitment has made "AAJ" one of the most culturally important websites of its kind, read by hundreds of thousands of fans, musicians and industry figures every month.

You Can Help
To expand our coverage even further and develop new means to foster jazz discovery and connectivity we need your help. You can become a sustaining member for a modest $20 and in return, we'll immediately hide those pesky ads plus provide access to future articles for a full year. This winning combination will vastly improve your AAJ experience and allow us to vigorously build on the pioneering work we first started in 1995. So enjoy an ad-free AAJ experience and help us remain a positive beacon for jazz by making a donation today.

More

Jazz article: A Conversation with Brad Mehldau
Jazz article: Meet Drummer Danny Gottlieb
Jazz article: Kim Parker: Reminiscing in Jazz

Popular

Get more of a good thing!

Our weekly newsletter highlights our top stories, our special offers, and upcoming jazz events near you.